Filosofia Italiana

 

L'erbario

Giornale Wolf

 

Nuova Rivista Cimmeria

 

Genealogia del demiurgo. 

Nota al Cahier de Talamanca di Cioran.

 

di Umberto Cardinale

 

   Nell’estate 1966 Cioran progetta un saggio sulla redenzione:

  « Je ne vois pas très clairement quelle tournure doit prendre mon essai sur la redémption. (Il me faudra lire Mainländer, relire E.von Hartmann, et me replonger dans les gnostiques) »[1].

   Cioran è indeciso:

  « À mon retour, j’aurai à choisir entre écrire l’essai sur le cafard ou celui sur la rédemption, deux projets entre lesquels je balance depuis quelques mois »[2].

   E ancora :

  « Quel sens trouver à l’idée de rédemption?

   Essayer de lire le livre de Phillipp Mainländer: Die Philosophie der Erlösung »[3].

   Ci sembra inoltre opportuno riportare un altro frammento, ove Cioran associa il nome di Basilide all’idea di redenzione - che prenderà poi forma, nel 1969, ne Il funesto demiurgo:

  « Je crois avec le gnostique Basilide que l’humanité doit rentrer dans les limites naturelles par le retour à une ignorance universelle, véritable signe de rédemption. Il faut que l’homme dépasse la connaissance, qu’il renonce à l’aventure de la connaissance [...] »[4].

   Non ci sembrerà azzardato, dunque, osservare le corrispondenze fra il concetto di redenzione nello gnostico Basilide e nello schopenhaueriano Mainländer, ai fini di una fenomenologia dello gnostico in Cioran.

   Quello di Basilide è un nichilismo ante litteram:

  “(…) ogni essere, ogni cosa, l’universo preso nella totalità del suo divenire sono destinati a trovare il loro compimento definitivo nella notte della ‘Grande Ignoranza’, nella pace del ‘non essere’”[5].

   La testimonianza sulla dottrina di Basilide che qui è presa in considerazione - e che lo stesso Cioran cita[6] -, è quella di Ippolito, Confutazione VII, 27,1:

  “Allorché tutta la filialità sarà giunta e si troverà al di sopra del limite, cioè dello Spirito, allora la creazione troverà compassione. Infatti finora geme e si angustia e aspetta la rivelazione dei figli di Dio (Ep. Rom. 8, 19.22), affinché tutti gli uomini della filialità salgano qui in alto. Allorché ciò sarà avvenuto, Dio distenderà su tutto il mondo la grande ignoranza, affinché ogni creatura resti nella sua condizione naturale e nessuno desideri alcunché di ciò che è contro natura”[7].

   L’idea di redenzione dello gnostico Basilide si traduce quindi in un ritorno al non essere che Cioran vede come possibile via di salvezza:

  « Rédemption: par la connaissance, par le dépaissement de la connaissance »[8].

   Dépaissement, “oltrepassamento” della conoscenza che si lega alla Erlösung, la “redenzione” della filosofia di Mainländer[9].

   Sull’autore della Filosofia della redenzione - erede, insieme a Bahnsen e Hartmann del pensiero schopenhaueriano[10] -, scrive Volpi:

  “Architettò un sistema filosofico in cui concentrò il pessimismo dei suoi due maestri [Schopenhauer e Leopardi]: una ontologia negativa, una metafisica nera, basata  sul principio secondo cui ‘il non essere è preferibile all’essere’ ”[11].

   Mainländer pensa - come Schopenhauer -, che non si conosce la cosa in sé bensì le sue apparenze, il mondo essendo così una rappresentazione. Ma, mentre in Schopenhauer la cosa in sé è volontà di vita, per Mainländer la cosa in sé è volontà di morte, anticipando così il concetto freudiano di todestrieb, l’impulso di morte. Egli propone “(…) un’ardita congettura teologico-metafisica: essa nasce dal processo attraverso il quale la sostanza divina originaria - termine che egli riprende da cafard, altra scoperta fatta a Napoli - trapassa dalla sua unità trascendente alla pluralità immanente del mondo. E afferma: ‘Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo’, coniando per primo un’espressione che sarà resa famosa da Nietzsche”[12].

