L’anacronismo delle immagini: Aby Warburg (1)

di Viviana Molino
Ghirlandaio - Nascita di Giovanni Battista (dettaglio)
Ghirlandaio – Nascita di Giovanni Battista (dettaglio)

“L’immagine è un’entità

tragicamente sopravvissuta ad un’esperienza”

Man Ray 

Pensare oggi all’immagine ci proietta in uno spazio affollato, confuso e pieno di domande irrisolte. Siamo sottoposti ad un bombardamento visivo, che, in molti casi, annienta la nostra capacità critica, ci rende osservatori ciechi e, soprattutto, analfabeti, se consideriamo l’immagine da un punto di vista morfologico.

La proliferazione incessante di immagini non conduce, infatti, ad una loro maggiore accessibilità o comprensibilità (basta pensare, ad esempio, alle immagini pubblicitarie), ma, al contrario, fa di noi cavie umane facilmente manipolabili. Ma questa non è dichiarazione di iconofobia, afferma invece dal bisogno di rintracciare mezzi adeguati per far fronte al problema, visto che da sempre l’immagine è stata oggetto di riflessioni filosofiche e teologiche.

Il culto che proibisce le immagini risale al testo biblico in cui è espressamente scritto: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.” [Exod. 20].

La storia delle religioni è da sempre testimone di furie iconoclaste, dall’impero bizantino, al periodo dell’inquisizione cattolica, alla guerra alle immagini durante la riforma protestante, fino ai talebani in tempi recenti che hanno distrutto le statue di Buddha,[1] per non parlare dei recentissimi episodi di violenza svoltisi a Parigi con la morte di dodici giornalisti e vignettisti del settimanale satirico Charlie Hebdo, ad opera di fanatici integralistici islamici, per la pubblicazione di alcune vignette su Maometto ritenute blasfeme.

È facile, quindi, intendere come le immagini siano state e sono capaci di scatenare forti passioni, anche senza far riferimento a episodi mossi da sentimenti religiosi.

Platone riteneva l’immagine, εἴδωλον, fautrice del falso, capace solo di confondere le idee, e, per questo motivo, aveva negato all’arte il diritto spirituale di cittadinanza all’interno dello Stato ideale.

La posizione di Platone, come ci invita a riflettere Ernst Cassirer nella conferenza Eidos ed Eidolon il problema del bello e dell’arte nei dialoghi di Platone pubblicata nel 1924, non rappresenta una condanna assoluta, eidos e eidolon, εἶδος e εἴδωλον, sono vincolate in un unico abbraccio dalla loro comune radice, ἰδεῖν (idein) vedere.[2]

Il nostro vedere intelligibile passa cioè per il vedere sensibile, il nostro spirito vede quindi attraverso gli occhi del corpo.

Perché, come già sosteneva Aristotele, noi pensiamo per immagini, associamo nella nostra testa il linguaggio, la parola, ad immagini osservate.

A tale proposito, come l’ipotiposi o l’antica pratica dell’ecfrastica, l’immagine e la parola si supportano vicendevolmente come nel caso della stampa e della fotografia, delle immagini scientifiche o ancora dell’ambito pubblicitario.

Il secolo scorso ha, infatti, visto svilupparsi usi completamente nuovi e innovativi delle immagini, usate ad esempio come strumento di difesa in caso di conflitti, come le immagini riprese dai manifestanti a Genova durante il G8, che attestano la violenza esercitata dalle forze armate, o le immagini al servizio della scienza riprese dai satelliti.

L’immagine quindi domina il nostro quotidiano.

Il problema è che, in realtà, forse noi non siamo ancora in possesso degli strumenti culturali e metodologici necessari per far fronte a questo fluire incessante e sempre crescente di immagini, quasi destinato a sopraffarci.

Kant in un saggio pubblicato nel 1786 si chiedeva cosa potesse significare orientarsi nel pensiero; oggi, che le immagini hanno invaso il nostro mondo e, quindi, anche il campo del nostro pensiero, per cui non è possibile pensare senza il supporto delle immagini, la domanda che bisogna porsi è come orientarsi nelle immagini?

Quest’esigenza all’inizio del secolo scorso ha dato vita all’iconologia, disciplina che si occupa di dare una spiegazione alle immagini, alle allegorie e ai simboli nascosti in esse.

Da qui nasce la presente ricerca, che si pone come tentativo di indagare il lavoro di uno studioso, Aby Warburg, che ha inaugurato questo nuovo campo del sapere.

