Non voltatevi all’altra parte. L’ultima sponda – contro la secessione dei ricchi un Sud unito su un fronte unitario

di Vincenzo Curion

Wolf ricorda che l’intento è stato condiviso da molti meridionali (Viesti con gli articoli sul Mattino, Mario Coppeto di Articolo Uno): possibile si crei una unità d’intenti solo su questo punto? L’autonomia veneta sarebbe la fine del Mezzogiorno, un nuovo 1860 – Torinesi, ora Veneti: ben più dannosi che gli emigrati!! Gli effetti ormai sono evidenti, ancora nella seconda guerra mondiali Napoli ed il Sud non erano gli straccioni d’Italia. Matera, che è in rimonta, non ha treni né aerei… Non parliamo della Calabria, che non ha trovato il petrolio.

Si è tenuta Sabato 9 febbraio presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in Napoli, la manifestazione “Non voltatevi dall’altra parte. Contro la secessione dei ricchi”. Concepita come spazio per riflettere e per denunciare il preoccupante silenzio che ammanta il delicatissimo passaggio che avverrà il prossimo 15 febbraio prossimo e che, a detta dei bene informati, potrebbe rappresentare il passo finale di una lenta eutanasia per il Meridione tutto, la manifestazione ha visto il coinvolgimento di esponenti del mondo politico e diverse personalità della società civile partenopea. Questi i fatti in sintesi. Il 15 febbraio prossimo è previsto l’incontro che dovrebbe portare alla firma dell’intesa con la quale l’obiettivo del “regionalismo a geometria variabile”, correttamente federalismo differenziato, storicamente sostenuto dalla Lega e promosso dalla stessa nell’accordo di governo, vedrebbe finalmente luce. Con il che le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna acquisirebbero il diritto a gestire in autonomia i trasporti, la sanità e la scuola, acquisendo una forma di autonomia per certi versi analoga a quella a disposizione delle sole regioni a statuto speciale. A inchiostro asciugato, il Presidente del Consiglio Conte non avrà che presentare i documenti sottoscritti, alla Camera ed al Senato per l’approvazione a maggioranza assoluta. La procedura adottata non ammette emendamenti. Si vota e basta.

Come già accaduto per l’attuale manovra economica, ancora una volta il Parlamento, il luogo dove andrebbero discusse e trovate leggi che tutelino gli interessi di tutti, viene di fatto imbavagliato. Il passaggio parlamentare avverrà dopo un lungo e complesso iter iniziato anni addietro, e proseguito anche durante gli ultimi giorni della passata legislatura. Secondo prassi il contenuto dei documenti d’intesa sarebbe secretato, ma a leggere le dichiarazioni che il Governatore Zaia ha rilasciato su alcune testate locali, nella bozza depositata al ministero degli Affari Regionali il 2 ottobre scorso, ci sarebbe il lasciapassare economico per l’autonomia definitiva. Il titolo del documento: “Compartecipazione al gettito tributario Irpef e Iva”, avrebbe dovuto far insorgere il Sud, e i 4 ministri grillini Di Maio (Mise), Toninelli (Infrastrutture) Grillo (Sanità) e Bonafede (Giustizia) sembra abbiano tirato il freno fino a quando il Ministro dell’Interno, Salvini ha imposto la svolta, nelle stesse frenetiche ore del voto di fiducia alla legge finanziaria: basta con i veti M5S e la pigrizia della burocrazia.

Il 15 gennaio scorso, trapela dalle dichiarazioni rilasciate dal governatore Zaia, si sarebbe conclusa la fase di consultazione con tutti i ministeri che hanno inviato le loro proposte al ministro per le Autonomia Regionali, On.le Erika Stefani. Successivamente, appunto il 15 febbraio prossimo venturo “il premier Conte convocherà a Palazzo Chigi i presidenti di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna per firmare le intese”. Con tali intese queste prime tre Regioni, ma sulla loro scia ve ne sono altre unidici, avranno maggiori poteri per questioni finora attinenti solo allo Stato. Aldilà dell’opinione personale che si può avere, nella petizione lanciata dal Prof. Gianfranco Viesti dell’Università di Bari (https://www.change.org/p/gianfranco-viesti-no-alla-secessione-dei-ricchi), che è il casus belli della riunione a palazzo Serra di Cassano, si fa rilevare che il Veneto e, in misura più sfumata la Lombardia, avrebbe formalizzato una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista. Nel documento che presenta la petizione, che vanta già un notevole numero di sottoscrittori, si segnala che:

