Filosofia Italiana

 

L'erbario

Giornale Wolf

 

Nuova Rivista Cimmeria

di Roberto Cortese

Nel decennale dal volume di Roberto Cortese Riflessioni sulla giustizia ricordiamo la figura di questo giovane studioso (nato nel 1949, morto nel 1994), pubblicando un resoconto del contenuto di questo volume e di quello del ’90 quale liberalismo. I Roberto Cortese, docente di procedura penale,  fu editorialista del “Mattino” di Napoli e collaboratore del “Sole24Ore”; si dedicò alla politica come Consigliere Comunale del PLI a Napoli, fu Vice Sindaco nel 1993.

Roberto Cortese, Riflessioni sulla giustizia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992

Nel volume sono raccolti alcuni degli interessanti articoli di Cortese – scrive Gian Domenico Pisapia nella prefazione – apparsi su vari quotidiani italiani. Non è difficile cogliere il filo conduttore che caratterizza il pensiero dell’Autore. Sia che si occupi, infatti, della colpa professionale o della responsabilità dei giudici, della tutela del segreto professionale o della riforma del processo penale, è agevole risalire alle scelte ideologiche sottostanti. La cultura garantista è, per l’Autore, un presupposto essenziale dello Stato di diritto e tutela tanto la libertà quanto la certezza del diritto. A confutazione di certe critiche ricorrenti, dovute spesso a superficialità più che ad ignoranza, Cortese chiarisce che “il garantismo non coincide con il permissivismo e che. Anzi, è esattamente l’opposto, perché significa semplicemente rispetto della legge. Esso, pertanto, non solo non è compatibile con le esigenze di difesa sociale, ma è, anzi, in antitesi solo con l’arbitrio.

Molte ed interessanti pagine sono dedicate alla libertà di stampa e al delicato problema dei limiti posti alla tutela del segreto professionale del giornalista. Il segreto del giornalista presenta, infatti, caratteristiche diverse da quello delle altre categorie professionali, in quanto il giornalista riceve delle notizia per divulgarle, mentre l’avvocato, il medico e gli altri professionisti ricevono delle notizie riservate o segreto proprio perché chi le rivela sa di poter contare sul loro dovere di osservare il segreto professionale e d opporlo, entro certi limiti, anche al magistrato.

L’Autore si pronuncia decisamente contro i maxi processi produttivi di una “mini giustizia”; e prende apertamente posizione contro la proposta, oggi tanto rispolverata, di ricorrere a leggi speciali per combattere la criminalità organizzata. Non esita a difendere la tanto vituperata legge Gozzini, “una legge giusta e civile, che ha introdotto nel nostro ordinamento dei principi di umanità e civiltà, non in base ad una velleitaria fiducia nella capacità di rieducazione dei detenuti, quanto sull’effettivo riconoscimento del diritto del detenuto al reinserimento sociale, una volta che sia venuta meno la sua pericolosità”.

Non manca, infine, qualche spunto ironico, come il gustoso articolo Pronto chi spia? dove si illustra criticamente la disciplina delle intercettazioni telefoniche ambientali.

“La lettura di questo libro” conclude Gian Domenico Pisapia ”si raccomanda non solo per la scorrevolezza dello stile dell’Autore e la concisione della sua esposizione, quanto per l’attualità degli argomenti ed il loro interesse sociale otre che giuridico”.

Nell’articolo Il processo è garanzia, Cortese scrive: “E’ il caso di ripetere, ancora una volta, che lo scopo del processo penale non è di combattere la criminalità, ma di accertare i reati e di perseguire i colpevoli, ma di accertare i reati e perseguire i colpevoli. Anzi, di verificare se ricorrano le condizioni di legge per condannare o assolvere. Sembra che questa impostazione sia mal digerita da quanti non risparmiano critiche al nuovo Codice di Procedura Penale.

Che il nuovo testo non sia un capolavoro è sotto gli occhi di tutti, principalmente degli addetti ai lavori. Ma ciò non cambia che, la difesa dell’ordine pubblico rimane una funzione del tutto indiretta del processo penale”.

Per puntualizzare, nel successivo Eppure le vecchie norme avevano perso efficacia, Cortese scrive: “Ci sono diversi modi per tranquillizzare l’opinione pubblica sul tema della criminalità. Quello che sortisce un effetto sicuro è il ricorso a misure straordinarie. Non importa stabilire quale sia la reale straordinarietà delle misure, l’importante è dare la sensazione che l’emergenza criminale non venga più affrontata con la logica ordinaria.

