S-Cultura

Riflessioni sul-la. Sul la della s-cultura. Donde essa si origini nella cultura contemporanea. A quali appercezioni ella si prefigge di giungere. La ri-flessione della s-cultura come antefatto dell’oggetto che una volta creato si vuole inflessibile nerbo di stolida virilità. Ssssssshhhhhhhhhhhhhhh….ACHTUNG: sull’attenti. Sta per fare il suo ingresso una parola grossa. Chiniamo tutti il capo la Cultura incede maestosa pei lunghi corridoi della storia e si specchia nelle opere degli uomini e degli dei che tutte la celebrano sul globo terracqueo.  Ma ecco che proprio nel suo incedere nella sala delle arti figurative una piccola S sfuggita alle lettere di chissà quale libro le si  avvicina  e con un piccolissimo filo di spago si lega a ei, in modo da porsi a lei innanzi. Così si frappose la S tra la Cultura ed il suo divenire  finalmente un corpo. La S-Cultura così oggi si presenta innanzitutto come un problema di fisica. O meglio di fisico. Uno scalpello ideale scolpisce ogni singolo arto ed atto del divenire. Ogni minuto è la possibilità di uno scatto, di un flash proveniente da una ipotetica macchina pronta ad (im)mortalare ogni piega dell’esserci. Sicché si è sempre molto attenti ai denti, altrove strumento dell’acquisizione della carne, del nutrimento…qui, invece, impotente esibizione plastica: denti veri, finti, dorati o al brillantante, l’importante e che siano sorri-denti. Il sorriso diviene arte sopraffina della galanteria priva di senso, compiacimento dell’incomprensione, dell’evitarsi. Non nel riso infatti ci si addentra ma su di esso si rimane, appunto sospesi. Inevitabilità dell’inconcluso. La prova d’attore è stentorea, il sorriso resta imprigionato nella superficie dello specchio: non procede oltre ma neanche ritorna indietro. Sta, sospensione del tragico e del comico, rista.  Nell’epidemia del sorriso (assente di presente) si contempla la s-comparsa della cultura. Nella contemplazione della Bellezza nello specchio del sorriso si contempla la scomparsa del corpo che quel sorriso aveva prodotto. Ciò che allo specchio resiste, in quanto fisicità assoluta, è l’oggetto inerte. Quotidiano elemento di s-cultura fisica e mentale. L’oggetto sopravvive a sé stesso ed ai suoi doppi, ai suoi dubbi. Non si lascia irretire dalle possibilità infinite che la superficie argentea gli promette, niente s-cultura, nessun tentativo di trasformazione esistenziale, esso sembra aver raggiunto il gradino più alto dello stadio della creazione: il creato. Tronfio, come se esso non fosse semplicemente creato ma Il Creato, appunto, e contenesse dentro di sé tutto l’eterno infinito. Così estatico si presenta il dover essere della materia: “Ciascuna porzione di materia può essere concepita come un giardino di piante o come uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo della pianta, ciascun membro dell’animale e ogni goccia dei suoi umori è ancora un giardino o uno stagno dello stesso genere.” Così si diceva prima dell’avvento della materialità assoluta. Quella che resiste ad ogni sorriso, che non indulge se non all’imprevisto, alla sorpresa. La scultura è diventata l’oggetto assente del corpo – massa che le si forma, autonomamente, davanti e non crea compiacimento ma disagio. Tutt’al più riso. Nascoste dalla stessa massa che compone l’oggetto si insinuano le piaghe nascoste del mondo creato. Le vecchie monadi si presentano nude, sotto mentite spoglie, assoluti significanti. Così da questa casa, nuovo oggetto creato, non s’esce. Non si comunica con l’esterno se non per riflessione, atto in cui scompare l’oggetto che l’ha creato. Come i nuovi golem prendono possesso della loro statica vita e escludono immediatamente il loro creatore. Il vecchio Dio tiranno si trasforma subito in un idea di scomparsa, vago ricordo dell’ente creato. La sua stessa creazione aleggia lontano dall’oggetto creato, che, persa la memoria del suo primigenio stato, inventa dentro di sé mondi nuovi e nuovi dei. La S-Cultura vive riempiendosi della sua negazione. Quel trattino che sempre affatica la formulazione del concetto, facilita la composizione dell’oggetto. Vive il soggetto di un riflesso assente, sicchè l’oggetto si propone come feticcio assoluto. Arte e parte insieme. Nelle pieghe del tratto e del detto, gode il fatto. E di un piacere del tutto suo che esula dalla seduzione virtuale del piacere, rientrando nel dominio del pornografico, piacere fisico innanzitutto. Si ricompone così la manualità dell’uomo, stanca immagine di Dio. Più che Dio: Padre. Che rifrange il suo complesso altrove lontano dalle pieghe che lo hanno partorito. S-compare l’idea al darsi della s-cultura.  

 

 

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