Pasqua a Napoli: lettera a Matteo (the right one)

di Redazione
Marisa Diana
Marisa Diana

Il 22 giugno 2014 Marisa Diana ha scritto a Renzi

Caro Matteo, dai un segnale e a noi casalesi

Una donna, estranea alla camorra, fa parte dei tanti che nel territorio hanno un impiego e badano alla famiglia – non sempre sono impieghi limpidi, ma la gente che ci lavora è onesta. Eppure, cugina di Don Peppino Diana, sostegno economico di questo popolo dimenticato, caricato di rifiuti tossici e di prepotenza. Un popolo che non è scappato ma che in politica non ricava altro che cambi di capibastone. I bambini chiedono alle lezioni sull’arte a scuola: “Ma se Napoli è così bella e grande, perché ne parlano così male?”. Matteo non ha ascoltato, purtroppo su queste terre ha accettato un patto sbagliato: le tante cose che può fare non riusciranno senza un impegno personale.

La fidanzata di Mertens, Kat Kerkhofs, racconta in un blog come il piacere di vivere a Napoli supera le difficoltà. La guerra per bande c’è, ci sono quartieri che ne soffrono, tutti gli altri sono città normali, spesso animati da una scenografia fantastica. Arroccata su una collina, Napoli è spesso panoramica: se si guarda fuori dei vicoli: una urbanistica d’avvenire, nel 700 aC e nel 1500. Oggi, un patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco col centro storico più grande d’Europa, ancora abitato. Kat racconta l’altro lato della città, che non merita gli “stereotipi marcati e modelli culturali” con cui la si presenta. Ma gli stranieri pullulano in città, si moltiplicano i fast food accanto a pizzerie e trattorie. Kat racconta in due parole la storia di Napoli: dopo l’unità chi poté portò fuori quel che aveva guadagnato – abitudine copiata da figli e nipoti – riducendo una grande capitale a terra offerta ai corsari. Sono tanti i peggiori, che alla fine vincono, ma sempre con la valigia in mano, pronti al furto. Una volta erano i ricchi – non spesso gli aristocratici – oggi è una valanga di neo ricchi che emigra e denigra: la città, la vogliono povera. Semplice e chiaro.

Ma invece. Il racconto di Kat compare in prima pagina il 5 agosto 2014, sul “Mattino”. Maurizio De Giovanni, celebre scrittore nazionale che non è fuggito, che ha assistito la squadra di calcio nei tempi bui: canta le lodi che la città merita, ma riconosce “siamo abituati a vederla dall’interno, e a difenderla a spada tratta salvo maledire dieci volte al giorno la sorte per essere costretti a vivere qui” anche per la sua più grande virtù, il disordine creativo organizzato che caratterizza il napoletano. Appena esce dalla città, il napoletano si distingue per questo, ha spirito critico, umorismo e buona volontà, quella appresa da bambino ad inventarsi l’indispensabile. Ma in città questo crea troppo individualismo, la lotta di tutti contro tutti necessita politica.

Ecco perché vale la pena questa Pasqua di scrivere di nuovo l’appello: Caro Matteo, dacci un segnale! Nel 14 il tuo partito regnava con un Commissario, oggi ministro, e un Segretario, oggi al Ministero. Hanno creato una batteria di polli. Non basta questo per voler dedicare a Napoli un altro pensiero e rispondere infine ai Napoletani tutti?

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