Aby Warburg, storico della cultura e profondo indagatore della storia dell’arte, dedica la sua vita allo studio e alle ricerche in cui, come scrive Georges Didi–Huberman, si immerge empaticamente, “come ci si immerge in un oceano senza limiti noti, per ritrovarsi nel più profondo delle acque, come, già, ci si ritrova in mezzo a un fondo nero ad avvicinarsi troppo agli schermi di Mnemosyne.”[3]

La vita di questo studioso è stata segnata da problematiche psicologiche, filosofiche e culturali[4] che lo hanno avvicinato a grandi esponenti della cultura del ‘900 come il dott.re Ludwig Binswanger, direttore della clinica psichiatrica Bellevue di Kreuzlingen, dove fu ricoverato dal 1921 al 1924, al filosofo Ernst Cassirer, con il quale condivise riflessioni sui concetti di simbolo e di mito. Ha rappresentato un punto di riferimento per i suoi contemporanei, come studioso ed esperto di arte antica e indagatore dell’evoluzione del pensiero occidentale e fu da tutti riconosciuto grande uomo, nonostante la sua statura, abile oratore e simpatico imitatore: ma più di ogni altra cosa la sua reputazione si fondava sulla sua profonda erudizione[5].

Uno studioso atipico per i suoi tempi [6] soprattutto per la capacità di spaziare in campi d’indagine vasti e disparati mettendo in relazione discipline diverse, dalla storia dell’arte fiorentina del Quattrocento, alla storia della cultura tedesca del Cinquecento, dall’astrologia alla mitologia, dalla psicologia all’antropologia.

Le sue ricerche erano focalizzate su alcuni concetti cardine, ovvero il tema del Nachleben der Antike (Sopravvivenza dell’antico), il concetto di Pathosformeln (Formule di pathos), Polarität (Polarità), Orientierung (Orientamento) e Denkraum (Spazio del pensiero)[7]; ricerche queste che diedero vita al nuovo campo del sapere, l’iconologia.

Aby Warburg ha superato il confine dello studio della storia dell’arte concentrandosi sulle immagini e non solo immagini d’arte, ma, anche, sugli oggetti della cultura materiale.

Nasce dalle sue riflessioni un nuovo modo di relazionarsi all’immagine in cui il significato di una singola immagine si ritrova costantemente nel suo perpetuo relazionarsi ad altre immagini ad essa estranee.

L’Atlante Mnemosyne, suo ultimo lavoro, rappresenta l’ambizioso tentativo di ricapitolare attraverso una raccolta di immagini le tematiche che lo hanno coinvolto nel corso di tutta la sua vita. Aby Warburg è morto senza riuscire a portare a termine il suo Atlante, un’eredità enigmatica e affascinante che costituisce tutt’oggi un dibattito aperto su questo grande studioso, tratteggiato in maniera esemplare dalle parole, qui riportate, che  Ernst Cassirer scrisse in sua memoria.

“Per usare le parole di un sonetto che Giordano Bruno ha inserito ne Gli eroici furori:

Ch’i’ cadrò morto a terra, ben,’accorgo,

Ma qual vita pareggia al morir mio?

La voce del mio cor per l’aria sento:

Ove mi porti, temerario? China,

Che raro è senza duol tropp’ardimento. –

Non temer, rispon’io, l’alta ruina.

Fendi sicur le nubi, e muor contento,

S’il ciel sì illustre morte ne destina.

Warburg ha vissuto ed è morto come scrive qui Giordano Bruno.

Ed è questa l’immagine che continuerà a vivere in noi: non quella di un puro e semplice erudito e ricercatore morto in pace dopo aver raccolto la mietitura della sua vita. L’immagine di un combattente e di un eroe le cui armi, che la morte gli ha sottratto, non sono intaccate, né rotte, ma sono rimaste sempre integre, affilate e pure durante la lotta intellettuale che Warburg ha intrapreso dall’inizio alla fine della sua vita.[8]

 

[1] Bruno Latour, Che cos’è Iconoclash, in Teorie dell’immagine, il dibattito contemporaneo, a cura di     Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009, pp. 294, 295

[2]Ernst Cassirer, Eidos ed eidolon, il problema del bello e dell’arte nei dialoghi di Platone, in Aby Warburg – Ernst Cassirer, Il mondo di ieri, Lettere, a cura di Maurizio Ghelardi, Nino Aragno editore, Torino, 2003, p. 135

[3]Cit. Georges Didi – Huberman, L’immagine insepolta, Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e della storia dell’arte, Bollati Boringhieri, 2006, Torino, p.467

[4]C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 5

[5]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p.13

[6]C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 145

[7]Cfr. M. Warnke, Vie Stichworte: Ikonologie, Pathosformel, Polarität, und Ausgleich. Schlagbilder und Bilderfahrzeuge, in W. Hofmann, G.Syamken, M. Warnke, Die Menschenrechte des Auges: über Aby Warburg, Europaïsche Verlagsanstalt, Frankfurt am Main 1980, pp.53 sgg.

[8]Ernst Cassirer, In memoria di Aby Warburg, in Aby Warburg – Ernst Cassirer, Il mondo di ieri, Lettere, a cura di Maurizio Ghelardi, Nino Aragno editore, Torino, 2003, p. 120

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