Mese: Febbraio 2013

Metrò dell’arte: transavanguardia e critica creativa (4)

di Alessia Paribello

Stazione Salvator Rosa: Mimmo Paladino, Senza titolo 2002; Guglia policroma, Atelier Mendini

Napoli oggi possiede l’unico museo d’arte contemporanea con pubblico garantito, a milioni, e a un costo sostanzialmente nullo[1] ( Philippe Daverio)

Verso la fine degli anni Settanta si viene a delineare un nuovo modo di fare arte, rappresentata per lo più da personaggi volti ad un notevole cambiamento rispetto alle correnti artistiche già presenti.

Non si tratta di un mero ritorno al passato né un’anticipazione di ciò che sarebbero state le correnti future, la parola chiave da adottare è “attraversamento”, come suggerisce il termine “trans – avanguardia”. Questa parola, coniata per alcuni artisti italiani dal critico Achille Bonito Oliva e ufficialmente lanciata dalle pagine di “Flash Art” nel 1979, indica opere al di fuori della logica delle avanguardie dei decenni precedenti, che si pongono in un’ottica di de-ideologizzazione dell’arte. Achille Bonito Oliva spiega come, fino a quel momento, l’arte abbia attraversato un periodo di “nomadismo”, in cui artisti “ciechi – vedenti ruotano la coda intorno al piacere di un’arte che non si esprime davanti a niente, nemmeno davanti alla storia”.[2] Negli anni ’60 l’arte aveva una connotazione moralistica anche quando non sembrava esserci una esplicita morale. Ogni avanguardia aveva una sua ragion d’esistere e soprattutto operava in schemi culturali caratterizzati da una tendenza idealistica che configurava lo sviluppo dell’arte come processo lineare ed evolutivo.

La body art, invece, pone il corpo al centro dell’attenzione. Il corpo come strumento pittorico ma anche come oggetto su cui sperimentare soluzioni nuove e diverse, una nuova materia. E’ un modo per affermare la molteplicità delle espressioni corporee, infinite, significative. L’artista cerca e trova un modo per entrare nell’arte in modo diretto producendo un’esperienza individuale che sia il più possibile autentica e spontanea.

La video arte, movimento d’avanguardia nato nel ’63, si muove in antitesi al dilagare dei mass media, attuando una critica forte soprattutto nei riguardi del mezzo televisivo. La televisione produce immagini elettroniche per milioni di spettatori, gli artisti producono immagini non riproducibili e uniche. E’ per questo che tornano ad impossessarsi di questi mezzi per creare un nuovo universo visivo, numerosi sono i lavori che vedono l’assemblaggio di monitor, suoni, immagini, parole e oggetti.

La land art invece non ha una scuola di pensiero ben definita, la traccia da seguire nella comprensione di questo movimento è lo stretto legame tra uomo e terra, terra intesa come ambiente, territorio, natura in tutte le sue manifestazioni. Così, grazie al progetto di Walter De Maria, quattrocento aste d’acciaio inox sono state piantate verticalmente nel New Mexico così da diventare un enorme campo di parafulmini. In questo caso si tende a trasformare un evento atmosferico in una grande esperienza artistica ( Walter De Maria, The Lightning Field, 1977) o alcuni luoghi o monumenti d’Europa vengono “impacchettati” da Christo, attuando opere che sembrano impossibili. ( Christo, Wrapped Coast, Little Bay, Australia, 1968 – 1969).

Potremmo citare anche l’Arte concettuale, movimento nato a partire dal 1965, il cui scopo è quello di porre al centro dell’attenzione il concetto, ovvero l’idea progettuale, escludendo tutto ciò che c’è intorno, finanche l’aspetto esecutivo e la materialità dell’opera.

Achille Bonito Oliva parla di darwinismo linguistico, di una evoluzione dell’arte da una concezione chiusa nel solco della continuità, di intenti, di visioni, di impegno collettivo alle neoavanguardie – caratterizzate dall’essere poco private, poco espressive del singolo, in particolare negli anni sessanta la creatività artistica andava alla spersonalizzazione in nome del primato del politico. La trans-avanguardia propone il ritorno all’introspezione psicologica, all’espressione emotiva del singolo artista, permette ad ognuno l’espressione del sé, come il movimento espressionista cui si rifà in larga parte.