   Un Dio che si dà la morte passando dall’essere al nulla, de-creandosi, è qualcosa di molto simile al Dio ineffabile, inconoscibile degli gnostici. Mainländer parla infatti di un’azione della trascendenza, mediante la quale il “super-essere” che sta oltre l’essere e precede il mondo si dissolve nell’immanenza del mondo e quindi nel non essere. Manifestazione di una volontà di autoannullamento di Dio è ciò che si vede nel mondo. L’ignoranza auspicata da Basilide è qui presente in atto. Con la sua metafisica dell’entropia - che culmina nel gesto del suicidio, praticato per redimersi dall’esistenza -, il filosofo tedesco, da moderno Egesia, persuasor di morte, dà forma alla vertiginosa intenzione di “guardare negli occhi il Nulla assoluto”. Di sicuro, oltrepassando la “conoscenza”. Non a caso una sezione de Il funesto demiurgo - nato indubbiamente anche dalle letture dell’opera di Mainländer - s’intitola Incontri col suicidio. Così Cioran:

  “Bisogna essere avidi d’assoluto per prendere in considerazione il suicidio. Ma si può farlo anche quando si dubita di tutto. Ed è comprensibile: più si cerca l’assoluto più si sprofonda nel dubbio, per il disappunto di non poterlo raggiungere, dubbio che sarebbe poi l’inverso di una ricerca, la conclusione negativa di una grande impresa, di una grande passione. L’assoluto è inseguimento; il dubbio, una ritirata. Questa ritirata, inseguimento all’incontrario, urta, quando non sa fermarsi, contro estremità inaccessibili a ogni percorso razionale. All’inizio era soltanto un modo di procedere; eccolo vertigine, come tutto ciò che s’inoltra al di là di sé stesso. Avanzare o retrocedere verso dei limiti, scandagliare il fondo di qualcosa, è andare incontro, necessariamente, alla tentazione di autodistruggersi”[13].

   Il dubbio di Cioran resiste tanto alla forma d’assoluto dell’ortodossia gnostica quanto a quella delle radicale redenzione mainländeriana: il sospeso obliquo oscilla nello stadio della tentazione.

   La redenzione di Cioran continua ad essere tutta all’interno della costellazione frammentaria della sua  scrittura.

                 La scrittura del “cafard”.

Va fatta una precisazione. Cioran è uno scettico, non un “nichilista”. Egli lavora a dominare non un senso, bensì uno stile di vita: da qui uno sguardo distanziato, nel ricercare, nell’osservare (skeptein) e nel registrare in forma di frammenti- pensieri, aforismi o brevi saggi che siano- i propri declini e quelli del mondo, con l’eleganza, l’onore, la dignità etica dello scettico.

   Non nascondendo però, nella sua espressione, la linea di spasmo che tradisce una tensione all’ascesi, una mistica disperata.

   Basta vedere i quadri di Arnulf Rainer, le sue sovrapitture, quadri cancellati, pittura per viam negationis, o imbattersi nelle contrazioni organiche del teatro di Samuel Beckett, oppure osservare la fragilità ontologica delle sculture di Giacometti, per comprendere in maniera essenziale la necessità di riferirsi, tanto nel loro caso quanto in quello di Cioran, ad una mistica della disperazione.

   Profeta della decomposizione, Cioran curva il suo eccesso d’intensità espressiva secondo la logica vertiginosa di colui che dà forma alle parole dell’assurdo trasformandole in immagini del nulla[14].

   Quel nulla che egli rimpiange, lamentando l’inconveniente di essere nati, avendo così rinunciato allo stato anteriore della quiete assoluta, della pura possibilità.

   La diserzione del possibile a favore del necessario è causa d’esistenza, ed è l’inizio della veglia di Cioran- sospeso obliquo fra la caduta nel tempo e quella dal tempo- che patisce l’assurdo di una spietata lucidità- equivalente negativo dell’estasi- ossessiva vertigine, come quella di Leopardi.