“Per la stima delle risorse che lo Stato dovrebbe trasferire alle Regioni per le nuove competenze, la Regione Veneto propone di calcolare i “fabbisogni standard” in modo inaccettabile, tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (quanti bambini da istruire, quanti disabili da assistere, quante frane da mettere i sicurezza) ma anche del gettito fiscale e cioè della ricchezza dei cittadini. In pratica i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno come beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. Quindi, per averne tanti e di qualità, non basta essere cittadini italiani, ma cittadini italiani che abitano in una regione ricca. Tutto ciò è in aperta violazione con i principi di uguaglianza scolpiti nella Costituzione. Non solo: per raggiungere questi risultati discriminatori, si sfrutta un vuoto normativo denunciato più volte dalla Corte costituzionale: dal 2001, infatti, nessun Governo ha trovato il tempo di definire i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili da garantire in misura omogenea a tutti i cittadini italiani, ovunque residenti. E se non si sa “quanto costano” i LEP, come si può stabilire l’entità delle risorse da assegnare alle Regioni per garantirne il godimento ai cittadini? Ove si procedesse all’incontrario, ovvero: prima trasferire risorse alla Regioni, poi stimare il costo dei LEP, qualcuno potrebbe accaparrarsi più del necessario senza che sia evidente a chi lo stia togliendo. È inaccettabile che in diciassette anni non si sia fissato il valore dei LEP, a vantaggio di tutti i cittadini italiani, mentre in pochi mesi si sia arrivati alle battute consultive del processo di autonomia differenziata, a vantaggio di pochi.

La Regione Veneto ha chiesto di avere potere esclusivo su materie che vanno dall’offerta formativa scolastica (potendo anche scegliere gli insegnanti su base regionale), ai contributi alle scuole private, i fondi per l’edilizia scolastica, il diritto allo studio e la formazione universitari, la cassa integrazione guadagni, la programmazione dei flussi migratori, la previdenza complementare, i contratti con il personale sanitario, i fondi per il sostegno alle imprese, le Soprintendenze, le valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, le concessioni per l’idroelettrico e lo stoccaggio del gas, le autorizzazioni per elettrodotti, gasdotti e oleodotti, la protezione civile, i Vigili del Fuoco, strade, autostrade, porti e aeroporti (inclusa una zona franca), la partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, la promozione all’estero, l’Istat, il Corecom al posto dell’Agcom, le professioni non ordinistiche. E altro, perché l’elenco è incompleto. In questo modo, verrebbero espropriati della competenza statale tutti i grandi servizi pubblici nazionali e verrebbe meno qualsiasi possibile programmazione infrastrutturale in tutto il Paese.

La Regione Veneto propone pure che il Parlamento dia una delega totale e al buio al Governo e che tutte le decisioni siano prese da una Commissione tecnica Italia-Veneto. Secondo la Costituzione non può essere così: il Parlamento non può essere espropriato del diritto-dovere di legiferare su questioni decisive per il futuro dell’Italia. Siamo di fronte a uno stravolgimento delle basi giuridiche su cui è sorta la Repubblica italiana. Una materia di tale portata non può e non deve essere risolta nei colloqui fra una rappresentante del Governo e uno della Regione interessata (oltretutto, dello stesso partito e della medesima regione). Tutti i cittadini italiani hanno il diritto di essere coinvolti nella decisione, che riguarda tutti, sia attraverso i propri rappresentanti parlamentari, sia attraverso un grande dibattito pubblico, in cui porre in luce e discutere obiettivi, contenuti e conseguenze di tali proposte. Solo così i cittadini possono valutare e decidere.

È innegabile che la riforma possa rappresentare un cambiamento epocale poiché muta profondamente l’assetto istituzionale, riconoscendo, accanto alle Regioni a Statuto Speciale -Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia- e quelle a Statuto Ordinario, anche quelle a Federalismo Differenziato. Ma aldilà di questa creazione ex novo, i nuovi soggetti politici di fatto, con l’impianto denunciato dal Professor Viesti, dai circa ventimila sottoscrittori della petizione e, non da ultimi dai relatori intervenuti alla manifestazione napoletana, avrebbero l’autonomia di trattenere sul proprio territorio i mezzi prelevati dalla propria collettività, con il quale sostenere le proprie spese, non dovendo tenere conto dei costi dei Livelli Essenziali Previsti, i fabbisogni standard che lo Stato si impegna a garantire e sostenere in tutta la Nazione secondo un criterio di equità, perché finora mai fissati.

