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Il canto di Orfeo fa muovere animali, piante, pietre. Ma per questo è maledetto, è un atto di hybris, una trasgressione dell'ordine cosmico. Orfeo poetando smaglia l'armonia universale, la rete di rapporti musicali che sostiene tutte le cose e di cui è signore Apollo. Per contrappasso gli muore la sposa, Euridice. Orfeo compie allora un secondo atto di hybris: scavalca la soglia che divide la morte dalla vita, scende negli inferi e incanta con la sua cetra anche i sovrani di laggiù, che gli concedono, di far rivivere «lei così amata». A un patto però: per tutta la via che lo riporta dal buio alla luce e al tempo non dovrà mai voltarsi indietro. Ma Orfeo non resiste, si gira a guardare Euridice, che viene inghiottita per sempre dall'Ade.

Amore, morte, poesia formano un triangolo, di cui la terza linea, la poesia, è quella che congiunge le prime due. Amore e morte sono i poli della contraddizione perenne della vita umana, fin dalla nascita, fin da quando, neonati, oscilliamo tra due forze: da un lato, quella che ci spingerebbe a tornare nel buio (in greco «orphé», la stessa radice del nome di Orfeo) e nell'indistinzione del ventre materno; dall'altro lato, quella del desiderio, che ci attrae verso qualcosa di altrettanto indefinibilmente caro, ma luminoso e sconosciuto. Né l'una né l'altra forza sono la vita: lo è solo la tensione fra le due. E' a questo punto che, a tentare di sanare il dissidio tra ombra e luce e tra discesa e ascesa, insorge in noi ciò che gli antichi chiamavano «poiesis», dal verbo «poiéo», «creare».

 

La sezione si occupa dei principali autori contemporanei fornendo brevi cenni biografici e riferimenti principali al mito da parte degli autori