Pictura sive Philosophia? Giordano Bruno e l’arte della memoria. Felice Pignataro e l’arte dei murales

di M. Consiglio

Tesi di laurea di M.Consiglio (Beni Culturali Federico II Napoli) 2011, l’argomentazione è del relatore, Clementina Gily, per sostituire lo speaking.

La pittura è filosofia perché produce un mondo per l’uomo ed è dunque a suo modo una concezione del mondo” Leonardo da Vinci

“I filosofi sono in qualche modo pittori e poeti, i poeti sono pittori e filosofi, i pittori sono filosofi e poeti. Donde i veri poeti, i veri pittori, i veri filosofi si prediligono l’un con l’altro e si ammirano vicendevolmente” Giordano Bruno

“E [Giove] soggiunse che gli dèi avevano donato all’uomo l’intelletto e le mani, e l’avevano fatto simile a loro, donandogli facoltà sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in poter operare secondo la natura ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò, formando, o poter formare altre nature […]”   Giordano Bruno 

L’immagine è Comunicazione, Coscienza attiva, Memoria

La comunicazione universale  è il fondamento della filosofia di Giordano Bruno e della sua arte della memoria. Essa si determina attraverso temi propriamente filosofici ed accademici, che Bruno argomenta con profonda conoscenza dei testi della scuola aristotelico tomista e delle controversie attuali al suo tempo, come documentano in specie i dialoghi teoretici La Cena delle ceneri, De la Causa Principio et Uno,  De l’Infinito Universo e Mondi.  Ma anche attraverso l’ampia trattazione relativa all’arte della memoria, la trattatistica ermetica che ebbe nel ‘500 eccezionale rigoglio, dove Bruno sviluppa in pieno il tema dell’immagine in parola e in figura, tema che sviluppa sia nel primo che nell’ultimo dei suoi scritti latini ma che costituisce il tema più frequente del suo insegnamento e dei suoi libri: elaborava personalmente le immagini coi tipografi, in quel tempo, il 1500, della stampa costosissima e alle prime armi, riprendeva quelle di altri, le modificava, ne creava di sue tenendo d’occhio l’incisore. Studiava anche e soprattutto come l’immagine in parole dovesse comportarsi per ritenere la forza della immagini, comunicazione primaria e sempre viva, nelle parole, che come invece comunicazione secondaria tendono a perdere i nessi occulti cui quella rimanda.

L’immagine che segue mostra come possa realizzarsi tutto ciò: l’estrema complessità, che non fu capita ai suoi tempi anche per l’inefficacia tecnica di educare la memoria a petto di altre didattiche, è l’indicazione essenziale che da Bruno si può ancora oggi trarre con guadagno. Essa scompare del tutto nelle immagini moderne, ma solo apparentemente: la simbolizzazione sempre più attenta è stato l’oggetto primo degli studi delle scienze novecentesche, finanziate a piene mani dalla politica e dal commercio (propaganda e pubblicità) diventando un ingente pezzo del mondo del lavoro nel mondo. Si è quindi compreso che quella difficoltà va abolita nel mondo dell’interrelazione e del consumo e nascosta in simboli preparati con la conoscenza del target specifico cui ci si dedica. Bruno lanciò tra l’altro anche l’attenzione al simbolo, che fu molto proseguita dai suoi lettori occulti, che non confessavano di leggere un filosofo eretico ma lasciavano evidenti tracce nei loro scritti: tanto per dirne una, la più celebre parola di Lebniz, monade, è di Giordano Bruno. Ma la complessità dell’immagine è la stessa che vide lui quando disegnò questo complesso reticolo che unisce l’immagine/imago all’immagine/ magia.

“una diversità tanto grande richiede un ordine tanto grande, un ordine tanto grande richiede una diversità tanto grande”: Ed è questo il tema di grande attualità: il problema se sia possibile comportarsi verso l’immagine con ingenuità e senza criteri di apprendimento della lettura dati dalla formazione ordinaria. 