La giustifica della proposta veneta sarebbe da ricercare nell’art.119 della Costituzione. Secondo la formulazione originaria di tale articolo l’autonomia finanziaria sarebbe una prerogativa delle sole Regioni. Tale autonomia, con la riforma del Titolo V della Costituzione, operata con la legge costituzionale n. 3/2001, è stata riconosciuta, anche a: Comuni, Province e Città Metropolitane ed il nuovo art. 119, co.1, Cost., dispone che:” I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. La novella costituzionale implica, pertanto, che regioni ed enti locali si reggano con la finanza propria, finanziando le proprie spese di funzionamento, d’intervento e d’amministrazione, con i mezzi prelevati dalla propria collettività (come regola), salva naturalmente l’esigenza di perequazione delle situazioni meno avvantaggiate. Tale autonomia, sebbene formalmente riconosciuta a tutti gli enti territoriali in misura eguale, di fatto, risulta, tuttavia, differenziata. Infatti, posto che l’art. 23 Cost. prevede che la potestà impositiva possa essere esercitata solo in base alla legge; le Regioni (ex art.117 Cost.) sono gli unici enti territoriali in condizione di imporre autonomamente dei tributi; mentre, la potestà impositiva delle altre Istituzioni territoriali, deve, necessariamente, operare, in via regolamentare, all’interno di leggi regionali o statali (esempio: Imposta Comunale sugli Immobili istituita con legge statale). Dunque la regione Veneto avrebbe tutto il diritto a usare le proprie entrate tributarie come meglio crede e fino a quanto crede, potendo sempre giustificare la trattenuta sul proprio territorio del gettito, per le prestazioni al cittadino che essa stessa fissa e che non confliggono con quelli del resto della penisola che non sono stati mai fissati né mai quantificati. Nello stesso art. 117 riformato, (https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf) si fa riferimento al fatto che “La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.”. Cosa ne sarà di questo fondo perequativo è lecito chiedersi, alla luce del fatto, come ribadito dai relatori che non è precisato in alcun documento quale sia il costo del LEP? Meno prosasticamente cosa ne sarà dei principi di coesione, di solidarietà sociale e delle azioni che lo Stato fino ad oggi attua per rimuovere gli squilibri economici e sociali?

Secondo definizione, i LEP (Livello Essenziale nelle Prestazioni), sono gli indicatori riferiti al godimento dei diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali (federalismo solidaristico) e fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite. I diritti di cittadinanza, la cui determinazione è competenza esclusiva dello Stato attribuita dall’art. 117 Cost., si traducono essenzialmente nel diritto di tutti i cittadini all’assistenza sanitaria e sociale, all’istruzione, alle prestazioni previdenziali per i lavoratori, etc…

La nozione di tali Livelli Essenziali nelle Prestazioni è rintracciabile fin negli interventi legislativi antecedenti la riforma del titolo V della Costituzione italiana, sia nel settore della sanità, in cui a partire dal d. legisl. 502/1992 sono stati determinati i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria), sia in quello dell’assistenza (nidi, non autosufficienza, handicap, dipendenze, povertà, etc…), in cui la nozione di LEP risale ai decreti della riforma Bassanini e, in modo ancora più esplicito, alla legge di riforma dell’assistenza (328/2000), nonostante il cammino di definizione normativa sia ancora molto lungo e complesso poiché mancano nel titolo V espliciti riferimenti che attribuiscano allo Stato l’onere dei LEP.

Per tale motivo si applica il disposto dell’art. 119, 4° co., Cost., in cui si sancisce una garanzia generale di finanziamento di fabbisogni di spesa standard, date le caratteristiche dell’ente, all’interno del quale esso dovrà provvedere a raccogliere le risorse necessarie per soddisfare i LEP. Infatti, a partire dal 2013, anno in cui è stato fissato l’inizio del percorso di convergenza verso i costi standard, le fonti di finanziamento delle Regioni, previste per garantire i Livelli Essenziali nelle Prestazioni, compatibilmente con i vincoli generali della finanza pubblica e di altri eventuali obiettivi di politica economica, sono: la compartecipazione al gettito dell’IVA; le quote dell’addizionale regionale dell’IRPEF; l’IRAP, fino alla sua sostituzione con altri tributi; le quote del fondo perequativo; le entrate proprie, nella misura convenzionalmente stabilita. Nelle Regioni in cui il gettito è inadeguato, concorrono a un finanziamento integrale le quote del fondo perequativo verticale (art. 120, 2° co.). Il potere sostitutivo dello Stato, tuttavia, non si esercita ogniqualvolta si registri uno scostamento, anche minimo e transitorio, fra prestazioni erogate e LEP, ma soltanto nel caso di differenze rilevanti o ripetute e “nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

La competenza esclusiva assegnata allo Stato nella determinazione dei LEP, non essendo precisato altrimenti, è fondata sul fatto che essi corrispondono a prestazioni relative ai fondamentali diritti civili e sociali da garantire sull’intero territorio nazionale e che rappresentano le condizioni essenziali di eguaglianza tra cittadini. Dunque una monetizzazione dei diritti di uguaglianza, che già da sola dovrebbe destare sospetto. Si può essere tutti uguali perché si ha diritto, ad esempio all’istruzione, poi c’è chi può permettersi un servizio che, ricomprende il diritto all’istruzione e che garantisce di soddisfare questo diritto anche in una scuola non fatiscente.

