Mese: Settembre 2013

Forse è giunto il momento di smetterla

di Clementina Gily, Editoriale

Finalmente c’illumina il consenso di quell’animale da televisione che è Carlo Freccero, assolutamente dentro il mistero della comunicazione d’oggi! Finalmente anche lui conferma quel che pensa da sempre chi s’interessa di formazione dei giovani, il genitore, il docente: è troppo, la televisione ha esagerato. Va bene cancellare la TV pedagogica, come si diceva negli anni ’70 – sbagliando, perché era una televisione censurata: ma oggi siamo finiti nella Geenna! Parla uno spettatore di talk show affumicato.

Tante rane dalla bocca larga, oscene imitazioni di esseri umani, sono in conversazione e il raglio è forte, si danno sulla voce sino a diventare un sinfonico urlo – e invita a spegnere la TV o a finire nel telefilm di serie. Persino Berlusconi ha detto che se si parla tutti insieme non si capisce niente: e perché allora ha slegato Santanché, guida e maestra della muta dei cani? Hanno anche programmato più d’uno show a sera, per subornare l’incapace couch potato: e così provocano l’evasione generale di chi manda tutti al diavolo – e nemmeno questo va bene – sono pessimi, ma sono la vita politica d’oggi. Vespa, Santoro, Floris fanno le notizie dei giornali e chi guarda soffre ma s’è fatto un’idea, dalle facce, dai modi, dalla prepotenza delle donne – Gelmini non meno di Mussolini.

Ma come dice Carlo Freccero, appunto, “è forse giunto il momento per riconsiderare il servizio pubblico non come una semplice azienda ma come un investimento da affiancare ad altre risorse dello stato: la scuola e la ricerca” (Televisione, Bollati Boringhieri 2013 p. 144).

È un problema di governance e va affrontato subito, tenendo presente ricerca, letterature televisive, orizzonti formativi: soprattutto giudicare senza giustificare le cadute di stile. Ho parlato spesso di media education con genitori e fanciulli e dico: basterebbe ascoltare loro!

Ecco due perle condivise su cui c’è concordia generale: sono dieci anni di Affari Tuoi, iniziò nel 2003 il gioco delle scatole d’azzardo sull’ammiraglia dell’ex monopolio Rai1. Come si fa a condannare le ditte del gioco per l’eccezionale fioritura di bari, scommettitori e doping, quando la TV di Stato che riceve tasse dai cittadini, pratica la controeducazione che ha coltivato giovani alle virtù dell’azzardo i bambini ora sono alla fine della scuola primaria sin dalla nascita?

Gli ha insegnato a far parte dei 15.000 che aspirano a diventare protagonisti di X Factor – considerata trasmissione che premia il merito: dietro ognuno di questi ragazzi che hanno il plauso di Simona Ventura e diventano celebri e ricchi ricchissimi – quanti ragazzi grassottelli e incapaci hanno per anni frequentato scuolette di ballo e trascurato di mettere in forma il cervello?

Si parla tanto di una squallida politica autocontraddittoria e demenziale – non si sa più che fine hanno fatto tutti gli indagati dello scorso anno, intanto ci sono quelli di quest’anno, Bertolaso in testa, l’eroe di qualche anno fa; non si dice nulla di questa tragedia dell’educazione dei ragazzi che oggi hanno dieci anni… per fortuna la gente è più solida dei suoi governanti.

Roberto Fico ha detto non solo che la Rai non si svende ma che è “la nostra più grande azienda culturale”, anche bruttata com’è dalla legge Gasparri, che Ciampi respinse, cercando di invitare politici e comunicatori ad essere meno cialtroni.

W Editoriale televisione

Wolf medita sugli spettacoli d’oggi

di Clementina Gily, Editoriale

S’introduce o si riprende la rubrica delle scritture d’autore: si legga questo bellissmo articolo su azione e valore scritto in piena guerra: De Ruggiero si preparava al carcere, per partecipare a suo modo con coraggio alla lotta. Nell’attualità mi pare una riflessione sul valore davvero unica.

Questo perché sono state davvero molto gradite ai giovani collaboratori le rubriche sulla letteratura dei media, con tanti contributi per la rubrica media literature, ma anche approfondimenti per la cultural studies: senza dire che nella rubrica to play della pagina principale sono comparse molte puntate sulle attualità teatrali che sul mondo mediato -nazionali ed internazionali – che differenza fa? Reali, virtuali, che differenza fa? La famiglia alla televisione è rara, più spesso il consumo anche televisivo è solitario, ma comunque è una grande conversazione, i personaggi tv sono conosciuti da tutti, specie da chi dice di non vederla mai. Si accendono le discussioni sul consumo della televisione e della rete: ma ormai che differenza c’è? Una sola console ci pone davanti a tutti i media.

La discussione sui generi televisivi, infatti, leggo dai giovani redattori, è spesso una valutazione e un confronto attivo, che si fa politico e sociale, che medita direttamente di fronte a questo enorme senso comune che ci si stende davanti. Parlare degli spettacoli è un modo per confrontarsi con i problemi e i giudizi del quotidiano.

Si badi ad esempio come i due interventi sul mondomedio di questo numero, che sono i lati di una stessa riflessione, siano tutti e due per la grandissima parte dei lettori immagini dei media: tutti si parla di Lampedusa e del razzismo, ma per fortuna pochi di noi hanno esperienza diretta dell’uno e dell’altro problema. Forse l’unico davvero antico per gli italiani del Sud e quello che in occasione di questi eventi è stato definito razzismo territoriale e pare sia molto meno grave. Non ne capisco il perché, ma occorrerebbe avere anche per questi un ministro al governo, visto che i danni perpetrati sono stati davvero gravi. Ma fa più figura la ministra in carica. Sia detto senza sminuire: ma davvero è problema prioritario per gli italiani lo ius soli, che col femminicidio e qualche altra amenità pare sia tanto centrale – c’è da dire che almeno diminuisce il tempo in cui questa nostra sciagurata informazione tratta dei problemi del lui nazionale: che vedo sempre più spesso che annoiano ormai davvero tutti.

In attesa del predellino di Natale, si deve dire che per il momento annoia sul serio, specie per via di Francesca e Dudù, un davvero strano camuffamento. Letta al suo capovolgimento d’opinione in Parlamento disse “Grande” usando una parola del linguaggio giovanile che rivelò un imbarazzante lapsus freudiano.

Io avrei detto “Troppo”. Quando si eccede la misura e non si riesce nemmeno simpatici, forse è solamente “troppo”.

W Editoriale, Wolf medita sugli spettacoli d’oggi