Mese: Febbraio 2014

UE e Inno alla Gioia: è Bellezza? Quanto grande?

di Clementina Gily, Editoriale

Nell’iniziare questa pagina di Wolf, qualche mese fa, venne spontaneo parlare di Inno alla Gioia e iniziare con l’Europafest di Berlino: esulare dai temi economici di cui oggi si parla tanto e sempre in toni contrastati e contrastanti.

Ora vincere l’Oscar con la Grande Bellezza ha suscitato altre simili polemiche, che sciupano parte del gradevole risultato del successo. Molti non riescono a semplicemente condividere la gioia, troppo desiderano essere presenti, o condividono a dismisura, o cercano il negativo in un fatto di cultura – che merita interpretazione ma non il ruolo di saggio sociologico politico che non pretende di avere. È un’opera d’arte, un punto di vista che chiede valutazione estetica: sul che pare che i giudizi siano concordi nel rilevare l’originalità e l’eleganza del prospetto.

Certo l’Europa è la prima patria della Bellezza e dell’Estetica, l’Oscar lo ricorda premiando la congiunzione naturale Europa ed Italia hanno, nella lettura non aulica la coscienza della crisi dei “valori” tutti. La patria dell’estetica, l’Europa, ha messo in crisi idee tradizionali senza definirne di attuali, non ripropone temi classici né nuovi: tornare a parlare di bellezza significa capire come e quanto siamo cambiati, oggi che il 900 ha terminato i suoi discorsi e che ci si è addentrati nel terzo millennio dominato dai media e dall’arte che non incontra il suo pubblico.

Chi legge Wolf sa che da due anni è in corso la formazione estetica de La Pedagogia della Bellezza, da poco ne è edita la teoria, il primo volume della Didattica della bellezza che si completerà nel secondo con le conclusioni della sperimentazione in atto. La visione del film è giunta perciò su idee già formate, che trovano suggestive tante brevi frasi del film, come la ‘frase’ (in un film è immagine in movimento e parole) citata da Giarritiello, la figura dell’ultracentenaria Santa che insegna l’importanza delle radici per suscitare il miracolo di saper capire la voce della natura (gli ibis rosa che si posano sulla terrazza romana e poi procedono per altri più ospitali nidi).

Bella anche la frase conclusiva dello scrittore mancato, che ha smesso di scrivere per vivere la concretezza della bellezza: voleva la ‘grande bellezza che è altrove e io non mi occupo dell’altrove”. È una frase che meriterebbe un libro in quanto racchiude il problema platonico della mimesi e metessi: la ‘grande bellezza’ è in realtà irraggiungibile perché è un ideale futuro, una sveglia, la meraviglia che si fa forma grazie a competenze ed abilità: nulla mai la pone nell’orizzonte dell’uomo; diceva Giordano Bruno che è solo la luce verso cui  si cammina.

Ma ciò che l’attiva, che consente la meraviglia, che fa vedere questa luce – per pensare altri libri, altri film e qualsiasi forma di bellezza – è l’Opera Mirabile, qualsiasi essa sia e la si voglia chiamare. Di queste opere l’Europa è colma, bei libri, bei film, tutto sommato una gran bella storia della cultura da ricordare e rinnovare, come sempre si continua a fare. Bella Brutta, ovviamente, i contrari sono la tensione del giudizio che si è chiamati a dare quando compare qualcosa di interessante.

Ecco il senso in cui l’Inno alla Gioia validamente è la bandiera d’Europa, la bellezza è il vessillo che ne richiama l’armonia fatta di dissonanze, le guerre e le paci che hanno accompagnato il sorgere delle grandi idee che ancora oggi sorreggono la civilizzazione, costituendo quella occidentale, suggerendo limi ad altre civiltà nel pensiero giuridico, politico ed economico, filosofico e religioso, che è ancora base – discutibile e discussa sempre – delle istituzioni storiche e civili del mondo.

Europa della cultura non solo nel senso decadente che è protagonista del film premio Oscar: ma scrivere la decadenza è portarla a coscienza e presentarla alla critica. Proprio le immagini sarcastiche di cui si nutre, alternate agli squarci d’arte, sono il miglior commento per chi voglia prendere atto della situazione: e insieme si indica che la situazione è solo il punto di partenza.

Conoscere e analizzare è il segreto del successo, ma l’azione è polemica e realizzazione. Se si vuole si dà forma al futuro possibile. Come l’arte studia ogni giorno il nuovo quadro in nuova luce, l’azione di sapere quel che non è chiaro in ogni campo è vestire la forma del nuovo in cui entrare.

Capire i difetti e approfondire non basta, senza la volontà di volere si resta nel mondo fermo di chi pensa che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Mentre l’immaginazione ogni giorno vive e suggerisce cose nuove. Può sembrare strano ma è vero, che anche in questo mondo supervelocissimo ci sia sempre chi si costruisce l’eterno, casomai nel niente.

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L’autonarrazione dell’Europa; il self-storytelling dell’UE come strategia di coinvolgimento della cittadinanza

di Mariano Bonavolontà

I dati dell’ultimo Eurobarometro sono sconfortanti, se si fa caso ai risultati degli sforzi di coinvolgimento della cittadinanza da parte dell’Unione europea.

