DEL TROVAR

 

                                                                           … sorte più che imitazione.

                                                                                                                 R. M. Rilke

 

 

 Raschiata che sia stata la parola, déchairée mercé l’amnesia dello scheletro che si disfa in catasta, in ossario, una volta rivoltato finanche il disguido fonico che non si periclita mai, in ogni caso, di non essere attuale: << E qui voco ! e qui voco ! >>, si soggiace parlati in un vano divaghare de ruinis. Basta con le vicende, le faccende, la rotta di che s’impelaga il viaggio … Allorché non s’abbia più come dire, si provi a disdire – e tutto il resto sarà fatto.

Detriti, si diceva, o rovine, il che fa il medesimo e dunque l’indifferenziato cominciamento e/o tramonto delle forme, laddove attesa mi ricorda, memoria m’attende (perché non si dia esperienza poetica occorre infatti stendere il velo pietoso del resoconto, la sgravata descrizione; occorre dominare la scena: estorcere il confetto di un’invocazione all’amara e salsa preghiera delle acque). Giulio Laforgue ad esempio, infossato il sigillo dell’interiorità, rovesciato il principio Escogito ergo sum, così scrive o disdice:

 

Béons à la Lune,

 

La bouche en zero.

 

Prima d’ogni forgia, allorché mi cimento in niente e rimando a mia afasia. Ecco dove, tumulati giovanili ardori e pubertà di estetico pelo, ecco dove – più degrada e più si logora – va a frinire il canto, lo si chiami eco cimmeria o stralunato cicaleccio, sempre ormai trobar déçu, senza scampo(lì) di dimora.

 

Back