Giorno: 4 Marzo 2016

Scelte educative e culturali a scuola e rapporto forma-contenuti (2)

di Franco Blezza
Jan Amos Komenský
Jan Amos Komenský

Presso Gentile, autore della riforma del ’23, come del resto presso Croce che ne aveva curato un grosso lavoro preparatorio tra il ’20 ed il ’21, ed in genere presso la destra hegeliana italiana, una simile carenza di fondo rispondeva in modo molto chiaro, e dichiarato esplicitamente, ad un progetto poli­tico e ad idee filosofiche (o meglio, ad ideologie) che avevano i caratteri dell’oppressione culturale, della non democraticità, dell’asservimento dell’uomo, dell’impedimento all’evoluzione. Con coerenza ed efficacia notevoli e degne di miglior causa, si perseguiva tale progetto ideologico mediante una scuola che educasse essenzialmente all’omologazione supina ed acritica a regole aprioristicamente prefissate, e a non operare una riflessione scientifica, razionale e critica sulla realtà. Il che si ritrovava, appunto, negli insegnamenti linguistici (L1 ed Ln, chiamate “lingua italiana” e “lingue straniere”, ed altresì nel latino e nel greco antico) riferiti ad un modello linguistico rigido ed indiscutibile detto “letterario” (in realtà arbitrario se non artificioso, riferito ad un segmento ristrettissimo della letteratura, intesa solo come narrativa e poesia e fotografata ad un periodo e ad un ambiente scelti), e nell’insegnamento matematico inteso ben diversamente da come lo si intenderebbe oggi, non cioè come soluzione di problemi con ricorso alla creatività bensì come ripetizione ed applicazione di regole e procedure prefissate. Si ritrovava nelle scienze umane, come la storia umana, l’educazione civica, la storia della filosofia, la storia dell’arte e della letteratura (nel senso ristretto cui s’è accennato) che non dovevano essere considerate né insegnate né analizzate come scienze. Ovviamente, le scienze della natura erano emarginate con tendenza all’annichilazione, come poteva avvenire anche appiattendole sulle materie tecniche, e sottraendo loro settori importanti come ad esempio la geografia. Mentre le materie tecniche, private come le scienze della natura di ogni valenza culturale, educativa, teoretica e formativa, erano ridotte a puri e semplici strumenti finalizzati ad eventuali professionalizzazioni.

Oggi, dovrebbe bastare questo ordine di considerazioni ad indurre, se non proprio ad imporre, una critica essenziale a tale impostazione generale della scuola che vada alle radici, e consenta di comprendere come istanze così coerenti con la dittatura fascista, o con altra forma di concezione politica anti-democratica, siano potute essere riproposte e perpetuate per decenni nel dopoguerra, ed ancora lo siano oggi.

Popper e il Razionalismo Critico novecentesco hanno avuto tra i loro meriti quello di evidenziare la profonda ed essenziale analogia metodologica tra una logica della ricerca scientifica realistica ed attuale, la visione politica di una società “aperta” e pienamente democratica, e un’educazione antropologicamente aperta ed evolutiva. D’altra parte, si tratta di idee e principi tutti già chiaramente presenti un paio di generazioni prima presso i fondatori del Pragmatismo classico, poi ripresi dagli epigoni novecenteschi di questa corrente di pensiero, negli ultimi decenni sotto la forma di un vero e proprio Neopragmatismo tanto filosofico quanto pedagogico (Hilary Putnam, Richard Rorty).

Quando ciò non bastasse, soccorre un dato di fatto che viene troppo spesso sottovalutato, o ignorato del tutto, più o meno scientemente. È noto a chiunque abbia anche una minima esperienza di scuola che gli allievi in tutti i gradi d’istruzione pre-universitaria di oggi, e da tempo, tendono a rifiu­tare con disinteresse e con noia lo svi­luppo di qualsiasi abilità formale ed espressiva, se ciò non avviene nel contesto della trasmissione di contenuti che siano per loro significativi: proprio di quei contenuti, vale a dire, che potrebbero essere trovati egregiamente nelle scienze umane, nelle scienze della natura, nella materia tecnica, ed in altri campi analoghi.

