Roland Barthes prevede l’oggi: Il fascismo della lingua

di Anna Irene Cesarano
Roland Barthes
Roland Barthes

‘La lingua è fascista’. Così disse Roland Barthes (1915-1980), nella sua lezione inaugurale al Collège de France nel 1977: è fascista non perché impedisce di dire ma al contrario perché “obbliga a dire” (Colombo, 2013, p.139).

Barthes si riferiva al sistema dei segni e alla sua costrizione, e per Michel Foucault a dire di sé – allargando il loro discorso vien da pensare in parallelo ai tempi d’oggi ed “al dire di sé sul web 2.0”.

Di certo non c’è mai stata epoca nella storia umana che abbia conosciuto una tale esplosione ed esposizione degli esseri umani alle relazioni comunicative (Colombo, 2013), come quella attuale. Una situazione iper-comunicativa che la società attuale vive e in parte soffre, che accentua alcune caratteristiche e peculiarità dei contenuti trasmessi, non sempre funzionali, ma sempre attinenti alla dimensione della “socievolezza”, così come diceva Simmel, ovvero quel tipo di relazione adatto a far provare piacere, più che a rendere utile la comunicazione (Andò Marinelli, 2012).

Nelle chat il sé dell’individuo è il vero protagonista della comunicazione: la domanda iniziale “a cosa stai pensando?” di Facebook, i cinguettii di Twitter, i “click” di Instagram –  tutto ciò questo fa capo a questa nuova dimensione della ‘socievolezza’. L’autobiografismo prorompente oggi dei post, dei commenti sui blog, e in genere tutta l’attività dei social media, non fa altro che centrare l’attenzione sull’individuo. Questo solleva vari interrogativi a proposito dell’espressione libera e del narcisismo di massa.

Ma è giusto dire tanto di noi al mondo intero? E ancora, mi chiedo, perché condividere perfino ciò che mangiamo con perfetti estranei? Chi sono, che lavoro svolgo, i miei familiari, la scuola che frequento e così via … Sarò nostalgica ma quel tempo in cui tantissimo contatto non c’era, esisteva vedere persone i cui i sentimenti capivo, perché erano vissuti pienamente tra individui che condividevano un’occhiata, un odore, uno spazio. O quando a scuola ti assegnavano una ricerca su Manzoni o Leopardi ed eri costretto a cercarla sull’enciclopedia trascrivendola e soprattutto memorizzandola, non creava forse quell’ ‘aura’ di cui parlava Benjamin? Ebbene, riconosciamolo, quel tempo era enormemente più affascinante e poetico, quasi angelico, più intenso di quello attuale: e per contrastare Bauman, solido, terraferma. ‘Ciuba (Chewbecca), siamo a casa’, dice il nuovo Ian Solo di guerre stellari (in una pubblicità imperversante).

Siamo connessi col mondo intero, e crediamo di non essere mai soli, ma poi è proprio così? Quando diciamo ho 700 amici, e ci rispondono “solo? Io 1500!”, in verità siamo soli tutt’e due.

Insieme ma soli è il libro di Turkle Sherry del 2012 che bene esemplifica la metafora dell’oggi. Abitiamo il famoso villaggio globale di Marshall McLuhan o come dice Linda De Feo,[1] “un’ipercittà priva di atmosfera, con miliardi di cittadini […] ma nessun residente”. Siamo sempre connessi, always on, sempre in contatto gli uni con gli altri, ma ci sentiamo più soli, anzi siamo sempre più soli chiusi nella città virtuale che come dice Michael Heim (1993, p.109) “è reale negli effetti ma non di fatto”.

Per Heim la realtà virtuale potrebbe essere percepita come simulazione, per via delle immagini computerizzate straordinariamente realistiche, sempre più speculari a quelle reali, o come rappresentazione elettronica con la quale interagire attraverso dei tasti e un’interfaccia di uno schermo (Cfr; De Feo, 2013; Heim, 1993).

In Discorso e verità Foucault faceva un’importante riflessione a proposito della sessualità, tema cui il maître à penser iniziò a dedicarsi negli anni ’70. Bene, a suo avviso la sessualità degli ultimi secoli sarebbe intrinsecamente legata all’esplosione discorsiva, ovvero al ‘fascismo della lingua’ di Barthes memoria. Secondo Foucault: “L’essenziale è la moltiplicazione dei discorsi sul sesso, nel campo dell’esercizio stesso del potere; incitazione istituzionale a parlarne, e a parlarne sempre di più; ostinazione delle istanze del potere a sentirne parlare e a farlo parlare nella forma dell’articolazione esplicita e dei particolari indefinitamente accumulati” (Foucault, 1976; trad.it. p.20; Colombo, 2013, p.139).

Tutto questo chattare e twittare insomma sarebbe una prepotenza che viene fatta contro la vita semplice di chi vuole prevedere cosa farà domani ed interrogarsi di conseguenza. Un sesso trasbordante che difatti domina in tutti i sensi l’informazione televisiva come l’arte, e che forse giova riconsiderare anche dal punto di vista di Barthes e della lettura che ne fa Foucault.

Che sia il caso di pensare a fondare un partito politico o almeno un blog?

W ICONOLOGIA Cesarano Roland Barthes prevede l’oggi – Il fascismo della lingua

[1] Linda De Feo, Per un’ermeneutica del cyberspace. Lineamenti storico-filosofici, 2013; Sorkin, 1992, p.231