A complicare ulteriormente la faccenda è la sentenza n°282/2002 con la quale la Corte Costituzionale ha chiarito che, pur sussistendo l’esclusività del compito di definizione dei LEP per lo Stato, gli interventi nel merito “non possono nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, ma devono prevedere gli indirizzi fondati sulla verifica dello stato di conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite”. Definire dunque i Livelli di Prestazione Essenziale è pertanto:

Un processo politico e tecnico insieme e che deve essere supportato da ciò che scaturisce dalla ricerca e dalla sperimentazione;

Un processo che, per il punto precedente, non è compiuto una volta per tutte, ma soggetto a permanente “manutenzione”;

Pertanto andrebbero definiti quali sono, nei differenti sistemi di servizio, i soggetti che possono affiancare il decisore politico con il supporto tecnico scientifico che la stessa Corte prevede. Inoltre andrebbe fissata una modalità per rendere organica la rilevazione delle “evidenze sperimentali acquisite”, con la raccolta sistematica “sul campo”. Infine andrebbero determinate le modalità con cui effettuare una manutenzione di questo processo aggiornando i LEP ed i relativi costi. È proprio il fattore costi un elemento non da poco. Già nella legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale si prevede che il finanziamento delle spese relative ai Livelli Essenziali nelle Prestazioni sia commisurato a fabbisogni, la cui quantificazione dovrebbe avvenire con riferimento ai costi standard associati alla loro erogazione in condizioni di efficienza e appropriatezza su tutto il territorio nazionale e non alla spesa storica. In questo modo le Regioni dovrebbero essere forzate a prodursi in uno sforzo di virtuoso miglioramento puntando ad ottimizzare le proprie prestazioni. Il condizionale naturalmente è d’obbligo poiché la logica del risparmio potrebbe prendere il sopravvento, come già è stato in passato, producendo tagli lineari che nulla hanno a che vedere con il virtuosismo gestionale invocato.

In conclusione, sostengono i relatori, pensare di sottoscrivere un ‘intesa con le Regioni in questa fase, senza neanche la possibilità di una ampia disamina parlamentare, appare quantomeno incauto. Esiste, ricorda uno dei relatori, un reale timore per la tenuta della coesione repubblicana, e che si concretizzi quel pericolo paventato perfino nell’assemblea costituente, che “il potere delle Regioni indebolisca l’autorità dello Stato centrale”. Finanche lo stesso osservatorio sul federalismo (http://www.osservatoriofederalismo.eu/il-federalismo-a-geometria-variabile/) segnala che “la sfida più grande è quella di far convivere le legittime esigenze di autonomia con la solidarietà verso le regioni più in difficoltà.” Quale potrebbe dunque essere la garanzia, si chiedono i relatori, di restare cittadini che godono di diritti uguali a quelli di tutti gli altri che vivono nelle regioni più ricche? Probabilmente nessuna. Ecco perché l’appello a prendere coscienza di quanto sta accadendo prima di siglare il “viatico economico” per l’autonomia da cui non si può tornare indietro.

Bibliografia

https://nuovavenezia.gelocal.it/regione/2018/12/23/news/zaia-autonomia-ora-vedo-il-sole-il-15-febbraio-si-firma-o-sara-crisi-1.17591583?refresh_ce

http://nuke.forumscuolapiemonte.it/Portals/0/Materiali/quad%202a%20conf/43-44%20I%20LIVELLI%20ESSENZIALI%20DELLE%20PRESTAZIONI.pdf

http://www.federica.unina.it/giurisprudenza/diritto-finanziario-cattedra-3/autonomia-finanziaria-enti-territoriali/

http://www.osservatoriofederalismo.eu/il-federalismo-a-geometria-variabile/

http://www.osservatoriofederalismo.eu/lautonomia-rubata/

http://www.treccani.it/enciclopedia/lep_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

https://www.diritto.it/il-regionalismo-differenziato-perche-nessuno-ne-parla/

https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf

W Curion Non voltatevi all’altra parte