Oltre la metà degli italiani non percepisce il sentimento di cittadinanza europea, non si sente cittadino europeo, in Italia (con altri cinque paesi) il sentimento di cittadinanza europea è al di sotto del 50%.

Questa dinamica sottostà a logiche di tipo comunicativo, spiegabili sia attraverso connaturate dinamiche informative che giungono ad una continua disinformazione o mancanza di informazione nei confronti delle istanze europee all’interno del panorama mediale italiano, sia attraverso l’ausilio delle teorie classiche della sociologia della comunicazione. Parallelamente, l’Ue reagisce a questo gap informativo attraverso due grandi strategie tecniche nel campo della comunicazione: strategie linguistico-retoriche e strategie di comunicazione diretta, nel tentativo di porsi come agente comunicativo e di glissare le distorsioni informative, creando panorami di auto narrazione, prevalentemente attraverso prodotti mediali che sfruttano immagini e linguaggi destrutturati nell’ottica strategica di una semplificazione della realtà europea, di per sé particolarmente complessa e, dunque, originariamente difficile nella sua comprensione.

Dai dati dell’ultimo Eurobarometro, inoltre, emerge che l’Italia continua a percepire come elemento unificante e cementificante per la coesione europea l’economia, al contrario della tendenza media della maggior parte dei paesi membri che hanno identificato nella cultura il quid che unifica l’Europa. È un caso, dunque, la prospettiva economica? No, perché questo sentimento si basa soprattutto sulla congiuntura attuale che ha ormai esacerbato i cittadini europei e in specie quelli italiani, soggetti a molte e costanti polemiche indirizzate a guadagnare il consenso per i partiti che si attivano in questo senso.

Tuttavia, non tutte le porte sono chiuse: paradossalmente, ciò che emerge, sempre dall’ultimo Eurobarometro, è anche un preciso sentimento federalista che appare forte anche se spesso sottinteso. Ciò matura la convinzione che il ruolo della comunicazione europea, attraverso una adeguata e meditata autonarrazione di se stessa, può far emergere questo sentimento, che potrebbe così assurgere a strumento strategico per il futuro dell’Unione.

Lo self-storytelling è opportuno per ovviare alla mancanza di informazione, che ha diretta relazione tra mancanza con la perdita di sentimento di cittadinanza europea: il caso dell’Irlanda ha segnalato come la comunicazione sia imprescindibile nel processo di integrazione europea.

La matrice del NO irlandese è ben diversa da quella olandese e, soprattutto, da quella francese. Il NO irlandese ha dimostrato agli occhi di tutto il mondo il potere della comunicazione. Ricorda infatti Ottonello: «[…] la stragrande maggioranza dell’elettorato irlandese, ancora una volta, non è stata coinvolta in un vero dibattito politico sul futuro dell’Europa. Il dato più significativo del «no» irlandese resta, a mio parere, il fatto che ben due terzi dell’elettorato non hanno votato affatto (si è presentato alle urne il 34,79% degli aventi diritto). Da un recente studio commissionato dalla Rappresentanza della Commissione europea in Irlanda, ad esempio, emerge senza mezzi termini che, nonostante un generale (e, potremmo dire, superficiale) atteggiamento favorevole degli irlandesi nei confronti dell’integrazione europea (72% molto al di sopra della media europea), il livello di conoscenza dell’Unione europea e delle sue istituzioni è decisamente scadente: in una scala da 0 a 3, il 63% degli intervistati rivela una completa ignoranza («0»), il 25% arriva a «1», il 10% a «2» e solo il 2% a «3». Altrettanto significativo il fatto che, tra coloro che hanno ammesso di non aver votato al referendum sul Trattato di Nizza, quasi la metà (44%) ha adottato come motivazione proprio la mancanza di informazione”.

Il problema informativo dell’Unione europea ruota attorno a diverse variabili, lo scarso controllo dei media – dove per controllo si intende la capacità di rientrare con proprie fonti di informazionenel bacino di contenuti dei media nazionali – facilita la dispersione dell’immagine europea, che viene continuamente dipinta da parte dei media nazionali dell’Unione europea in relazione a temi economici e diatribe politiche in cui l’UE ha la funzione di capro espiatorio di scelte “difficili”. 

A tale scopo l’Antenna Cultura di Europe Direct LUPT organizza il Convegno Croce e l’Europa all’Università Federico II il 26 Marzo, (l’invito sui siti Lupt ed Oscom) rivolto ai giovani studenti della suola e dell’Università ed alla cittadinanza che vuole meditare i temi dell’oggi ricordando la storia ed il contributo che Napoli ed il Mezzogiorno hanno dato alla costruzione dell’Europa. Ricordando come essa sia nata per un intento di pace che è partito nel Rinascimento Italiano, al tempo delle guerre di religione – come essa sia esaltata da Rifkin come un modello che gli altri stati che uniscono più popoli e più costumi dovrebbero saper imitare. In realtà l’Europa unita vive da millenni, anche se le fasi dei conflitti e delle lotte di potere sono più evidenti delle comuni letture e letterature dei dotti, delle Università d’Europa, di cui la Federico II di Napoli è stata una delle prime.

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