Osserveremmo al riguardo che va considerato in tutta la sua positività il dato che ci siano i nostri allievi a richiamarci ad una evoluzione in tal senso della scuola e della didattica, che costituisce un necessario adeguamento agli sviluppi della cultura e della società democratica attuali. Ben lungi dal colpevolizzarli, dovremmo prenderne lo spunto per capire meglio noi stessi e quello che ci è richiesto dalla società e dalla cultura d’oggi, anche per uscire dalla crisi di ruolo e d’identità che ci affligge per l’unica via esistente, quella in avanti.

Ed invece, ciò cui ancor oggi si assiste è uno sviluppo delle materie espressive e formali, prevalenti o suvvalenti che siano, in tutto od in buona parte come cortocircuitandole su loro stesse.

È il caso delle varie materie linguistiche sviluppate sulle rispettive letterature (più o meno prese a “modello” nel senso detto), ovvero sulla curiosa “civilizzazione” di un solo paese nel quale la lingua è parlata. A volte si integra con qualche brano giornalistico: ma non c’è mai l’attenzione a che questo sviluppo linguistico avvenga sui contenuti scientifici o tecnici.

È anche il caso delle scienze matematiche sviluppate su problemi ed esercizi tratti dall’interno delle stesse scienze matematiche (applicazioni dell’aritmetica o dell’algebra alla geometria, ad esempio, o a problemi costruiti ad hoc).

Ed è altresì il caso dell’espressione musicale, o di quella figurativa, sviluppate con attenzione forte alle loro realizzazioni storicamente più rilevanti. O dell’espressione corporea riferita in modo prevalente se non esclusivo allo sviluppo della corporeità stessa.

A questo punto, due ordini di riequilibrio s’impongono a chi abbia preso coscienza della necessità di riportare la scuola italiana su quei binari di democraticità dai quali è stata deviata nel ’23, e dai quali da talune correnti non si è mai smesso di lavorare perché rimanesse lontana.

  1. Uno riguarda la ripartizione equilibrata di risorse umane, temporali, materiali e professionali tra i diversi domini nei quali si può suddividere la cultura umana, l’esercizio della creatività dell’uomo: appunto le materie espressive e formali, le scienze dell’uomo (che potrebbero comprendere, con la storia umana e con la storia del pensiero umano in tutte le sue concretizzazioni, scienza e tecnica comprese, anche la storia delle letterature e le varie “civilizzazioni”) se ed in quanto esse vengono trattate come scienze in senso stretto, le scienze della natura (restituite alla loro integralità, cioè comprese la geografia e le materie a base sanitaria o comunque riferite all’organismo umano, e alla loro dimensione teoretica e cognitiva) e la materia tecnica (restituita anch’essa alla dimensione teoretica e cognitiva, che è diversa da quella delle scienze).
  2. L’altro riguarda il superamento dell’attuale perseveranza a pun­tare quasi tutto sull’espressione linguistica (1a, 2a, 3a e fin 4a lingua …) rispetto alle altre (appunto musicale, figurativa, logico-matematica, corporea, manuale-pratico – operativa, informatica, …).

Per esplicitare meglio, ora, la proposta che è implicita ma già chiaramente leggibile nelle osservazioni precedenti, dobbiamo distinguere il discorso de iure condendo da quello de iure condito. Vanno fatti entrambi e contestualmente, ma non confusi.

Parlando de iure condendo, è il momento di inserire nelle proposte di riforma, di sperimentazione, e nei progetti in tal senso il principio del riequilibrio totale, almeno tendenziale, nel senso anzidetto: vale a dire, tra le materie espressive e formali, tradizionalmente privilegiate, e le scienze umane (restituite al loro ruolo culturale ed educativo di scienze), le scienze della natura (restituite alla loro dimensione teoretica e cognitiva e, quindi, anche educativa) e la materia tecnica (anch’essa restituita alle proprie valenze teoretiche e educative che sono differenti e specifiche).

