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Prefazione

Itinerario

Teoria dei Giochi

Il Gioco e le scienze umane

Videogiochi e Formazione

 

 

Introduzione

 

 

Il gioco nell’orizzonte contemporaneo ha un’estensione affrontabile solo in una ricerca pluriennale, in un programma che costituisca lentamente un panorama esauriente. I suoi rami si estendono nella letteratura, nella filosofia, nella matematica, nella pedagogia, nella psicologia, nella sociologia, nell’antropologia… il problema ha orizzonti quasi infiniti. Dall’homo ludens di Huizinga, al Gioco delle perle di vetro di Hesse, al gioco didattico della Montessori: sino al videogioco.

Questo convegno lancia il tema partendo dalla fine. Con sensato timore dell’infinito, ma cosciente che bisogna porre principio ad un’indagine metodica, che consenta di evidenziare i vuoti e di colmarli – per affrontare convenientemente il problema dei giochi digitali. Le tre sezioni del testo sono anche le direzioni della ricerca, Teorie del gioco, Il gioco e le scienze, Videogioco e formazione. Sono direzioni ampie, perché siano stabili, garantendo un ordine metodico di procedura. La scelta degli interventi mostra perciò l’orizzonte della complessità senza un bilanciamento programmato.

Parlare dei videogiochi è urgente, ma occorre farlo senza ridursi a parlare di tecniche e di paure dell’ignoto. Tanto più che il gioco ha assunto grande complessità nell’orizzonte contemporaneo. La mobilità delle coordinate delle tradizioni, fluidificate dall’accelerazione del progresso tecnologico, le rende incapaci di comportarsi come hanno sempre fatto, evolvendosi lentamente nel nuovo – oggi localizzazione si oppone semplicemente a globalizzazione. La costante rivoluzione della tecnica pone l’uomo di anno in anno di fronte a problemi logistici, morali, culturali, che non si sviluppano ma si rivoluzionano. Tutto ciò spesso lascia trapelare una sconcertante logica di gioco sottesa alla piena realtà e responsabilità di azioni storiche. Si pensi alle rivoluzioni dell’economia, giustamente sottolineate da Virilio: si delinea un neo ambiente elettronico, in cui  il gioco tende ad evadere dai suoi confini dicotomici con il lavoro, con il reale, con il metodo - diventa una modalità categoriale, esige una riflessione complessa, che è lo sfondo non eludibile del nostro tema specifico, l’analisi dei videogiochi.

Del gioco va colto l’aspetto globale ed autonomo, capace di articolare una finzione o un’ipotesi, senza configurare legami inibitori, nella creazione di nuovi scenari possibili. Perciò è una caratteristica che appartiene all’uomo, ma che la necessità può facilmente debilitare, poiché rende impossibile l’otium necessario per il suo svolgimento. Essere coscienti della centralità del gioco nella vita dell’uomo, e già questa prima silloge lo dimostra, giova a comprendere il titolo del convegno, del volume e del CdROM, cioè l’affermazione del diritto al gioco.

“Il simbolismo ludico può giungere ad adempiere la funzione che per un adulto sarebbe rappresentata dal linguaggio interiore, ma invece di ripensare semplicemente ad un avvenimento interessante e impressionante, il bambino ha bisogno di un simbolismo più diretto che gli permetta di rivivere questo evento invece di accontentarsi di un’evocazione mentale” (Piaget Inhelder 1966). Il gioco è dimensione intima dell’autocostituzione del sé. E si gioca per comprendere il mondo, grazie al perfezionamento dello “spazio di finzione” (Garvey 1977) si indaga un mondo ignoto, senza impegno, lasciandosi andare ad un assaggio delle possibilità.

"I giochi sono estensione delle nostre persone sociali, e non di quelle private, e sono media di comunicazione. Se dovessimo chiederci: ‘I giochi sono dei mass media?’ la risposta dovrebbe essere affermativa. I giochi sono situazioni escogitate per permettere la partecipazione simultanea di molte persone a qualche schema significante delle loro vite collettive" (McLuhan 1964). Nel gioco si imparano i meccanismi di comportamento, individuale e sociale, senza ancora che esso sia meccanico: ancora fluido e pronto alla comprensione e all’adattamento[1].

