Filosofia Italiana

 

L'erbario

Giornale Wolf

 

Nuova Rivista Cimmeria

  

Lo storicismo umanistico di Croce 

 

di Renata Viti Cavaliere

 

A cinquant’anni dalla morte di Croce e ad un secolo dalla pubblicazione dell’Estetica, è possibile rivolgere uno sguardo complessivo agli effetti dell’eredità di un grande pensiero e ai tanti rivoli che da quel pensiero hanno tratto spunto e alimento. Non si può negare che il dopo-Croce abbia risentito di tante polemiche, talvolta pretestuose, e di un atteggiamento addirittura di difesa della cultura soprattutto italiana nei riguardi di una sorta di “potere” culturale che il filosofo, il critico, e lo storico, avrebbero lungamente esercitato nella prima metà del secolo ventesimo. Peraltro è innegabile al tempo stesso la varietà delle suggestioni da molti ricevute e spesso dissimulate, così come non si deve dimenticare il carattere giustamente multidirezionale delle numerosissime analisi interpretative. E tuttavia sarebbe davvero manchevole quella storia delle idee che non tenesse ben conto dell’attestarsi, nel secondo novecento, di un crocianesimo vigile e critico, per tanti aspetti compatto e riconoscibile, che non è ripetizione scolastica, che cioè non vuol essere appropriazione mimetica di precetti teorici, che neppure intende parlare in nome di una visione del mondo per sempre acquisita, e che si è fatto, invece, “erede” di alcuni contenuti ideali progressivi e di un’impronta etico-politica di fondo. Ed è soprattutto in riferimento a quest’ultima che si è inteso azzardare nel titolo una definizione “altra” rispetto a quella di “storicismo assoluto” che Croce assegnò alla sua filosofia, senza ovviamente pretendere di sostituirla. L’aggettivazione scelta non “qualifica” con attributi aggiuntivi il sostantivo ( così come l’aggettivo “assoluto” non avrebbe avuto alcun senso se posto a qualifica dello storicismo, che neppure aveva bisogno nell’accezione crociana di essere elevato a potenza ). Raffaello Franchini scriveva negli anni cinquanta in una Nota sugli usi recenti della parola “storicismo” che la cautela usata dal Croce, “esperto conoscitore di vezzi filologici”, nell’aggiungere al sostantivo l’aggettivo “assoluto”, si rivela ancor oggi efficace non solo nella lotta con il sempre risorgente relativismo, ma anche nel tenere a distanza più generiche espressioni come “storicismo idealistico” ( e «v’è perfino chi distingue uno “storicismo idealistico liberale”», diceva Franchini), o “storicismo esistenzialistico”, o ancora “storicismo marxistico”[1]. Mi preme pertanto e in primo luogo precisare, per non dare l’impressione di voler contravvenire alla tesi di un maestro degli studi crociani, che si deve concordare in pieno con l’osservazione di Franchini sul carattere pratico della “cautela” crociana, il cui storicismo aveva già in sé davvero il segno dell’assoluto, ma nel senso che poneva in assoluto il principio del nesso dell’azione col pensiero, della storia che si fa storiografia e della storiografia che ridiventa storia: un principio assoluto, dunque, che lungi dal dissolvere il transeunte, contiene al suo interno la possibilità di ogni relazione e dunque l’onere dell’imprescindibile rapporto del particolare con l’universale. Per un motivo se non di cautela ma pur sempre di carattere pratico si è voluto perciò segnalare dello storicismo assoluto i caratteri precipui dell’umanismo e del liberalismo, indicando in tutti e due i termini, assunti comunque con valore aggettivante, l’espressione meglio adeguata a stilizzare l’opera filosofica di Croce. E tuttavia giova aggiungere, ad ulteriore chiarimento, alcuni ragguagli cronologici e logici sulla natura più propria dello storicismo crociano. Si è detto e ripetuto con evidenti riscontri che solo nella avanzata maturità Croce si convinse a parlare della “filosofia come storicismo”, dopo aver filosofato, com’egli scrisse, per oltre cinquant’anni sine titulo[2]. La decisione nacque in uno con l’intento, ben espresso in un saggio del ’48, di dare nome definito e riconoscibile ad un modus pensandi radicalmente diverso dalla filosofia tradizionale[3]. Nello stesso anno, e in un breve scritto su Filosofia e non filosofia, Croce formulava alcune raccomandazioni a scopo pedagogico, utili per procedere in maniera fruttuosa nella pratica del filosofare, muovendo da certe regole auree ch’egli stesso aveva seguito (  una sorta di “discorso sul metodo” in chiave non cartesiana). Se ne potrebbe riassumere il loro senso nel breve motto: filosofia non genera filosofia[4]. Possiamo forse non riconoscere a noi stessi e ai nostri pensieri quella storicità che ad ogni sistema passato abbiamo dovuto attribuire? Una volta che sia stata posta la storicità del vero, segue la questione dell’origine del filosofare, che è “occasionale” ma non empirica, storica ma non puramente temporale. Ciò significa che se lo storicismo per Croce ebbe senza dubbio una fonte inesauribile nelle domande del proprio tempo, non per questo la filosofia che prende questo nome si ridurrà a prendere lezioni solamente dall’empirìa o da una mera rassegna di idee. Essa piuttosto rappresenta la messa in opera di concrete, energiche, potenzialità categoriali, atte per dir così ad interrogare l’esperienza ricreandola nella problematizzazione e rischiarando di nuova luce i precedenti percorsi storici.