Con l’atto di scrivere, Cioran realizza il movimento inverso, regressivo, della poiesis, una vera e propria decreazione che si oppone alla naturale tendenza affermativa dell’essere, decreazione che gli permette di dissolversi in quanto soggetto che scrive, sottraendosi mediante quella forma convulsa e discontinua la quale, a partire da Nietzsche, fa esplodere il sistema in frammenti.

Umberto Cardinale

 

 

 

NOTA BIOGRAFICA

 

 

 

E.M. Cioran è nato l’8 aprile 1911 a Rasinari (Romania) e morto il 20 giugno 1995 a Parigi. Suo padre era prete ortodosso. Dal 1920 al 1927 studia al liceo di Sibiu. A diciassette anni entra alla facoltà di filosofia di Bucarest. Ottiene la laurea con una tesi su Bergson. Il suo primo libro, Al culmine della disperazione, comparso nel 1934 a Bucarest, contiene in nuce, come confessa lui stesso, tutto ciò che ha scritto in seguito sia in rumeno che in francese. È in questo periodo che si distacca dal bergsonismo, colpevole, secondo lui, di aver ignorato la dimensione tragica della vita. Nel 1937 pubblica Lacrime e santi, opera controversa, frutto di una crisi religiosa. Lo stesso anno, avendo ottenuto una borsa dall’Istituto francese di Bucarest, arriva a Parigi.

Nel 1947, propone alle Edizioni Gallimard il manoscritto del suo primo libro scritto in francese: Sommario di decomposizione, che viene accettato. Esce nel 1949. Cioran si stabilisce definitivamente nella capitale, e continua in seguito la pubblicazione delle sue opere più importanti presso lo stesso editore.

 

 


 

[1] E.M.Cioran, Cahier de Talamanca. Ibiza (31 juillet-25 août 1966), texte choisi et présenté par V.von der Heyden-Rynsch, Paris, Mercure de France, 2000, p.52.

[2] Ivi, p.24.

[3] Ivi, p.38.

[4] Ivi, pp.15-16. “Basilide, lo gnostico, è uno dei rari intelletti ad aver capito, all’inizio della nostra èra, ciò che oggi è un luogo comune, cioè che se l’umanità vuole salvarsi, deve rientrare nei propri limiti naturali mediante il ritorno all’ignoranza, vero segno di redenzione. Questo luogo comune, affrettiamoci a dirlo, è ancora clandestino: ciascuno lo sussurra, guardandosi bene dal proclamarlo. Quando sarà diventato slogan, un passo avanti considerevole sarà stato compiuto”. E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, trad. di D.Grange Fiori, Milano, Adelphi, 1986, pp.132-133.

[5] H.C.Puech, Sulle tracce della Gnosi, Prefazione, trad. a cura di F.Zambon, Milano, Adelphi, 1985, p.25.

[6] E.M.Cioran, Cahier de Talamanca, cit., p.16.

[7] In Testi gnostici in lingua greca e latina, a cura di M.Simonetti, Milano, Mondadori, 1999, p.173.

[8] E.M.Cioran, Cahier de Talamanca, cit., p.17.

 [9] Cfr. P.Mainländer, Schriften.4 Bde.Hrsg. von W.H.Müller-Seyfarth, Olms, Hildesheim, 1996-1999.         

[10] Cfr. l’ottimo saggio di G.Invernizzi, Il pessimismo tedesco dell’Ottocento. Schopenhauer, Hartmann, Bahnsen, Mainländer e i loro avversari, Firenze, La Nuova Italia, 1994.

[11] F.Volpi, Mainländer.Una filosofia da suicidio, La Repubblica, 7 aprile 2001, p.46.

[12]Ibidem.

[13] E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, op. cit., pp.80-81.

[14] Mi permetto di rinviare al mio lavoro di tesi “Cioran, il nulla e l’assurdo” discusso nell’Anno Accademico 2000-2001 con il professor Aldo Trione, titolare della Cattedra di Estetica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, nonché a “L’ossessiva vertigine. Saggio su Cioran”, in corso di pubblicazione.