Del resto, lo ius condendum non è solo un esercizio teorico ed astratto. Prima che si imponesse, in parte, l’attuale pesantissima inerzia, i programmi e altri elementi importanti della scuola cambiavano ogni 10 – 15 anni: basta un po’ di storia della scuola per rendersene conto. In questo senso, c’è stata a lungo eccessiva inerzia nel quasi mezzo secolo di “prima repubblica”, soprattutto per quel che riguarda la scuola superiore; e c’è stata una linea realistica frenesia di avvicendamento di riforme mai attuate e quindi mai controllabili nelle rispettive conseguenze durante tutta la “seconda repubblica”.

Se, insomma, fino a circa vent’anni fa si era portati a considerare lo ius conditum come una sorta di ius immobile et immutabile, il concetto si è fatto sostanzialmente inafferrabile negli ultimi vent’anni.

Ad ogni modo, parlando de iure condito checché ciò significhi, deve essere innanzitutto chiaro che si opera in un contesto normativo che rimane in controtendenza rispetto alle linee evolutive della cultura, dell’educazione, della società odierna.

In tale situazione critica, una possibile soluzione consiste nel valorizzare appieno il carattere di trasversalità intrinseca delle materie che persistono ad essere privilegiate nonostante tutto: si tratta di non farne uno Slogan valido a mantenere una scuola fuori della realtà attuale per ragioni di interesse privato, bensì una via di valorizzazione ed, insieme, di funzionalità al progresso della società e della cultura odierna.

In effetti, fare un’ora di chimica o di storia o di elettrotecnica (ad esempio) significa in qualsiasi grado di scuola fare già un’ora di italiano in senso pieno (esattamente come se si parlasse di letteratura e, probabilmente, anche con maggiore efficacia educativa); e potrebbe significare aver fatto anche una buona mezz’ora o più di scienze matematiche, di espressione iconica, di manualità pratica, d’informatica e così via.

Questo potrebbe aiutare molto lo ius condendum, corredandolo di quelle idee di base nuove delle quali si sente un grande bisogno; ma ha un’applicabilità immediata anche allo ius conditum, basta che non si pretenda d’inchiodare i contenuti alle forme, ma al contrario si cerchi di adeguare il dispiegamento delle seconde alle priorità educative e culturali dei primi.

All’atto pratico, ciò significa che gli insegnanti che si vedono invariabilmente assegnare spazi, risorse ed orari largamente prevalenti si sentano impegnati, anche per ragioni strettamente didattiche e di interessamento dei loro allievi, a sviluppare le loro materie nel contesto della veicolazione di contenuti significativi per gli allievi stessi, a cominciare proprio da quelli che possono (e, forse, debbono) essere ricercati nelle scienze della natura, nelle scienze dell’uomo, nella materia tecnica ed in domini consimili.

Ciò significa, inoltre, che essi cercheranno altresì quei nessi che vi sono tra le modalità espressive da loro sviluppate e le altre, meno o per niente considerate in ciascun ordine e grado di scuola.

Ad essi dovranno corrispondere analoghe ristrutturazioni nei fondamenti delle materie di competenza degli altri insegnanti, come sarebbero un’organica scientificità senza residui nelle materie antropologiche, ed un rifiuto della confusione tra scienza e tecnica; ed il riconducimento di tutte a dimensioni culturali ed educative ad ampio spettro, con il rifiuto di qualsiasi strumentalità malintesa.

