Quando Picasso vide Pompei… Napoli ammira le opere ispirate dalle antiche pitture romane

di Anna Irene Cesarano

Pablo Picasso e Léonide Massine nel giardino della casa di Marco Lucrezio a Pompei fotografati da Jean Cocteau nel 1917
Pablo Picasso e Léonide Massine nel giardino della casa di Marco Lucrezio a Pompei fotografati da Jean Cocteau nel 1917

La mostra è ospitata all’interno del palazzo Zevallos Stigliano in via Toledo a Napoli, presso Gallerie d’Italia dal 18 Giugno all’11 settembre

Quando il maestro spagnolo vede Pompei è l’11 Marzo 1917. In quel periodo il padre del cubismo soggiornava in Italia e viveva a Roma, impegnato nella preparazione del sipario di Parade, con lui il poeta scrittore Jean Cocteau, Léonide Massine star dei balletti russi e Sergej Diaghilev direttore dei balletti russi. Ed è proprio con i suoi compagni di viaggio che Picasso è protagonista di una serie di scatti rimasti memorabili, che lo ritraggono tra le rovine pompeiane: davanti a una pittura della casa del Centenario, davanti a una fontana pubblica, nel giardino della casa di Marco Lucrezio. “Occhio stregonesco”, secondo l’amico Cocteau, Picasso, ma anche mente interpretativa che riesce a cogliere l’intima essenza di un’opera, manipolandola e a fonderla con un intero panorama di storia dell’arte che muove come un caleidoscopio, creando nuove immagini che a malapena conservano il profilo delle fonti (Pesando, Bussagli, Mori, 2003). In lui c’è forte il desiderio di superare l’accademismo e le fonti per dare spazio alle proprie scelte. Picasso impressionato dall’erotismo di alcune pitture pompeiane disegnerà Scena erotica del 1917, regalata poi a “Barbara”, in cui poi l’artista riprendendo lo schizzo in una gouache aggiungerà una finestra da cui si vede il Vesuvio. L’impronta di quel viaggio sarà visibile in molti capolavori dell’artista spagnolo, che farà della pittura pompeiana nuova linfa e spunto di riflessione da cui partire per approdare a nuove linee leggere e sinuose, pulite e candide com’è ben visibile nel ritratto della danzatrice Lydia Lopokova del 1919, le cui sembianze riportano al tocco grafico della pittura su marmo, al volteggiare di una giocatrice di astragalo incisa sulla pietra. O ancora in Nesso e Deianira del 1920 in cui è rintracciabile una pittura su marmo che rappresenta Teseo e il centauro, o in Donna che legge del 1920 in cui si evincono le tonalità spente, gli spazi vuoti e una riscoperta del corpo monumentale tipici delle pitture pompeiane. Ma è in Tre donne alla fontana del 1921 che sembrano convergere idee e influssi provenienti da più parti, si rinvengono infatti echi della scultura greca nella durezza delle scanalature degli abiti e nei profili delle donne che ricordano le dee attiche, mentre è nella  base del dipinto raffigurata come consumata dal tempo, che si risentono e si rivedono le antiche pareti della pittura delle rovine di Villa dei Misteri. L’influsso pompeiano su Picasso appare pienamente maturo quando nel 1923 Diaghilev gli chiede di restaurare il Sipario di Parade… dice semplicemente : “Sembra i dipinti rovinati di Pompei! ed è molto meglio così” (Pesando, Bussagli, Mori, 2003, p.43). “L’ospite illustre”: è così denominata la rassegna che ha portato a Napoli uno dei più grandi capolavori del pittore spagnolo, Arlecchino con specchio. Realizzato da Picasso nel 1923 e facente parte appunto di quel periodo conosciuto come “ritorno all’ordine”, in cui il maestro viene profondamente influenzato e suggestionato dal suo viaggio nel bel paese, ritrovando interesse per la forma grazie al confronto con le pitture romane pompeiane e la tradizione classica. Il dipinto arrivato dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid  è frutto di un progetto di scambio con le Gallerie d’Italia che ha fatto volare a Madrid il nostro Michelangelo Merisi, il grande Caravaggio e il suo Martirio di Sant’Orsola, che sarà possibile ammirare dal 21 Giugno al 18 settembre all’interno della mostra spagnola “Caravaggio y los pintores del Norte”.  Il dipinto di Picasso evidenzia uno stile molto originale e dinamico, infatti è nelle movenze dell’Arlecchino che si aggiusta il cappello a due punte mentre si specchia che si può intravedere l’essenza della maschera, mentre il costume a calzamaglia ricorda quello di un trapezista e il volto triste ricoperto dal cerone riporta a Pierrot. La manifestazione mette in luce lo squisito rapporto che Picasso ebbe con la città di Napoli e il legame imprescindibile con la sua storia e cultura, infatti all’interno della mostra c’è una testimonianza relativa al balletto di “Pulcinella”, di cui appunto il maestro spagnolo disegnò costumi e scenografia nel 1920, grazie alle sue osservazioni durante le passeggiate nei vicoli napoletani nei quali la maschera inscenava una sorta di spettacolino dal vivo.

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