La Parola

 

Un uomo, chiuso in una stanza, pronuncia la Parola.

Nessuno lo ha sentito e nessuno sa ch’ egli è lì a dire quella Parola. In un certo senso, è come se essa non fosse mai stata detta, eppure la Parola è lì e dopo di essa l’ Universo non potrà più essere lo stesso. Poco importa sapere quale fosse concretamente il fonema pronunciato: il nome di Dio?, il vero nome del primo uomo?, il nulla? Ecco, mi piace pensare (è un’ ipotesi irrilevante) che essa fosse il nulla e che per la prima volta sia esistita una parola che non rappresenta il nulla ma, in qualsiasi modo, lo è. Da quell’ istante, dal momento preciso della sua comparsa, niente può più dirsi esistere. Il nulla è stato invocato e si è fatto presente, come può esistere qualcos’ altro al di fuori di esso? Vista l’ impossibilità di coesistenza tra il nulla e qualunque cosa, esso prevale su tutto, e dopo che la Parola è stata detta, l’ Universo ha cominciato a collassare vanificandosi a velocità infinita. Spettatore esterrefatto del processo è Dio, un Dio insolitamente soddisfatto (nella sua onniscienza, non era arrivato a concepire che basta introdurre un solo atomo di niente nell’ Universo perché questo scompaia senza poterne sostenere il peso). Ma la soddisfazione dura poco. Dio infatti sa di aver creato l’ Universo infinito e che quindi la causa di annullamento introdotta in un punto di esso impiegherà un tempo infinito prima di coinvolgere il tutto. Insomma, l’ Universo si sta disfacendo ma noi possiamo stare tranquilli perché prima di raggiungerci, la causa del disfacimento dovrà percorrere un tempo infinito (solo Dio, quindi, rimarrà per assistere allo spettacolo; lui, lo sappiamo, sa aspettare):

Ma che quella Parola fosse il nulla è (lo abbiamo già detto) solo un’ ipotesi senza fondamento, ché essa potrebbe essere di tutt’ altro spessore (o meglio, di qualche spessore). Egli ha forse detto il nome della sua amata, o il risultato di un incontro della sua squadra del cuore, o la data di nascita e di morte di qualcuno di noi. Chi può dirlo? Aperto alle indefinite possibilità del dicibile (e oltre), il nostro uomo deve aver esitato almeno un attimo prima di pronunciare la Parola. E chi sa, forse quell’ attimo di angoscia s’ è dilatato in un tempo immenso e quell’ uomo (e noi con lui) sta ancora aspettando di dire quella Parola.

 

La verità (quale presuntuoso eufemismo) è un’ altra, ed è che quell’ uomo quella Parola non l’ ha mai detta e non ci ha pensato nemmeno per un istante. Spaventato dalla mole di questi ragionamenti, quell’ uomo (che, è ormai giunto il momento di dirlo, non è altri che me stesso), ha preferito il silenzio alla pronuncia di sillabe che, anche solo per ipotesi, avrebbero potuto provocare il disfacimento dell’ Universo. Quanto alla Parola l’egli-me ha preferito scriverla e sigillarla in una busta che io-lui ho il pregio di custodire, e mi dico disposto a mostrare (senza richiesta di alcun emolumento) a chiunque ne sia interessato.

 

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