Non si tratta di scomodare parole spesso abusate, come ad esempio “interdisciplinarità”: tanto più che molta letteratura del settore e gran parte dell’espressione ministeriale equivoca fortemente da decenni proprio sul concetto di “disciplina”. Si tratta, semmai, di prender atto di ciò che è possibile fare da parte di ciascun insegnante, immediatamente e senza un impegno notevole se non nel superare pregiudizi e schematismi latenti quanto disumani.

All’atto pratico (e, forse, non a quello psicologico), sono piccoli passi per l’insegnante, ma dall’enorme dispiegamento di conseguenze per i suoi allievi proiettati nella società del domani.

GF SAGGI BLEZZA Scelte educative e culturali a scuola e rapporto forma-contenuti (2)

La qualità nelle istituzioni scolastiche – L’equilibrio del docente tra inclusione e rigore (2)

di Vincenzo Curion

TQMIl Docente a confronto con i modelli della qualità. L’approccio per processi.

I processi di lavoro del Docente, anche se ben formalizzati, devono esser sottoposti ad una verifica. Non basta la semplice pianificazione degli stessi, occorre una fase di controllo e di ripensamento delle stesse operazioni pianificate per saggiarne la bontà. Nell’Organizzazione, verifica e ripensamento sono sia attività condotte dal singolo Docente, sia collegialmente in sede di Istituzione Scolastica. Il perché di questo duplice passaggio è da ricercare nei requisiti cogenti l’azione didattica: E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.[…] L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. [..] La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.” (cit Artt.3 e 33 Costituzione Italiana)

La responsabilità d’istruire, come di educare ed insegnare è del singolo ma, il ruolo di definire il percorso-processo del discente è determinato da una comunità che è istituita secondo legge, riconoscendo da un lato che il sapere è vasto e complesso e non detenibile da un solo singolo; dall’altro che non può esserci un monadismo nel formare l’individuo.

Non si vuole ricreare una summa bensì una conoscenza socializzata (cit. Art.3 Costituzione Italiana), dunque occorre un’azione che sia quanto più possibile di gruppo.

Nell’azione di riesame e in quella di coordinamento i modelli di gestione possono intervenire perché concepiti per sostenere con rigore la riflessione a cui è chiamato sia il Docente sia il gruppo dei Docenti. In particolare, i modelli, sia quello proposto dal TQM, sia quelli ISO, sia quello dell’EFQM, che sono i principali riferimenti riconosciuti in ambito PA e in special modo nel settore della formazione formale, sono tutti concordi nel riconoscere che il successo “sostenibile dell’organizzazione” è nella capacità di continuare ad essere un punto di riferimento per gli utenti e nella volontà di percorrere strade nuove prima di altri. Quest’ultimo aspetto non va visto come una spinta del singolo alla sperimentazione e alla frammentazione dell’offerta formativa. Percorrere nuove strade prima di altri va inteso come stimolo per il miglioramento del Sistema Scolastico Nazionale che deve essere pronto a recepire criticamente le prassi e le soluzioni adottate dalla singola comunità di apprendimento per dare diffusione a quelle ritenute plenariamente più efficienti ed efficaci.

Il senso della sperimentazione che deve guidare l’attività didattica è sempre quello di trovare una strategia per il miglior soddisfacimento dei requisiti individuati assieme alle Parti Interessate.

L’organizzazione scolastica e la leadership.

Le norme sottolineano che la responsabilità dell’azione sia del singolo ma che ogni singolo è supportato dall’Alta Direzione che si fa carico di ispirare e riconoscere i meriti delle persone operanti.

Le nuove direttive ministeriali, che nel quadro complessivo rappresentano i requisiti cogenti, ridefiniscono il ruolo del Dirigente Scolastico. Al di là dell’aspetto legislativo, in tutti i modelli dei sistemi di gestione si rimarca notevolmente che il valore dell’Alta Direzione è nella sua leadership. Riconoscere autorevolezza nel fissare, sempre d’accordo con il Consiglio d’Istituto, vision, mission e politica della qualità di un Istituto è un compito non da poco.

