L’intelligenza artificiale, una possibile definizione

di Anna Irene Cesarano

L’intelligenza artificiale – d’ora in avanti utilizzeremo l’abbreviazione internazionale A.I. – è un concetto complesso di difficile definizione o quantomeno controverso e dibattuto, al centro di numerose dispute intellettuali che vedono studiosi di diversa vocazione scientifica divisi tra enunciazioni e categorizzazioni. Infatti risulta alquanto arduo proporre un concetto univoco dell’IA e dei suoi obiettivi, proprio perché si tratta di una disciplina che abbraccia due settori scientifici, collocandosi su due versanti: quello di chiara matrice ingegneristica, che si dà come scopo quello di costruire macchine ausiliari alle attività umane e in certi casi in grado di competere con l’uomo, in compiti soprattutto intellettuali, e quello di natura psicologica, orientato a costruire macchine il cui obiettivo è la riproduzione delle caratteristiche essenziali dell’attività cognitiva umana, destando l’attenzione su alcune tradizionali diatribe della filosofia e sugli enigmi della mente, ad esempio il tanto dibattuto problema mente-corpo (Cordeschi, Tamburini, 2001).

Nel giugno del 1956 John McCarthy, Nathaniel Rochester, Marvin Minsky e Claude Shannon organizzarono un seminario negli Stati Uniti (Dartmouth New Hampshire) rimasto storico per la definizione di tale disciplina, gettando le basi di quella che sarà definita la base programmatica dell’A.I., definendone le aree di ricerca ad essa correlata e i primi programmi per calcolatori cosiddetti “intelligenti” (Ibidem). Nella presentazione del convegno che segnò la nascita dell’A.I. si legge: “In linea di principio ogni aspetto dell’apprendimento e dell’intelligenza che si può descrivere con una precisione tale da permetterne la simulazione con macchine appositamente costruite. Si cercherà di costruire macchine in grado di usare il linguaggio, di formare astrazioni e concetti, di migliorare se stesse e risolvere problemi che sono ancora di esclusiva pertinenza degli esseri umani” (McCarthy, Rochester, Minsky, Shannon, 1956).

Le macchine descritte dai pionieri dell’A.I. come “intelligenti” sono dei calcolatori digitali, che in virtù delle loro particolari caratteristiche e proprietà fondamentali possono essere considerate degli strumenti dotati di straordinaria capacità di elaborazione simbolica, mai osservata prima in una macchina, e per questo motivo accostati ad alcuni tratti specifici intrinseci all’intelligenza umana. E’ doveroso puntualizzare per la trattazione in oggetto, alcune caratteristiche essenziali dei calcolatori costruiti e dei modelli matematici che sottendono tale costruzione e che fanno capo alla teoria della calcolabilità, che fu impiantata dal 1931 al 1936, periodo antecedente alla costruzione dei calcolatori digitali (Cordeschi, Tamburini, 2001).

Il Logistic Theorist, era un programma immesso su calcolatore adibito alla dimostrazione di teoremi del calcolo proposizionale, progettato da Newell, Shaw e Simon in concomitanza dello storico convegno di Dartmouth, mentre un altro programma per il gioco della dama, la cui ideazione è antecedente a tale periodo ad opera di Arthur Samuel, era in grado addirittura di battere dei giocatori professionisti. Meritano menzione altri programmi come Geometry Machine di Herbert Gelertner e Rochester o quelli relativi al gioco degli scacchi che si rifacevano a delle precedenti intuizioni di Shannon (Somenzi, Cordeschi,1994). Da questi primi cenni sulla disciplina è facile intuire che almeno in fase iniziale, essa ha abbracciato la soluzione di problemi e questioni circoscritte ad ambiti ben delimitati, nei quali bastano nozioni non specialistiche e regole esplicite per l’elaborazione simbolica (Cordeschi, Tamburini, 2001), in tal senso è utile ricordare che questa scelta iniziale è dettata da due motivazioni, ovvero la prima di ordine pratico riguardante i calcolatori che possiedono una modesta capacità di calcolo, e la seconda di ordine più teorico in quanto è concezione diffusa che l’elaborazione simbolica sia il vero tratto distintivo dell’intelligenza. Tuttavia nel corso degli studi e della sperimentazione sull’A.I., vengono portati avanti progetti di ricerca ispirati ad altre concezioni dell’intelligenza, come le capacità senso- motorie, le abilità di adattamento all’ambiente naturale, le dinamiche relazionali  e interattive con altri agenti naturali o artificiali; spostando così l’attenzione dall’elaborazione simbolica che non detiene esplicitamente un ruolo privilegiato.

La ricerca sull’A.I. prosegue lungo un percorso eterogeneo e variegato scandito sia dagli ostacoli che dai notevoli successi che questa disciplina ha incontrato. Tirando le fila del discorso, l’enorme presenza e la penetrazione capillare di impianti e apparati di A.I. in molti settori tecnologici e industriali avanzati, è un importante banco di prova per tale disciplina decretandone il successo in senso ingegneristico.  Un campo di indagine così complesso e multiforme solleva numerosi interrogativi in senso epistemologico, questioni di indubbio interesse che è bene porci per mantenere desta l’attenzione su determinati problemi, riflessioni talvolta inquietanti dal punto di vista etico, ma che non possono essere eluse in una ricerca che tenga conto dell’interezza dei processi e che voglia restituire la completezza della conoscenza.

“Ma quale bilancio possiamo trarre a proposito della costruzione di macchine che riproducano caratteristiche essenziali dell’attività cognitiva umana? Cosa aggiunge alla nostra conoscenza dell’universo mentale un sistema dell’A.I. che simula con successo un essere umano nello svolgimento di un certo compito cognitivo? E che posto occupa l’A.I., così intesa, nell’ambito di ricerche interdisciplinari sul sistema cervello-mente che coinvolgono anche le neuroscienze e la psicologia?” (Ivi, p. 3). Interrogativi ai quali bisogna cercare di dare risposta.

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