Cimmeria per In –definizione

 

 

 

Premessa a mo’ di dedica:

Chiunque legga il messaggio se lo figuri inscritto nella bottiglia o scolpito nella testa della marotte di un giullare. Ciò lo aiuterà a capire lo stile che si fa talvolta crittogramma di luce persa nell’ombra. Non assente è il senso ma altrove propriamente, ailleurs. Spero nonostante questo piccolo ante-scritto di non tediare oltremodo il (sempre dispotico) lettore, né di turbare vieppiù la sua quiete con parole, da principio, estromesse dal comune eloquio che, come tutte le altre loro pari, hanno l’assoluta pretesa di dire nulla.

 

 

Nella lontana terra cimmeria ce qu’est laissé est gagnè.

Non il progetto senza l’amore del rigetto.

Ciò corrobora l’idea del luogo: un’isola appunto, o meglio un atollo. Un lembo di terra quasi impercettibile che circonda un più ampio vuoto. Vuoto , poi, solo all’apparenza. Pieno è questo luogo più della luna di Astolfo di ciò che una volta fu dimenticato, o-messo, de (re) litto. Ogni malattia concessa, ogni caduta legittima. Solo così infatti si perviene a questo luogo, onirico, fissando l’orizzonte riflesso in un pozzo…e i pozzi si sa non sono ottimi consiglieri…

….bisognerebbe chiuderli…la notte…

E qui nella lontana terra immaginata dal Volo di un Ulisse mai stato è notte quasi sempre. Il Sole compare raramente operando trasformazioni e mirabili sublimazioni, trasfondendo di sé ogni cosa. Quando arriva è accecante ed ogni cosa s’eleva a quella che fu una volta: oggetti e soggetti beati nella grazia dell’esistere. La Bellezza regna sovrana ed ogni elemento riprende il suo posto alchemico nel movimento del cosmo….

Reverie d’altri tempi….

Ma così com’arriva il sole dell’isola, svanisce, soffrendo di costanti eclissi. Ecco perché la guida al naufrago è , di notte, la luna. Madre d’ogni delirio e delitto. Come Medusa il suo volto lascia di pietra perciò la sua luce riflessa va colta nei pozzi. Ogni natura è nell’uomo figlia d’artificio. Potenza, e non potere, dell’espressione che lo conduce alla creazione. Creazione che sempre si configura come dolore, perdita, omicidio, delitto. Infame e infamante.

Figlio dell’omicidio, Pierre Rivière torna alla natura (quantum distat dal buon selvaggio di roussoiana memoria) con “un pezzo di legno sul quale c’era una corda attaccata alle due estremità, a forma d’arco, e un altro pezzo di legno a forma di freccia, con un chiodo a spillo su un’estremità.”

Naufrago finalmente nel regno dei morti-in-vita, lui che di morti ne aveva lasciati tre dietro di sé e tutti macchiati del suo stesso sangue. Macabra danza dell’assassinio dei doppi. Rifiuto ancestrale della vita e affermazione dell’istinto di morte ma anche affrancamento dalla Famiglia, dal Padre, per poter edificar rovine nella foresta.

Non solo: come dicono le fonti Pierre Rivière viene ritrovato in possesso di un “bastone di zolfo.” Mirabile dictu! Il Diabolico signo ci dice più di quanto miti orecchie vorrebbero udire…il simbolo scompare e con lui l’armonica bellezza. La spontaneità è una conquista, ardua, da perseguire nella mistificazione costante, nello sdoppiarsi del de-linquere.

Ricorda l’etimologia: bellum(bello in latino medievale) deriva da bonicellum (piccolo bene). Beata mediocritas! Chi di voi rinuncerebbe a qualcosa per esso? Quale piccolo uomo, dotato di un piccolo gusto, rinuncerebbe alla sua piccola casa per un piccolo bene? Non di una posa dannunziana si tratta, ma di una franca onestà, quella per intenderci che Nessuno osò con Polifemo…o Caino con Abele…lasciandosi alle spalle la voce del signore che lo dotava d’un’eterna pena….

Il nuovo Robinson Crusoe si presenta carico del peso d’ogni colpa e afflitto d’ogni rimorso che sempre va scomparendo. Nuova faccia del dolore cava al suo interno e scarna.

Ogni naufrago non si sottrae al peso ancestrale del suo destino che, Basilisco, lo vuole figlio di Re.

Così si disegna il confine dell’isola…da un’idea che fu….precisata un tempo ma imperfetta oggidì e in continua trasformazione. Nuova origine dell’originale. Labirinto dei labirinti, babele d’infiniti linguaggi e segni, tracciato e mappa coperta dalle sabbie del tempo. Come un disegno, un verso, una prosa…o meglio tutto ciò che da essi esula, deraglia, sconfina…frammenti e contorni destinati a s-comparire nella gibigiana.

     ….come della notte degli albori i figli….

Furore (e)joculatorio, costantemente poietico, rivolto all’inattualità dell’atto nell’aporia del delitto.

Nella violenza del detto. In-costanza della ragione. Dis-ordine del non so che.