Se il gioco è centrale per la comprensione del mondo e la progettualità dell’azione, non può essere sottovalutata la sua privazione. Lo spazio del gioco deve essere considerato un diritto per ognuno. Dai bambini dell’America latina ai figli del degrado urbano, invece, tanti sono esclusi dalla fruizione di questo diritto, sono costretti a giocare senza l’utilizzo di strumenti adeguati a dare al loro gioco effettiva capacità formativa. Se è un processo della costituzione dell’io e dell’adattamento al mondo, deve essere fornito nelle metodologie adeguate al presente.  Non perde perciò la sua capacità istruttiva il gioco con la bambola o con la scopa/cavallo: ma occorrono anche giochi adeguati ai possibili spazi del vivere presente, luoghi in cui immaginare le sceneggiature del futuro. L’educazione, dunque, deve preoccuparsi anche della deprivazione degli strumenti di gioco adeguati, quali possono essere i videogiochi, la cui potenziale efficacia formativa nella preparazione al mondo d’oggi va affermata. Essi recano l’acquisizione di un atteggiamento di familiarità con il computer, consentono giochi di fantasia e di realtà virtuale: è un tema che ho sviluppato in una lezione su Rodari, acclusa nel CdROM, segnalando l’utilità formativa di diversi generi, e qualche titolo pregevole. Atteggiamento di familiarità che non è solo velocità ed efficienza nell’uso del mouse, educazione all’immagine – comune a tutti i prodotti multimediali. Il videogioco è un gioco, non si limita ad usarne gli schemi con altri scopi. Ed è questo, insieme all’interattività, a produrre la familiarità che si diceva, la volontà di ricorrere al mezzo, il piacere di incontrarlo. E’ l’atteggiamento giusto del lettore per passione, che difatti la scuola cerca sempre di formare, oltre al lettore di testi tecnici di studio che mai più saranno ripresi in mano. Il computer allora, compagno sicuro della vita presente e futura, perde ogni aspetto alienante, diventa un mezzo amichevole da frequentare nelle sue immense possibilità.

Certo non può essere ignorata la questione che la stampa così frequentemente agita: sono i videogiochi pericolosi? Certo, possono esserlo: come qualsiasi gioco. La loro pericolosità è aumentata dal fatto d’essere giochi di recente scoperta e produzione. Dall’essere scelti da genitori che spesso non conoscono il contenuto di quel che comprano. Questi elementi fanno sì che il pericolo di alcuni prodotti possa diffondersi impunemente, innescando processi perversi. Ma ciò dipende dai contenuti specifici, riguarda alcuni giochi e comportamenti errati, la condanna non può ricadere sul mezzo in quanto tale, come dimostra l’ampia produzione già attuale, che presenta giochi educativi e prodotti ludici rivolti all’educazione scolastica.

Piuttosto si può porre e si deve la questione del loro screening critico, mentre le notizie e recensioni sui giornali per lo più riguardano la loro efficacia, la loro novità tecnologica, gli effetti, senza porre attenzione al contenuto pedagogico, psicologico, didattico. Uno screening che può essere aiutato da una catalogazione dei giochi cui partecipare attraverso l’organizzazione di un sito apposito, aperto alla collaborazione dell’utenza. La letteratura per l’infanzia, insomma, deve fornirsi come ha sempre fatto, di analisi differenziate dei testi da proporre, così da contribuire attivamente alla diffusione dei prodotti migliori.

Ma i videogiochi sono un discorso che non riguarda solo il mondo della formazione. I giochi, anche digitali, squadrano un mondo riposante ed interattivo in cui agire fuori della schiavitù del tempo. In particolare, i digitali sono privi anche della schiavitù del tempo condiviso: si può giocare a qualsiasi ora, anche da soli, ma anche con altri che si collegano in orari diversi. Ciò non toglie il rischio di un tendenziale autismo, un pericolo comune alla comunicazione di massa nella sua complessità: ma ciò non toglie il pregio di essere una valida alternativa ludica ai pericoli ed alle solitudini del mondo. Chi ha problemi, ricorre spesso a soluzioni peggiori.

Il gioco è l’antidepressivo per eccellenza, consente di vivere la propria fantasia, combatte l’interpretazione paranoica di sentirsi il mondo contro. L’importante, come nel vedere la televisione, ma come poi in ogni attività umana, è che il telecomando resti nelle nostre mani, che si viva l’attività con senso critico, senza diventare schiavi dei percorsi. Il giocatore digitale, però, sa che è più facile di quel che sembra, che quando si cede e si resta al gioco più ore di quel che vorremmo, non è che il video si impadronisca di noi, è che il divertimento ci tenta. Ingenua e semplice attrazione, esercizio della voglia di vivere, che il gioco comunque esercita.

Clementina Gily Reda



[1] Per una storia ed una bibliografia esauriente cfr. A. Nobile, Gioco e infanzia, La Scuola, Brescia 1994.