Ma la realtà è numero? O sono le idee? (4)

di Stefano Ulliana
LE DIECI COPPIE DI CONTRARI
LE DIECI COPPIE DI CONTRARI

Aristotele Metafisica, 990° 18 – 993° 27

Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pp. 51 e segg.

I passi di Aristotele e il commento

(21) La dimostrazione, poi, che tutte le cose costituiscono una unità – dimostrazione che pur sembra essere facile – non raggiunge il suo scopo: infatti, dalla loro prova per <<ectesi>> non risulta che tutte le cose siano una unità, ma solo che c’è un certo Uno-in-sé, se si concede che tutti i loro presupposti siano veri; anzi, neppure questo risulta, se non si concede che l’universale sia un genere: questo, infatti, in alcuni casi è impossibile.

Essi infatti predispongono fuori ed in alto una forma di cuspide superiore – l’Uno-in-sé (cfr. il Parmenide platonico) – che progressivamente sembra comparire e scomparire, per lasciare alla fine lo spazio della libertà relativa. Aristotele richiama qui – credo – le singole e successive ipotesi presentate da Platone appunto nel suo dialogo intitolato Parmenide: 1. Se l’Uno è uno; 2. Se l’Uno è; 3. Se l’Uno è e non è; 4. Se l’Uno non è. Il venire alla determinazione d’essere, che si raggiunge per Platone attraverso la coppia opposta di idee somiglianza/dissomiglianza, costituisce la base iniziale per la dimostrazione della funzionalità della teoria delle idee e della modalità della partecipazione ad esse degli enti che vengono ad esistere. Oltre le critiche alle idee ed alla modalità partecipativa, che saranno accolte dallo stesso Aristotele, Parmenide/Platone indica la sussistenza assolutamente negativa dell’Uno come uno, mentre assegna all’Essere la funzione di orizzonte di comprensione della molteplicità delle differenze di determinazione dell’Essere stesso. L’Essere stesso appare diviso fra il tutto che è e le parti che sono, differentemente. Questo processo dà luogo alla numerazione ed al riferimento superiore ed individuato delle differenze stesse (alle ragioni vere e reali delle cose nella loro stessa determinazione). L’identità molteplice raggiunta nell’orizzonte dell’Essere stabilisce lo spazio di limitazione e definizione all’interno del quale le cose sono chiamate a sussistere. Esse vengono dunque generate, mosse e finalizzate in questo stesso spazio, che diventa quindi spazio per la stabilità dell’orizzonte e per il divenire (divenire continuamente altro e diversamente) delle cose. È questo spazio – spazio della dialettica verticale – alla fine che consente l’inserimento della coppia opposta simile/dissimile, tramite la quale si organizza una dialettica ora anche orizzontale. L’unità d’orizzonte stabilisce quindi anche la reciproca estraniazione delle cose ed il reciproco raggiungimento di un’identità diversa (“contatto” e “distacco”). Come pure stabilirà il termine di riferimento comune per l’immediata eguaglianza o per la reciproca diversificazione. Sarà tutto il tempo nella sua continuità ininterrotta e nello stesso tempo tutte le possibili determinazioni di tempo (secondo la tendenza del futuro o la memoria del passato o secondo la presenza). Ma il divenire altro e diversamente richiede la possibilità di un duplice non-essere: di tendenza e reciprocamente laterale. L’apertura creativa resta libera di determinarsi relativamente alla molteplicità ideale. Siamo così giunti all’ultima delle ipotesi: se l’Uno non è. In quest’ultimo caso l’analisi dialettica indica la libera diversità in relazione al sopraggiungere della determinazione. Così l’essere che diviene – l’essere naturale secondo l’impostazione aristotelica – rimane racchiuso all’interno di un orizzonte stabile, che ne limita e finalizza i possibili movimenti di reciproca realizzazione e trasformazione. Nel caso invece che il non-essere dell’Uno sia assoluto (e non relativo come in precedenza), allora si ricadrebbe nella situazione della materia indifferenziata, dove tutto sembra ancora privo di quella determinazione che invece assumerebbe nel caso passasse all’essere. Oltre a questa situazione pare sussistere solamente un nulla assoluto. Essere e non-essere il tutto da parte delle singole determinazioni d’essere è quindi il destino necessario e fatale, nel momento in cui si abbandoni la posizione espressa comunemente dai pensatori che precedono i Sofisti e Socrate: la posizione che presentava un infinito immediatamente creativo e dialettico, che mantenesse sempre illimitatamente aperta la dimensione della libertà razionale e naturale. Platone invece pensa di concretizzare – dopo la figura del sapiente-re – attraverso la funzione d’orizzonte comune dell’Essere una relazione necessariamente determinativa, sia sul piano razionale che naturale. Tutto ciò avrebbe portato con il Filebo ed i suoi quattro generi dell’Essere – finito, infinito, misto e causa della mescolanza – a giustificare la critica di Aristotele, qui presentata. Se, infatti, l’orizzonte dell’Uno che si fa Essere deve trovare la sua determinazione propria – l’universale – attraverso il genere della de-terminazione, allora lo spazio dell’opposizione – l’in-finito – sarà conquistato da un rapporto verticale e finale univoco, da un essere <<misto>> e da una <<causa della mescolanza>> che non prevede differenza ed apertura. L’infinito come moltiplicazione soverchiante (cfr. l’Uno di Plotino) viene assoggettato ad un procedimento diairetico, che predispone la verticalizzazione e l’univocità delle determinazioni singole (individuazioni per genere e specie). Aristotele pare, invece, anticipare qui che l’Essere si debba dire in molti modi. L’infinito resterà per Platone non soverchiante, ma necessariamente organizzato. L’infinito in Aristotele, invece, tenderà ad assumere proprio la valenza della numerosità senza limite. In questo senso per Aristotele l’universale può non essere un genere, se l’essere un genere comporta per lui la riduzione previa ad una determinazione prima, che escluda la sussistenza ben reale di altre ragioni determinatrici.

(22) Né sanno dar ragione degli enti che sono posteriori ai numeri – ossia le lunghezze, le superfici e i solidi -: né del perché esistono od esistettero, né della funzione che essi hanno. Infatti non è possibile che queste siano Forme (perché non sono numeri); né è possibile che siano enti intermedi (questi, infatti, sono oggetti matematici); né è possibile che siano cose corruttibili: pare, dunque, che si tratti di un nuovo genere di realtà, cioè di un quarto genere.

Queste altre ragioni determinatrici rendono conto del fatto che gli enti disposti in una condizione inferiore e successiva, non possano accogliere la determinazione quantitativa e combinatrice proposta dalla scuola platonica, così come si è già visto in precedenza.

GF saggi Ulliana Ma la realtà è numero O sono le idee – Aristotele (4)