Un altro sedativo efficace è la proposta di esasperare l’entità delle pene previste per i reati. Si invoca uno stato forte e permane l’equivoco che questo debba identificarsi in uno stato autoritario. Per fortuna, non tutti la pensano così. C’è ancora chi ritiene che lo Stato forte dia lo Stato autorevole, memore della indecorosa fine che non ha risparmiato alcuno Stato autoritario. C’è ancora chi crede che la forza dello Stato si misuri nella capacità dello Stato di prevedere e applicare le regole di uno Stato di  diritto”.

Accusa e difesa ad armi pari e Troppi accusatori nel processo sono titoli di altri articoli che esaminano con acutezza le caratteristiche del nuovo Codice di Procedura Penale. Una doppia sfida per la giustizia è il titolo di un articolo che riconosce al tema giustizia un’attualità che lo porta alla ribalta quotidiana; che ha registrato scioperi degli avvocati e proteste dei magistrati.

“Si è detto” scrive Cortese “che l’azienda giustizia sia in fase di decozione. Non potendo peggiorare può solo migliorare. In verità è maturato il tempo delle riforme ed il legislatore ha mostrato di essere consapevole”.

Nell’articolo Giustizia in continua emergenza l’Autore afferma ce la responsabilità civile dei magistrati, i termini di carcerazione preventiva, i problemi collegati ai maxiprocessi e al diritto di difesa costituiscono le ‘grandi riforme’ da attuare per restaurare la facciata alquanto deteriorata dell’intero apparato. Accanto a queste riforme, però, si dovranno varare con urgenza quei provvedimenti di portata più limitata, già inseriti nel ‘pacchetto giustizia’. Si trattava di iniziative legislative che avevano come obbiettivo prioritario quello di affrontare le disfunzioni più macroscopiche del processo penale, a che sono miseramente naufragate con lo scioglimento anticipato delle Camere. Ancora una volta, quindi, la soluzione dell’emergenza giustizia è stata stoppata dalla crisi politica.

La separazione delle funzioni giudicanti e requirenti del processo penale pretoriale, tema di un altro disegno di legge, è di grande attualità e ancora non risolto.

Signor giudice, lei ha sbagliato, si assuma le sue responsabilità è il titolo di un articolo di Cortese, nel quale afferma che “La responsabilizzazione del giudice, ossia la capacità di revisionare la vigente normativa in materia, è avvertita in termini di attualità da tutte le forze politiche, L’irresponsabilità privilegiata è estranea alla concezione di uno Stato moderno dove il giudice è soggetto soltanto alla legge (articolo 101 della Costituzione), ma non è autorizzato a compiere ciò che la legge non consente ad altri. Nel senso che, se chiunque arrecando danni a terzi, è obbligato a risarcirli, non si comprende per quale arcano motivo il giudice debba essere esente da detto principio.

Allo stato dei fatti, il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, avrà modo di essere negligente quanto incapace, di ledere interessi vitali, primo fra tutti la libertà personale del cittadini, senza rispondere del danno arrecato finché non si dimostri che abbia agito con dolo”.

“I problemi della giustizia, dunque, col passare del tempo, pur rimanendo sempre gli stessi, non perdono di attualità. Sono seguiti attentamente dall’opinione pubblica e non solo dagli addetti ai lavori Forse, perché ogni cittadino ha la sua consapevolezza di essere un potenziale utente della giustizia e conseguentemente, la vittima destinata a pagare lo scotto di un apparato obsoleto e inefficiente. Ma anche quando non si è coinvolti da vicende personali, l’attualità del tema giustizia rimane tale perché, dalla risposta che si dà alle domande in esso contenute, si misura il grado di civiltà del paese” ( A tutela del cittadino).