Sono richiesti acume nella visione prospettica del mercato del lavoro, capacità di delega, fini doti di ascolto ed una incrollabile propensione a valorizzare i propri collaboratori e i discenti che la Scuola accoglie. Il tutto non disdegnando una buona conoscenza dell’economia e della gestione di un’organizzazione, e di Europrogettazione, necessaria per dare all’organizzazione gestita, la dimensione internazionale che può rappresentare il quid in più per la scelta da parte delle famiglie dei discenti.

Nelle Norme, l’Alta Direzione ha un profilo di primo piano e di grande responsabilità. Nella logica della Scuola, a seconda del territorio dove è incardinato l’Istituto, alla Dirigenza è richiesto di avere un carisma ben più forte di quanto traspare dalle Norme stesse.

Spesso infatti le criticità che emergono dal territorio renderebbero estremamente antieconomico continuare l’azione ed è solo l’attaccamento al ruolo di polo culturale che l’Istituzione Scolastica si è data per tramite del Dirigente, che spinge l’organizzazione a proseguire nella difficile operazione di mediazione culturale e sociale.

Come riporta la norma UNI EN ISO 9004:2009, adottata come strumento di accreditamento scolastico nel lungo periodo:” I leader stabiliscono unità di intenti e di indirizzo dell’organizzazione. Essi dovrebbero creare e mantenere un ambiente interno che coinvolga pienamente le persone nel conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione.”

Il testo delle Norme sottolinea che dalla leadership derivino benefici come “la comprensione e la motivazione delle persone coinvolte verso gli scopi e gli obiettivi dell’organizzazione”. Ma anche che “le attività sono valutate, allineate ed attuate in un modo unificato ed è ridotta al minimo l’insufficiente comunicazione tra i livelli dell’organizzazione”.

Il Docente, un mediatore esperto nel raccontare la sua disciplina.

Essere Docente significa, in termini gestionali, anche offrire un servizio di mediazione disciplinare. La mediazione avviene attraverso le parole, la gestualità, le immagini, le metafore, i disegni della propria professionalità. Tutto ciò può essere racchiuso nel termine omnicomprensivo di narrazione disciplinare.

La necessità del racconto discende dal considerare che :”Esiste una rete narrativa che filtra le nostre percezioni, stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, eccita i nostri sensi, determinando risposte multisensoriali. È una rete intessuta di materiali simbolici, trama delle storie che viviamo e al contempo introiettiamo.[…]” (Bal 1997).

Raccontare una disciplina non è solo una forma di divulgazione ma è anche una presa di coscienza

che:“ Tutta la storia umana è una storia di storie. Discorsi narrati e tramandati e che a loro volta hanno generato altri discorsi orientando le identità del genere umano e le vicende storiche.” (Bal 1997).

Se “la nostra vita quotidiana è costantemente avvolta dalla rete di questo racconto”, andare a collocare la propria disciplina all’interno di questa rete, può rivelarsi una soluzione strategica per trasferire il proprio sapere. Questo perché “All’interno delle quotidiane dinamiche, ogni nostro gesto (culturale, fisico, emotivo) è sostenuto anche da trame di desiderio non razionali, sintesi decisionale multisensoriale, di natura narrativa. “La nostra personalità è uno script, il prodotto meta-storico delle narrazioni che abbiamo incontrato e che abbiamo fatto nostre” (teorie del “Sé come testo”) (Bruner). Il dialogo interiore è prima ancora che immagine mentale (Grandin), un “format discorsivo” che si alimenta e filtra ciò che viviamo. Saper gestire la narrazione affinché la propria disciplina si innesti e vivifichi nel tessuto del discente è un processo non dissimile dai processi di fidelizzazione a cui si richiamano i diversi modelli di gestione. La conoscenza, l’insegnamento, deve radicarsi nel vissuto del discente perché possa essere disponibile nel momento in cui la realtà contingente ne richiederà l’uso. Perché ciò avvenga è necessario che anche l’azione mediatrice avvenga nel rispetto di norme di qualità. L’azione di mediazione non può essere coercitiva – quali sarebbero poi i risultati?- e allo stesso tempo deve essere efficace poiché soltanto il radicamento permetterà al discente di avvalersi di quanto gli è stato offerto attraverso il servizio di mediazione.