Basta con la grazia e con i grazie. Prego non c’è di che…

Il perimetro del folle volo cancella ogni potere costituito che non abbia raggiunto una sua verità-in-atto, con il terrore che ciò comporta. Non più la Morale della Colpa, del senso esterno eteronomo ed eterocostituito, ma la Colpa della Morale. La scelta conseguente sarà est/etica, e contrappone la Lotta alla Guerra, la Sperimentazione al Metodo, la Potenza contro il Potere. È la legge della Crudeltà e della Peste.

Metafisica che sempre si costruisce per l’atto e da esso si deduce, con esso si deraglia ed in esso si annulla. “Metafisica sperimentale” diceva qualcuno, e nella pratica d’altri questo già è divenuto l’uomo – macchina, attore dell’irrappresentabile, che mima il gesto impotente della marionetta umana.

La necessità della ricostituzione dell’uomo passa per il sangue e le ossa di un gesto, di un tratto di una scrittura fatte per essere supplizio e poi subito oblio. Come degli Agenti del Regno dei Morti, per conto di Plutone il nostro compito sarà di darci una meta per poi rinnegarla, di darci un orizzonte per poi cambiarne connotati. Un bruitage che sempre si vuole preludio al silenzio. Un silenzio che è sempre pausa per l’eterno bruitage. Rumore tormentoso di una scrittura non ancora forse inventata ma già immaginata dai maestri dei secoli passati, voci magnetiche perse nelle volute di un geroglifico. Glossolalie: estratti di un linguaggio perduto nei meandri della lingua appresa un tempo ma poi dimenticata, rimpastata, ricreata.

Questa è l’arte tra le arti, quella più difficile ed insicura, quella del dis-imparare. Nel cuore un lontano ricordo del caldo piacevole sole del metodo perfetto, mai perfettibile, da cui tutto s’apprende a fare… senza mai precisarne il motivo. Lentamente da questo cielo assolato venne fuori ciò che il mondo non pensa, ama dimenticare, tralasciare, quasi che non fosse suo precipuo argomento: il fine,o meglio, lo sfinimento.

In un gioco (che è sempre primieramente un gioco di parole) per cui ogni cosa ama e crea da sé il proprio contrario, per amore del gioco senza confini, la ragione parla il linguaggio del cuore. Una lingua oscura dotata di una voce impalpabile e sottile, che fa fatica a dar fede al mondo. La legge del cuore si volge all’origine e si confonde nel sole, teme la notte in cui il bimbo riposa, ricorda diavoli e streghe. Così questo cuore deve lottare e sempre cercare il proprio linguaggio.

Sicchè non si vuole produrre o proporre un metodo ma semplicemente ricordare, nel perimetro dell’isola, la lotta col Caso. Se la legge della casualità fortuita domina sull’isola, il frammento sarà il suo unico linguaggio: perenne oscillazione di più e più punti di vista.

Un amore che sta nel mezzo, equilibrista attento, che sa “che se nel mezzo sta il sapore/ alle due estremità c’è il fiele.” Lontano dal mascolino e dal femminino (benché figlio d’entrambi) verso un’idea dai contorni sempre più (in) certi, un cuore sempre più es-perito. Una lotta lunga in cui per essere completamente, qui su questa terra, devi mettere alla prova la danza alla rovescia del doppio, lontano dal sole… riflesso nell’ombra.

Musica sull’isola e danze, scritte in un ricciolo, barocco arabesco: tratti che si cercano e si disperdono sulla battigia, aspettando di divenir messaggi per una bottiglia.

E chi riceverà tali missive dormirà ancora o forse, perso in un riflesso, darà fiato ai polmoni per una risata agghiacciante e infinita degna della migliore tradizione patafisica. Perciò l’umorismo crudele si riassume sempre nell’atto mancato, anche quand’esso si finge presente, e si manifesta nell’essere sempre de-centrato da sé e dal proprio movimento.”La libertà non è libero arbitrio ma liberazione”, possibilità assoluta di definirsi realmente attraverso la propria virtualità. Riso sarcastico e humour nero, capacità di dare atto alla Rinuncia al Guscio, alla Tana, al Mondo, non prestando fede alla Coscienza. Ripetere l’atto che fu di Pinocchio schiacciando al grillo la testa, divenuta troppo pesante per una zucca di legno. L’ammissione di vera e cruda deficienza è il primo atto d’ogni dire e d’ogni fare, liberandosi per primo dello spettro della libertà (ente fantomatico che guida e condiziona la schiavitù dei popoli). Il  suicidio perpetuo è la voce della ri-volta: sussulto ripetitivo dell’essere in movimento….come gli echi del mare che circondano l’isola.

 

Post-scriptum

Se la carta vi ha condotto fin qui già avanzato è il vostro procedere. Ma la retorica detta le sue leggi e dunque m’impone da voi un commiato, chè fuori da ogni dire che fu nei tempi anteriori la scrittura da sé non si finisce ma si estenua nel peregrinare.

Finito il mondo del tempo che fu, quello per intenderci degli eroi e delle loro mancanze, consacrata oggidì la fine del mondo conosciuto, anche noi temerari rivolgiamo gli occhi oltre il picciol mondo e sostiamo presso le colonne d’Ercole. Se qualcuno chiedesse dove l’isola precisamente si trova lo rimanderei al Nostromo ( segregato nella stiva d’un’altra storia) ma per non tediarlo con noiose ricerche potrei dirvi: in un libro. Un libro di terre lontane e montagne ancora ignote ma verso le quali è già ora di mettersi in viaggio.

 

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