Cortese dedica alcuni articoli alla corruzione. In Non è da premiare il pentimento del corruttore , l’Autore attacca e afferma che i fenomeni di malcostume, la corruzione in tutte le sue diversificate manifestazioni, rappresentano i germi più insidiosi per la vita delle istituzioni democratiche perché alimentano il solco fra il paese legale e il paese reale. Aggiunge inoltre “senza disconoscere i risultati ascrivibili alla legislazione premiale, il cui contributo è stato determinante nella lotta al terrorismo, domando al Ministro della Giustizia se è possibile adottare contro la criminalità comune e mafiosa la medesima logica che ha ispirato gli strumenti legislativi posti in essere contro il terrorismo. O se, invece, la strategia non debba essere necessariamente diversa data la complessità e diversità dei fenomeni”.

L’identità del terrorismo, caratterizzata da una matrice ideologica prodotta da fenomeni contingenti e storicamente datati, ha richiesto una risposta immediata da parte dello Stato con il ricorso anche a misure straordinarie. La criminalità comune, come patologia ineluttabile del corpo sociale, deve trovare uno Stato in grado di non subordinare la tutela delle libertà democratiche alla tutela dell’ordine pubblico.

Infine, Cortese parla della scuola come strumento indispensabile per contrastare il fenomeno criminale. Ciò non nell’obbiettivo utopistico di una società colta e senza devianze criminali, ma nella realistica analisi di un rapporto interdipendente fra evasione scolastica e crescita della criminalità

Conclude Cortese: “In una società libera è più che giusto che ognuno interpreti il proprio benessere come meglio gli pare, ma se non c’è il supporto di un’educazione culturale, la caduta dei valori è inevitabile”.

 

Roberto Cortese, Quale liberalismo, Alfredo Guida Editore, Napoli 1990

 

E’ un testo che considera la politica non solo come corretta gestione della cosa pubblica, ma come difesa di ciò che si ritiene giusto e come volontaria partecipazione al continuo processo di trasformazione della società. In definitiva, un problema che tocca tutti e non solo ci è investito da un mandato di rappresentanza cui tocca semmai la colpa di avere svilito la dialettica politica in un semplice strumento per la contesa del potere e di aver allontanato quindi i cittadini dall’esercizio del confronto.

In tutti i sistemi politici chi esercita il potere ha una posizione di privilegio. Ma, scrive Cortese, l’inamovibilità del potere può sfociare nell’arbitrio. Spesso coincide con la presunzione di immunità. L’alternanza, tout court, non risolve la questione morale, perché il ricambio di uomini non sempre ha una valenza positiva. Non è detto che il successore sia per forza migliore del predecessore. Ma è molto più facile che un lungo prepotere degeneri in prepotenza, anziché una presenza temporanea nella stanza dei bottoni.

Si sa che al politico non si chiede la virtù, ma la capacità progettuale. Forse il corpo elettorale ha assimilato perfettamente la lezione di distinguere la capacità politica dalla dirittura morale. E’ una lezione antica ce parte da Machiavelli fino a Weber. Teorizzata scientificamente da Hobbes, Croce l’ha resa accessibile a tutti nelle pagine sull’onestà politica.

Diceva Mac Millan che la morale si chiede all’arcivescovo non al politico. Ma nell’esasperazione di questo pragmatismo risiedono i germi dell’eversione armata, della crescita del divario fra paese legale e paese reale della perdita di credibilità delle istituzioni. La totale indifferenza verso l’etica è incompatibile con l’impegno politico, non meno dell’incapacità.

Ogni sistema politico è perfettibile grazie a nuove capacità progettuali. Ma è nella dinamica del cambiamento che si aprono le vie che segnano l’avanzamento della società. Non tutto è politica e ben vengano quegli spazi diversi non lambiti dal dominio della politica. Ma il reflusso ha avuto una valenza negativa quando si è tradotto nel totale distacco dalla politica, nella rinuncia alla politica, nel rifiuto della politica. Il degrado della politica ha dato vita a espressioni fuori dei partiti tradizionali, La politica è messa al bando e, certamente, non a un vantaggio delle idee, della fantasia. A ciò hanno contribuito i predicatori della fine delle ideologie e della politica, quelli che inseguono le ‘questioni concrete’, come se tutto ciò che sta accadendo nel mondo non fosse il trionfo delle idee, da quella di libertà a quella di nazione.

