Il terrorismo nelle lettere di Mario Perniola

di Gily Reda

Luperini o Fofi o Perniola

Gerusalem! Pietra su pietra non c’è restata

È il nulla che opponete alla Coca Cola

Pier Paolo Pasolini in Nuovi Argomenti

Lo cita Perniola in Del terrorismo come una delle belle arti. Storiette, Milano, Mimesis 2016: i versi, francamente, mi erano sfuggiti. In coda al libro, come il libro è in coda alla sua vita, suona come un congedo con sberleffo, si direbbe, alla Arlecchino, o fu un ritorno di verità? Non solo di sincerità, perché non lo ha mai abbandonato, gli donò lo stile fluente del grande conversatore, come Voltaire. Un grande, che ha potuto coronare nella sua vita i suoi sogni.

Chi lavora all’Università ha visto spesso questo dualismo tra il dire e il fare, lo scrivere e l’agire. Ma difficilmente questo si accompagna alla semplicità di chi non ha dovuto imparare la dura arte del carrierista, trovando le strade per conservarsi elegante. E perciò questo libro quando uscì mi destò molti dubbi – fu come un gettare la maschera, abituata a leggerlo per citarlo, più che per dialogo, per i motti preziosamente incastonati in una istruttiva lettura del presente. Un sincero, profondo, cinismo di evocare una tragedia immane nel tornaconto personale. Si spezzò una generazione sognatrice ma gloriosa, opportunamente godendo del successo che arride ai traditori, formando una classe intellettuale e politica che ha generato lo sfascio presente, condensata in storiette. Eleganti.

Si inizia con Mara Cagol – che fu certo terrorista ma del tipo Robespierre – omologata come donna e non come martire di una battaglia sbagliate, ma sincera. Lo sfottò finale. E si continua poi nel precipizio di nomi e storie gradevoli a leggere, per chi non soffrì l’ecatombe degli anni ’70 e ’80. Gli esiti politici sono dinanzi ai nostri occhi.

Ma qui si parla di intellettuali: c‘è una classe intellettuale che non sa che fare di fronte all’incedere dei nuovi tempi e continua a fare domande al pubblico. Ma allora, perché fanno quel mestiere? Risposta ovvia ma dolorosa.

Il nulla opposto alla Coca Cola oggi lascia scorrere fiumi di latte dei pastori sardi – che fare?

Certo la crisi morale e ideale non è originata dagli intellettuali traditori, ma dalle comunicazioni di massa e dalla rete che ne è derivata; ma dov’erano questi intellettuali allora? Dov’erano altri che diedero risposte.

L’espressione trahison des clercs risale al primo Novecento, autore Julien Benda, che denunciò i pecati di omissione, dice la Chiesa. Quanti scrittori e giornalisti, e artisti, e religiosi: avevano avallato il sorgere dei regimi totalitari – nonostante le chiare polemiche di chi vide il pericolo in tempo. E combatté? Chi perde tempo a pensare è spesso debole, non sa conquistare l’estro dei potenti, come sa fare il cantore. Nelle ‘storiette’ di Perniola si segue la strada dei cantori, civettuola e curiosa, dotata di lucida ironia, che lascia in bocca un che di amaro. Fa riflettere su quale sia il ruolo dell’intellettuale, se questa società vede ancora un ruolo in questa parola resa oscena dall’uso.

Il ruolo dell’intellettuale resta, va detto ai giovani, che ormai cercano idee nei rigagnoli. È, io credo, quello di Platone, che ogni volta che entra in politica gli va male e molto male – ma della sua Repubblica si parla ancora. Quello di Bruno, addirittura bruciato vivo, che della politica odierna anticipò le idee più umane e belle – la pace universale. Bruciato perciò, proprio perciò, a cinquantadue anni – altra cosa che lascia interdetti, se si considera quel che ha fatto e scritto: Platone come Socrate, d’altronde, avevano guadagnato gli 80…

Il valore di tutti questi e degli altri tanti che dissero cose giuste per i loro tempi, non sempre venne inteso. E quando lo fu, come capitò agli Illuministi, forse meglio se non era – si scambiò per pronto cassa quello che era un investimento futuro.

Bisogna continuare ad avere fede nelle idee, anche se tanti cercano di convincerci del contrario, col loro champagnino in fresco. Studiare, meditare e certo dubitare, dubitare e insegnare a dubitare, che un titolo così terribile come quello di Perniola sia vero, come di certo ha detto chi ne ha parlato. Il terrorismo non è una storiella, strano che nonostante anche lui abbia vissuto Nine eleven, le giornate di Svezia, di Parigi eccetera eccetera non sia riuscito a capire! Me lo sarei aspettato, francamente, visto che io lo capii negli anni ‘80. La recente confessione di Cesare Battisti mi ha riportato alla mente questa nota, che allora, quando lessi il libro, non volli scrivere.

GF Gily Il terrorismo nelle lettere di Mario Perniola