Islamici

di Clementina Gily

In un volume collettaneo, Islamic Ethics of Life, Abortion, War and Euthanasia, Reinhardt vuole affrontare temi vivi nel dibattito contemporaneo, colti dal punto di vista di un altro punto di vista religioso: parla di liberal art of education, da un punto di vista che noi definiamo laico, che invece dice seculare. È un libro per gli studenti, per dare l’idea dell’etica islamica, non facile da ridurre ad uno per la mancanza di una chiesa centrale. Il Qu’ran ha le sure che sono la parola divina; poi ci sono pensiero e vita di Maometto e i commenti antichi. Il corpo dottrinale è quindi vasto e vario e contiene molte affermazioni diverse di cui molte, e diverse, compaiono nelle fatwas, le opinioni, che a partire da Rushdie sono diventate molto note anche all’estero: tutte sono legate all’ampio corpo dottrinale.

Il Muslim è autorità di religione e vita, e le collezioni diventano leggi. Ma sono pochi sono i riferimenti ai temi in esame, aborto e eutanasia, solo guidano il pregio della vita del tutto legata alla volontà divina, quindi impedirebbero i temi degli scontri tra le vite nella vita comune, non in stato di guerra. In genere l’aborto è reputato lecito entro i 120 giorni, ma è necessario come per tutto quel che riguarda le donne il consenso del marito. Le madrasse sono le scuole della legge islamiche che educano i Qadi che insegnano i giudizi, e i Mutti che si occupano delle fatwas. La legge quindi rientra nella religione ed è amministrata da corpi educati religiosamente e con una casistica tanto complessa da dare adito a dispute che ricordano quelle europee d’epoca medievale. Molti affrontano i problemi invece legandosi al mondo occidentale, jus ad bellum e jus in bello; più spesso il paragone è difficile. Il verso più discusso nel tema è rispondente al numero 6:151, 17:33, 25.68: la vita: “non uccidere la persona che Dio ha fatto sacra, eccetto che a causa del diritto”. Ma il feto è persona? E poi, cos’è il diritto? La shar’ia non è traducibile come d’uso legge islamica:  è La Via, Sigh? Non è il diritto ma una insight, perché la legge islamica stessa è un sistema etico, che oscilla tra l’occasionalismo e l’atomismo, Dio può fare tutto ed è tutto, è immanente, tutto viene rivelato, ogni caso è nuova occasione per riflettere sulla sua volontà – ma il Corano combatte il conseguente fatalismo,  conclude che questa indagine confusa pone variabilità delle posizioni e il forte legame del tutto a posizioni premoderne.

R.C.Martin ( Discussion on Jihaf in the Postmodern Era) evita il confronto oriente occidente, spesso falsante e orientato sulle fatwas. Nel Qu’ran la jihad è “qualsiasi cosa si fa nel segno di Dio” giudizio ampiamente citato nella lettura tradizionale (presente in altri saggi) da autori che mostrano come la possibilità delle lettura è infinita. Guarda perciò a casi concreti per fare una teologia comparativa, seguendo l’esempio di Mustansiz Mir nel 1991. Sono tre le forme di Jihad 1. Contro i nemici dell’Islam musulmani 2. Contro i non musulmani 3. Contro le visioni del mondo non musulmane che invadono la tradizione islamica.

1 – 1981 Sadat è ucciso da Khalid al Islambuli che dice “ho ucciso il Faraone” con riferimento biblico all’oppressore, nel segno dell’ideologo ed elettricista ‘Abd al Salam Faragj, autore di il diritto assoluto praticamente una fatwa, sesta colonna dell’Islam, che rivendica la Jihad dimenticata dagli ulema (sapienti). Maometto dice di ‘essere stato mandato con la spada’ convinzione efficace che I Sunniti restringono alla guerra di difesa: Faragi, il cui libello è diventata riflessione comune, parla invece di un diritto individuale a battersi per Dio con ogni mezzo persino assimilando i figli con i padri.

2. Radicali – nemici interni. Si sviluppa dopo il Desert Storm con le fatwas di Osama Bin Laden del 23.1.978 in arabo sul giornale in inglese sul web, che sono moltissime  e parlano del diritto alla guerra contro Ebrei e Crociati, estendendo la caccia di jihad al mondo intero, specie America ed Europa che occupano da l’Arabia continuando le crociate contro Dio. Già del 90 Yvonne Haddad parlò di ‘guerra delle fatwa’ cominciando con la Guerra del golfo del 90.91. Tantawi ne scrisse una di 5 pagg per sostenere Mubarak contro l’Iraq e fu diffusa dall’ambasciata egiziana di Washington.

3. Contro il materialismo secolare. J.Kelsay ha osservato quel che accade in Bosnia e Cecenia come il linguaggio antimoderno delle comunità islamiche oppresse diventi preminente, tornando al detto di Mistandis  Mir di assumere la modernità solo leggendo il Qu’ran. La Bosnia è il punto di rottura dove si vede che la questione è da considerare come la lotta dell’Islam contro la civilizzazione occidentale, la guerra delle fatwa è contro la civilizzazione tipica dell’Occidente; la si combatte in rete sin dall’inizio. Perciò alcuni, John Esposito, Bruce Lawrence, discutono la violenza diffusa dai media come elemento centrale, vero obbiettivo musulmano che si stenta a capire. I Sunniti sono sempre meno forti, i radicali brandiscono argomenti premoderni con mezzi ultramoderni.

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