La formazione continua del Docente e le risorse per la didattica.

Affinché il processo di mediazione sia efficace ed efficiente e percepito come soddisfacente dal discente è necessario che sia sostenuto da mezzi e metodologie.

Il Docente deve essere competente nell’uso sia delle tecnologie, passate o recenti, sia delle metodologie, consolidate o di nuova introduzione. Laddove sia necessario, deve essere affiancato da persone con opportune conoscenze che sopperiscano per il tempo necessario affinché il sistema vada a regime. Va da sé che questa sussidiarietà è legata ad aspetti contingenti del sistema di reclutamento delle risorse dei Docenti. Migliorando il processo di selezione del personale docente, possono esistere margini di intervento per migliorare il servizio. Una volta che il Docente è impiegato nell’Istituzione Scolastica, la sua formazione diventa una leva strategica per l’Organizzazione che deve puntare a favorire le occasioni di formazione continua. Sia nel modello ISO sia in quello TQM la formazione è un onere di cui si fa carico l’Alta Direzione che, a fronte della formazione erogata, mantiene aggiornate registrazioni e si adopera perché le persone siano libere di agire con responsabilità e capacità di rendere conto; incoraggiate a fornire il proprio contributo, adoperando tutti i mezzi dell’Organizzazione.

Nel processo di attuazione della progettata azione didattica e nel periodo di “assedio informativo” contingente, il Docente e l’Istituzione Scolastica devono essere imperativamente attori di un’economia del simbolico praticata sia sul piano degli oggetti materiali (simboli oggettivati), sia sul piano interiore. Ciò che desideriamo per noi stessi come persone è un processo di selezione di desideri (simboli interiorizzati), dunque un processo economico sia pure inconsapevole. L’azione del docente e dell’Istituzione Scolastica tutta, è un processo di canalizzazione del desiderio verso obiettivi che siano di più lunga durata e di più sostanziale soddisfacimento di modo che possa beneficiarne tutto il tessuto sociale.

Nel novero del Processo Didattico c’è anche quella azione del Docente che concorre a favorire nel singolo, il processo di selezione dei traguardi della propria esistenza istruendolo all’uso di strumenti e mezzi che sono universalmente riconosciuti come abilitanti per l’inclusione: i linguaggi, la scrittura, il disegno, il gesto, il suono, il colore.

La narrazione non può prescindere dal rigore nell’acquisire padronanza di questi mezzi poiché l’uso distorto degli stessi, solo eccezionalmente e solo ad un esiguo numero di individui, consente comunque l’inclusione nel gruppo sociale che li ha promossi e che indistintamente preme sul singolo affinché costui si conformi nell’uso dell’espressività al gruppo, sia pure solo per rappresentarne istanze.

La narrazione, comunicazione sia d’esperienza sia di senso, ha vissuto un lungo excursus. Un tempo fu solo orale. Successivamente, è stata disegnata, scritta ed ora è anche multimediale, non soltanto dal lato del comunicatore (immagini, suoni, percezione, realtà immersive) ma anche dello spettatore (risposta multisensoriale).

L’aumento degli strumenti non ha svilito la significatività ma anzi la ha arricchita di sfumature che devono essere gli elementi di discrimine per perseguire gli obiettivi di personalizzazione e di individualizzazione che sono da tempo riconosciute strategie di intervento didattico, le quali traducono in pratica il principio pedagogico della centralità del soggetto, con la sua storia di apprendimento, le sue caratteristiche specifiche, i suoi bisogni e i suoi desideri e la sua tensione verso il successo formativo. Esse stesse sono attuazione del principio della qualità di centrare il successo dell’Organizzazione sull’utente da soddisfare.