Nel secondo capitolo Cortese affronta il dibattito sulle riforme costituzionali, dibattito aperto e mai risolto. Afferma l’autore che ormai viviamo le migliori condizioni per realizzare quello che, indulgendo ad una certa retorica, potremmo definire un liberalismo socialmente responsabile o un socialismo liberale. Quella sintesi di valori che ha trovato espressione nella ricerca di Rosselli o di Calogero. Quel liberalismo radicale, intendendo per radicale, citando John Dewey, “la percezione della necessità di cambiamenti fondamentali nel montaggio delle istituzione e nella corrispondente attività che porti i cambiamenti a compimento”. Ricorda Cortese che gli anni ’90, secondo la previsione di Dahrendorf, vedranno l’esigenza sociale prevalere sulla mania della crescita economica.

Un’ampia disamina dedica Cortese alla crisi e al nuovo corso del partito comunista, Il nuovo corso dimostra d’aver messo nel cassetto il centralismo democratico e ha formalmente riconosciuto il pluralismo interno. Rivede il suo passato e lo fa con coraggio anche in occasione della ricorrenza del 25° anniversario della scomparsa di Togliatti. Certo, avrebbe avuto maggiore coraggio se avesse riconosciuto che all’interno del dibattito socialista avevano ragione Turati e Treves e non Gramsci e Togliatti.

Una democrazia è libera quando è possibile anche la collaborazione fra forze nettamente diverse tra loro. Abbiamo imparato da Cavour la lezione di governare per coalizioni, combinando insieme riformatori e moderati, termini che, al giorno d’oggi, sono a destinatario indeterminabile, con qualifica di destra e di sinistra.

Nell’ultimo capitolo Cortese scrive che il malessere che affligge la nostra società, sia esso espresso dal dilagare della criminalità organizzata, dal divario sempre marcato tra nord e sud, dalla risposta inadeguata offerta ai cittadini dalla pubblica amministrazione, dalla lottizzazione ingorda dei partiti, non è dovuto ad una crisi dei valori fondamentali che sostengono la nostra costituzione, ma, in misura non secondaria, proprio alla mancanza di attuazione di molte della sue norme. Non vi è dubbio che se tutti gli istituti in essa previsti avessero trovato applicazione, le cose starebbero in modo diverso. Il primo riferimento è al secondo comma dell’articolo 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà d’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

Infine, ecco. Riemergere l’avvocato in Roberto Cortese. Vi sono alcune norme costituzionali che, pur non essendomi state attuate, hanno enunciato un principio. Ciò può accadere a secondo comma dell’articolo 27 (l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva). Basta chiedere ad un cittadino qualunque, che sia stato temporaneamente ospite di un nostro istituto di pena, perché imputato in un procedimento penale, per sapere se la presunzione di non colpevolezza sia mai stata rispettata. E’ rimasta sempre lettera morta, perché il sistema procedurale penale ne impediva l’attuazione.

Ma nel contempo vi è una vivace critica alla facile amnistia, un istituto di cui, a scadenza periodica, circola la voce nei palazzi di giustizia e nelle carceri. Altro che patria del diritto, scrive Cortese. Può definirsi Stato di diritto un Paese che reiteratamente concede atti d’indulgenza ciechi. Dov’è finita la certezza del diritto. Vengono beneficiate intere categorie di trasgressori della legge. Indipendentemente dagli atteggiamenti individuali degli stessi. Sotto la bilancia c’è scritto la legge è uguale per tutti. Con l’amnistia le disparità di trattamento non si contano. Medesime violazioni di norma penale, consumate con identiche modalità, ma in tempi diversi, sortiscono effetti giuridici diversi.

Come sarebbe bella la costituzione, solo se fosse attuata. La costituzione è qualcosa al di sopra del dissenso, Ma la costituzione non è un contenuto, è una regola per prendere decisioni.

Il problema prioritario, conclude Cortese, è sempre la questione morale. Non rendersene conto, significa assistere inermi ad un processo degenerativo che produrrà effetti sempre più deteriori. E’ alla parola politica che si deve restituire i suo significato come impegno civile. La politica intesa non solo come corretta gestione della cosa pubblica, ma come confronto delle idee, come difesa, anche se non priva di amarezza, di ciò che si ritiene giusto, come volontaria partecipazione al continuo processo di trasformazione della società.

Un problema che tocca tutti, non solo chi è investito di un mandato di rappresentanza politica. Costoro avranno maggiori responsabilità per aver svilito la dialettica politica e in un semplice strumento per la contesa del potere. Ma fino  che punto riflettono un’immagine deformata del paese reale?