L’attualità di Giordano Bruno in questa riflessione è sorprendente, perché oltre al simbolo, tema principe della codifica delle immagini, lancia il tema dei sigilli –si veda il sigillo di Zeusi-, di come si componga cioè uno stemma, oggetto oggi della sfragistica – il problema induce a riflettere su come si espliciti in parole o in figura, di come si codifichi, l’essenziale di una storia che compone in pochi tratti un simbolo che sta tra allegoria, narrazione, immagine – e che perciò non può essere identificato con il simbolo. Per quel che riguarda propriamente l’immagine in parole, poetiche o filosofiche, Bruno dice: “Il filosofo è colui che tratta di sigilli, è un pittore di idee” “Il pittore è colui che dal ricordo dell’immagine cerca di trattenerla attraverso il suo quadro”. Come compiere dunque il lavoro del filosofo? Analizzando termini come Parole nude, attribuendo il vessillo, la bandiera, lo slogan, a ciascun filosofo, in cui cogliere il centro dei suo pensiero, dove si trova il sorprendente (per chi conosce Epicuro) definire “Epicuro: Della libertà”, l’altrettanto sconcertante eliminazione di Aristotele in un quadro in cui vi sono tanti poco noti, l’autodefinizione “Giordano: Nella chiave e nelle ombre” , che si riferisce appunto al suo essere filosofo e pittore di concetti, con una dialettica del due – Leibiniz, suo lettore, iniziava la riflessione sulla logica binaria che porta al computer, magica fusione di idee ed immagini (per una trattazione cfr. l’e-learning di Estetica della Federico II, sul link federic@ della pagina dell’Università). Questa duplicità mostra come il confronto tra posizioni diverse sia la chiave dell’approfondimento delle immagini, suggerendo suggestioni, ombre, personali osservazioni, stupori: che sono l’inizio della domanda di conoscenza – che è filosofica ed estetica e scientifica e morale e … 

Di qui l’indagine di tesi di laurea si volge ad applicare l’approfondimento teorico alla lettura di un’arte ancora molto contestata e discussa, ma sempre più presente nelle strade del mondo e nel riconoscimento generale – anche per distinguere come in questo caso è più necessario che in altri, dove vi siano criteri adatti a qualificare le opere migliori, che possono valere ad intendere i codici di scrittura, sempre essenziali perché l’immagine esca dalla sua semplice raffigurazione e diventi un messaggio interculturale.

La definizione illustre, di Josè Clemente Orozco “La pittura murale è la forma più logica, pura e forte tra le forme di pittura. È anche la più disinteressata perché non può essere convertita in oggetto di lucro personale, né nascosta a beneficio di alcuni privilegiati. Essa è per il popolo, è per tutti”, e la frase tratta dall’intervista a Pignataro: “Nell’attesa non è del tutto senza senso allietarci con un po’ di colore sulle pareti del nostro carcere quotidiano” dicono con chiarezza un’opinione condivisibile.

I murales sono un chiaro riferimento alla ricezione dell’arte nella realtà metropolitana, dove la fretta rende rapito ed immediato il contatto ma anche offre la ripetizione costante che già il David nella sua originaria collocazione, o le antiche statue greche dei templi, o le pitture cristiane, tendevano a dare: l’educazione all’immagine, al suo cammino itinerante nella mente. Ed ecco perciò qualche immagine rapida del tempo d’oggi che il murale tende a suggerire, rompe la corsa verso il lavoro e verso il pranzo, e induce il passante a considerazioni che spezzano il quotidiano ed introducono nella riflessione sulle immagini e sul messaggio su cui sono pensate e costruire – riguarda solo l’artista, come la scritta d’amore o di rabbia, o anche me che passo di qui, per invitarmi a pensare? È sicuramente da sempre un’interrogazione d’arte.

Ed ecco felice cosa ne pensa Felice Pignataro, che s’interroga se le sue gridas meritino o violino il rispetto del divieto di affissione, che ora in varie città del mondo è stato tolto per queste opere, previa autorizzazione dell’artista da parte dell’autorità competente, in riguardo al riconoscimento di cui gode e delle pareti che possono essere trattate con dipinti.

GF Consiglio Pictura sive Philosophia