“L’ideologismo del poverismo e la tautologia dell’Arte concettuale trovano un superamento in un nuovo atteggiamento che non predica alcun primato se non quello dell’arte e della fragranza dell’opera che ritrova il piacere della propria esibizione, del proprio spessore, della materia della pittura finalmente non più mortificata da incombenze ideologiche e da arrovellamenti puramente intellettuali. L’arte riscopre la sorpresa di un’attività creativa all’infinito, aperta anche al piacere delle proprie pulsioni, di un’esistenza caratterizzata da mille possibilità, dalla figura all’immagine astratta, dalla folgorazione dell’idea al morbido spessore della materia, che si attraversano e colano contemporaneamente nell’istantaneità dell’opera, assorta e sospesa nel suo donarsi generosamente come visione”.[3]C’è anche chi, riferendosi a questo movimento, parla di “nomadismo linguistico” riferendosi non solo a una sorta di rimeditazione della storia dell’arte, una manipolazione, secondo cui si inizia a confondere e combinare diversi modi stilistici ma anche ai viaggi effettuati dagli artisti nel corso della loro vita, che permettono loro di contaminare più linguaggi nelle loro opere.


[1] P. DAVERIO, Bella Napoli! Sei sulla scala mobile e contempli un’istallazione di Kounellis. Aspetti a una fermata e ti perdi in un’opera di Pistoletto. Invito d’autore a scoprire (per chi non c’è stato) il metrò più creativo d’Europa,

 in « Marieclaire», del 1 Ottobre 2004, pp 164 – 167

[2] A. BONITO OLIVA, Le arti dell’arte  in Transavanguardia, collana Art Dossier, EDIT. GIUNTI pag. 5

[3] A. BONITO OLIVA, « le arti dell’arte » in Transavanguardia, collana Art Dossier, EDIT. GIUNTI pag. 12


GF Metrò dell’arte – transavanguardia e critica creativa (4)

Design: contesti di arredo

di Clementina Gily

 

Nella storia del disegno industriale l’arredamento è parte eminente delle attività di progettazione, sia se si pensa alla produzione di oggetti d’uso, sia alla costruzione dell’ambiente d’abitazione nel suo quadro generale. La linearità di costruzione centrata su di sé e sul mercato, tipica del design, trova un suo campo naturale nei due versanti dell’arredo, perché entrambi consentono livelli di completezza in scale di grandezza minime, che non richiedono i tempi e le sinergie socio – politiche di altri rami dell’architettura. Ciò lascia spazio ad una creatività isotopica, in cui, tra l’altro, la produzione nazionale, dagli anni ’50 in poi, ha saputo affermare una propria originalità, con affermazioni di riguardo, grazie a ditte che, insieme alle case di moda, hanno diffuso un’idea dell’Italian Style, che è parte importante dell’immagine del prodotto nazionale.

Ciò ha mutato il modo di abitare, se negli anni ’50 Egidio Bonfanti poteva dire: “troppi uomini vivono nelle loro case attorniati dall’anacronismo dei loro mobili”, mentre si può ormai considerare realizzato il suo auspicio di un modello di arredo in cui “attraverso le forme nuove, nate da una nuova grammatica, l’arredamento moderno (esprima) il particolare clima dell’epoca, (riflettendone) lo spirito” (G.Gramigna, Immagini e contributi per una storia dell’arredo italiano. Repertorio 1950-1980,Mondadori Milano 1985, p.47). I prodotti del design entrano ormai in tutti i modelli dell’abitare, non solo surrettiziamente, trasportati dalle grandi produzioni di consumo che legano i loro prodotti ad un adeguato studio della confezione, ma direttamente, nella scelta di oggetti, nella strutturazione di arredi, che connotano anche le scelte tradizionali come una volontà precisa. L’arredamento segue la moda, anche se con più lentezza degli abbigliamenti, ammodernandosi nell’evoluzione del gusto, cambiando in relazione al mutare dei tempi, della modalità, della struttura della vita.