Le risorse dell’Organizzazione Scolastica. Strumenti per la narrazione e didattica per progetti.

In principio fu la narrazione a cui il disegno faceva da sostegno. Dal pittogramma paleolitico si è passato all’ideogramma ed al grafema. Il disegno si è prima raffinato poi si è ammantato di emozioni e si è personalizzato per mano dell’artista. Accanto a colore e forma, i fondamenti della pittura, sono sorte nuove tecnologie che hanno permesso nuove modalità di divulgazione. Immagini fisse ed il film, immagini in movimento. Ogni mezzo ha una propria grammatica, ampia e complessa per rappresentare, spiegare esporre, emozionare, giacché è l’emozione una chiave d’accesso preferenziale dell’apprendimento (D. Goleman) e del coinvolgimento che soddisfa l’utente.

Gli spettatori, consapevoli o meno, assistono quotidianamente al dipanarsi di storie e d’intrecci molto articolati e complessi che l’industria dell’intrattenimento produce e diffonde attraverso i canali televisivi e cinematografici. Di fatto si autoeducano attraverso un point of view talvolta dimentico di una vera e propria “codifica”, frutto della ricchezza dei mezzi e dei ritrovati tecnici, noti agli addetti ai lavori di regia.

All’Istituzione Scolastica, attrice dell’economia del simbolico, è data la possibilità di adottare i mezzi dell’industria dell’intrattenimento a patto che le azioni e i progetti che essa sostiene siano riconducibili alle finalità della stessa Istituzione. Ancora una volta un attivo sistema di Gestione della Qualità, all’interno dell’Organizzazione, imporrebbe al Docente di operare per la selezione dei contenuti filmici avendo sempre chiara la vision dell’Istituzione Scolastica e del Sistema Scolastico Nazionale. Ciò gli permetterebbe di orientarsi con maggiore sicurezza nel mare magno delle tematiche sempre più spesso pensate per un ideale spettatore senza età e senza tempo, in grado fruire indistintamente il reality, la sit-comedy, la fiction, il film d’autore, il documentario. In quanto narratore della propria Disciplina il Docente sa che tutti questi generi sono diversi tra loro e andrebbero fruiti con diverse soglie d’attenzione e partecipazione, notandone differenze e accogliendo in maniera critica i messaggi che i diversi oggetti portano.

In una didattica per progetti, dove cioè sia possibile programmare tanti progetti non per unità didattiche disciplinari, ma per fini pluridisciplinari, il Docente dovrebbe disporre anche di mezzi filmici per condividere messaggi. Egli dovrebbe così chiedersi se ci sono stati o ci sono altri modi di raccontare; se il film d’autore è l’unico che possa trasferire un messaggio “profondo”. Quale messaggio è davvero serio? A quale tipo d’immagini va affidato un messaggio educativo? Uno di denuncia?

C’è il rischio di un consumo acritico e onnivoro di immagini, nel qual caso l’utente non sarebbe più formato ma solo intrattenuto a causa dell’eccessiva pervasività del mezzo. In questo caso, operare in qualità vuol dire governare il processo e non lasciarsi governare dal processo per quanto allettante possa essere il mezzo che lo attua. Proprio procedendo attraverso una didattica per progetti si comprende come lo strumento dello storytelling didattico debba sì essere introdotto nel processo governato dal Docente, ma deve anche accadere che il Docente fornisca al discente i mezzi per districarsi nel mare magno delle immagini per permettergli di continuare a cogliere il senso di quanto gli si presenta. La selezione che il Gruppo Docenti deve effettuare è un atto di tutela nei confronti del discente che, prestando attenzione concorre alla realizzazione dell’atto comunicativo, per aiutare ad agire in prima persona secondo regole.

GF saggi CURION La qualità nelle istituzioni scolastiche (2)