Il web che uccide 2: un’altra giovane cybervittima

di Anna Irene Cesarano

tcIl web fa parlare ancora di sé.

Sì perché può essere tanto utile quanto pericoloso, e secondo me il compito di studiosi e utenti delle nuove tecnologie è sia insegnare i vantaggi e i benefici in ambito educativo, ma anche e soprattutto informare sui rischi e sugli interrogativi a volte inquietanti che esso solleva. Questo argomento divenuto scottante negli ultimi tempi, si fa più urgente quando a pagarne il prezzo sono persone con la propria vita.

Tiziana Cantone bella, solare, tutto comincia per scherzo. Quando gira dei video hard insieme al compagno e poi li inviano ad alcuni amici su WhatsApp. Tiziana certo non immaginava tutto quello che sarebbe successo. I video, non si sa come, finiscono in rete. È l’inizio della fine. La ragazza 31enne napoletana cerca in tutti i modi di rimuoverli, denunce che non servono a niente contro la capillare diffusione sui new media. Tiziana sprofonda in una crisi depressiva colmata in un suicidio (si impicca con un foulard) il 13 settembre 2016 nella sua abitazione a Napoli.

Posto il fatto che la ragazza era consapevole di essere filmata, ma anche che non ha mai autorizzato alla sua diffusione sul web, e bando alle stupide ciance e insulti come il caso dello stadio di Treviso o di qualche noto personaggio che si è elevato a portavoce morale (quando ovviamente non poteva), rimangono numerosi interrogativi.

Strumento o emergenza? Comunicazione o violenza? Privacy o libertà? Sono queste le nuove sfide educative da affrontare, temi complessi e cogenti della post modernità. Se Umberto Eco diceva che il dramma di internet era stato quello di promuovere lo “scemo del villaggio” a portatore di verità, siamo dinanzi a un bel problema per il quale non ci sono soluzioni pronte. Vero è che internet ha dato la parola a tutti, e il permesso di insultare anche dopo la morte (come è avvenuto per Tiziana), ma vero è, anche il fatto che non è da incolpare come strumento. Oggi si pone con forza l’urgenza di una regolamentazione da parte delle istituzioni, limitazioni e controlli alla pubblicazione di materiale e ai commenti degli users, altrimenti questa libertà di espressione e di parola oltremisura si configura come un’anomia, un disordine, un caos, che dà potere a chiunque di fare qualsiasi cosa. Il fascismo della lingua (Barthes) è proprio questo! I new media ci obbligano a dire tutto di noi, a pubblicare, a condividere, a partecipare come abitanti dello stesso villaggio.

Ma dall’altra parte dello schermo sappiamo chi c’è? Chi guarda, chi osserva, chi usa le nostre foto, o i nostri video. Il caso di questa ragazza è inquietante, più che tenerezza mi intimorisce, perché dinanzi a noi c’è una grande rete, troppo ampia per controllarla, monitorarla. In un click può spezzarsi una vita, in 5 minuti può crollare una reputazione, in un download può finire una speranza.

Si insiste in ambito educativo sulle novità che le nuove tecnologie hanno apportato e mettono a disposizione dell’utente, ma non si focalizzano i nuovi problemi che esse trascinano dietro di loro. È quanto ribadito da Derrick de Kerckhove, come scienziato umanista e guru della comunicazione, la competenza informatica deve essere anche e soprattutto accompagnata dall’attenzione ai disagi e alle difficoltà quando interagiamo con le nuove tecnologie. Dobbiamo essere coscienti di quanto le nuove tecnologie cambino il nostro di mondo. Non un aut aut ma un et et: essere coscienti del fatto di quanto essa cambi l’evoluzione della storia umana, i costumi e lo sviluppo delle idee semplifica il lavoro di addestramento informatico.

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