Se si vuole approfondire la filosofia dell’arredamento (per usare l’espressione di Edgard Allan Poe del 1840) per intenderne le direzioni, si deve dare spazio adeguato agli elementi convergenti della funzionalità, del gusto, della informazione che l’autore scrive nell’ambiente sul proprio modello di vita – spesso caricandolo della funzione di significazione del ruolo sociale. In tutte queste componenti delle scelte, l’arredo risulta fortemente condizionato dalle rappresentazioni sociali diffuse nell’ambiente culturale e dall’evolversi dei comportamenti. L’ “arredare è un gesto naturale, prima di essere un progetto. Fra le tante azioni compiute dall’uomo, quella di abitare non è tanto una delle più belle, sottili e perverse, quanto, per così dire, una delle più obbligate”: ma la costruzione di un alloggio non è una sistemazione neutra della funzionalità, ma piuttosto un renderlo vivibile agli occhi di chi lo costruisce, che vi disegna una “situazione mentale, intima e seduttrice, essenziale alla nostra realtà di abitanti”. “L’arredamento della nostra casa diventa il teatro della vita privata, quella scena dove ogni stanza permette il cambiamento, la dinamica degli atteggiamenti e delle situazioni: è la casa palcoscenico” (A. Mendini, Arredare come esistere, in A. Piromallo Gambardella, R. Savarese, Oggetti, arredamento e comunicazione sociale, Liguori, Napoli 1985, pp. 67-71). Perché contiene una sorta di sceneggiatura della vita che si immagina di voler condurre, un mondo di possibili coerenze. A volersi spingere non troppo con la fantasia, nell’arredo c’è molto di affine ad uno spazio letterario (O. Calabrese, Il cottage del signor Landor. Ovvero, come ammobiliare un mondo narrativo, ivi, pp. 97 – 106), che può giustificare nell’interpretazione assumere i paradigmi interpretativi propri del gioco, per meglio spiegare il mutamento e la nuova impostazione di uno spazio o di un oggetto. Se si osserva un ambiente è possibile ricostruire “il modo in cui l’individuo, in normali situazioni di lavoro, presenta se stesso e le sue attività agli altri, il modo in cui guida e controlla le impressioni che questi ne ricevono, e il genere di cose che può o non può fare mentre svolge la sua rappresentazione in loro presenza” (Goffman 1959). L’arredamento costituisce la scrittura di una possibile disposizione di programmi di vita e di narrazioni, che si possono ricostruire dagli indizi disseminati nella inquadratura degli spazi e nelle simmetrie prescelte a fare da linea guida ai percorsi di interpretazione. La costruzione del circostante propone insiemi organici, che si costituiscono come “precisi sistemi di lettura che promuovono ottiche operative del tutto differenziate” (V. Gregotti, Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano 1966).

Nella struttura dell’ambiente si può ritrovare la codifica degli elementi ritenuti importanti per la vivibilità, specie se si fa caso alla tipica asimmetria dei percorsi comuni, nello “spazio che si è configurato sui ritmi giornalieri e sulle necessità quotidiane… il muro segue il gesto che non è mai rettilineo, le vie seguono percorsi che non sono mai ortogonali” (G. Dorfles in Le dehors e de dedans , cit. in A. Dell’Acqua Bellavitis, Storia e cultura dell’Arredo, CUSL, Milano 1984, p. 8), costituendo una scrittura in progress già in una sola configurazione ambientale. Che si può mettere in crisi anche con un solo ingresso dirompente, un oggetto che muove la compostezza in altre direzioni. Ad esempio Argan lamenta nell’immagine delineata dell’arredo / teatro di vita una riproposizione di una visione classica, che comprende una  “gerarchia di oggetti protagonisti, comprimari, comparse” nella pratica ormai superato dall’evolversi dell’oggettistica, che toglie agli spazi prefissati della consuetudine un significato fisso, rinnovandone il senso con l’introduzione di particolari che assumono inspiegabilmente ruoli di protagonismo. Illustrati dalla preferenza per nuovi materiali che suggeriscono uno styling diverso ed inconsueto: “perfetto, leggero, maneggevole, adatto con onesta efficienza alle sue funzioni, sempre pulito e brillante, di basso costo e facile ricambio. Non è più soggetto alle leggi tettoniche della costruzione, al tormento della levigatura, alla superficialità del tinteggiato e del lustro. Nell’arredo povero non c’è più differenza tra l’ornamentale, l’utile, lo strumentale… L’acrilico, il polistirolo, il poliuretano, prendendo il posto del legno e della pietra, hanno cambiato le inveterate nozioni circa la relazione tra massa e peso, forma e colore” (Santini, in Immagini e contributi per una storia dell’arredo italiano, pp. 144 – 5).

Dunque, disegno di scena, variazioni possibili ed impreviste. Un quadro notevolmente complesso che lascia il progettista d’arredo al suo intuito, a meno di intrinsecare allo studio delle tecniche di produzione quello del mondo dell’informazione comunicazione che prende corpo nell’ambiente. Un mondo in evoluzione rapida, che risponde con prontezza al mutare delle condizioni sociali e tecnologiche della vita, con effetti sulla vivibilità e costituzione degli ambienti, investiti dalla grande mutevolezza dei costumi. Basti pensare solo alla struttura della famiglia, spesso mononucleare se non addirittura monopersonale, ed al conseguente diffondersi di abitazioni per coppie o per single. Piccole dimensioni che tendono a divenire costanti anche per il prestigio assunto dai centri storici e per la rarefazione del personale di servizio: questo cambia gli spazi funzionali disegnati dalla consuetudine, promuove libere rielaborazioni dei contesti di arredo.

GF Design, contesti di arredo