La definizione di “storicismo assoluto” segue di circa vent’anni l’intera sistemazione teorica del Croce. Si trattò di una scelta legata all’urgenza della riflessione etico-politica, sul finire del primo trentennio del secolo e nella gravosa situazione della storia europea. Croce portava a termine un lungo itinerario logico-teoretico sulla base di presupposti non più metafisici e nell’apertura al futuro di nuove domande storiche. Incongrua e rischiosa appare pertanto una lettura a ritroso dello storicismo crociano, se questa, rivolta ad individuare nella Logica del 1909 le radici teoretiche poi formalizzate nella successiva definizione dottrinaria, decreta l’esistenza di un fondamento assoluto sin d’allora insormontabile, nell’ipotesi alquanto generica di un onnivoro razionalismo. Non si trattò tuttavia nel ‘39 soltanto di un espediente retorico, benché dettato da cautela pratica: lo storicismo assoluto portava il segno di una consapevolezza nuova che potrebbe efficamente venir racchiusa nella frase crociana: “la storia trova il suo senso nell’etica”, il cui significato esprime proprio l’umanesimo liberale qui sottolineato[5].

Non si trattò di una svolta ma certo di un arricchimento tematico di grande importanza. Neppure si può parlare di una sorta di conversione allo storicismo dopo “immaturi” primi passi, quasi una indecisione teorica che sboccò infine nella sua destinazione ultima. È pur vero che il giovane Croce si professò talvolta “antistoricista”, perché antipositivista, ma già ad esempio nella monografia vichiana del 1911 Croce assunse quell’atteggiamento fortemente critico nei riguardi dell’antistoricismo ( in quel caso rappresentato dalla scuola giusnaturalistica settecentesca ) che ebbe varie figure nel tempo, spingendo il filosofo a darne sempre conto finanche con enfasi demolitoria come nel celebre discorso oxoniense del 1930[6]. S’intende perciò che un pathos rinnovato e storicamente sollecitato fu all’origine dell’autodefinizione che apre con il titolo del primo saggio ( Il concetto della filosofia come storicismo assoluto ) la silloge pubblicata nel ’40 intorno a Il carattere della filosofia moderna[7]. L’immediato precedente va comunque ravvisato nella Storia come pensiero e come azione, dove in costruttiva polemica con Friedrich Meinecke egli aveva difeso proprio l’individuale, in totale sintonia con lo studioso tedesco, fatta eccezione però per la questione del conoscere che è, secondo Croce, giudizio storico senza residui. Diversa gli appariva la posizione meineckiana tesa a collocare l’individualità talvolta nell’irrazionale sullo sfondo di un religioso mistero e talaltra nelle generalizzazioni concettuali[8]. Lo storicismo crociano negava la doppia realtà di fatti e valori, come pure intendeva negare l’universalità pro tempore delle idee di bellezza, di verità, di utilità e di bene, che sono invece categorie creatrici e giudicatrici perpetue di ogni storia. Nel ’39 la didascalica filosofica della “metodologia della storiografia” avrebbe dovuto chiudere la via ad ogni fraintendimento metafisico dello storicismo assoluto. Croce insisteva molto, con accenti in alcuni casi di heideggeriana memoria, sulla improvvida tendenza della filosofia tradizionale a entificare miti e verità rivelate - e a dimenticare l’essere che è storia. Miti e verità rivelate sono censurabili proprio in ragione della loro naturalistica accezione, non però per il senso propositivo che talvolta donano alle umane cose[9]. La dialettica di particolare e universale, di domanda storica e risposta di significato (mai fuori del tempo e della storia) è eredità secolare dell’occidente. Ricorda l’invito a praticare una home-philosophy  (come diceva Shaftesbury ), a risanare la mente dai miti nuovi, che sono perversioni logiche, come quelli della razza o della società senza stato, a rinnovare la responsabilità dell’umano assunta in pieno come accade ogni volta che ciascuno  prende su di sé l’onere della fondazione di un mondo, sia esso giuridico o politico, o eticamente associativo[10].

Nel corso degli anni quaranta, gli ultimi di vita del filosofo sino al ’52, la passione filosofica non fu affatto spenta né affievolita. Un intero nuovo corso, mai però in rottura col passato, si profilò ad esempio nei saggi di Filosofia e storiografia, e infine nelle straordinarie analisi che Croce intitolò Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici. Senza troppo indulgere al periodizzamento, che spesso intralcia la comprensione teoretica, è pur possibile distinguere, com’è stato fatto, un primo tempo dello storicismo crociano, fino al ’17 ( i quattro volumi della filosofia dello spirito ) e un secondo tempo databile dal primo dopoguerra al ’38/39, cui seguirono i fecondi ripensamenti sopra ricordati. Si è peraltro indicato nel tema cruciale della distinzione di conoscere e fare il luogo privilegiato del passaggio alle conclusioni finali, impregnate del cosiddetto primato della vita morale[11]. Scriveva Croce nel ’45: «E la moralità stessa, che sotto un certo aspetto può dirsi la potenza unificante dello spirito, è tale solo in quanto s’inserisce tra le altre come pari, moderatrice e governatrice, e tra esse esercita imperium e non tyrannidem, ossia di esse rispetta l’autonomia»[12]. Maggior peso veniva perciò dato al rapporto di interdipendenza tra le categorie, senza minimamente intaccare la loro autonomia. E il quadro categoriale era reso più duttile ai limiti, come sempre, del paradosso. Un “fare” è anche il conoscere, perché attività poietica, concretamente creativa, mai pura contemplazione priva d’ogni rapporto con la mobilità della vita, ma anch’esso vita produttiva, attività di fatto, costruzione di condizionate ed empiriche realtà. Che il pensiero sia una funzione vitale è peraltro il risultato di tutta la filosofia moderna, diceva Croce, da Cartesio a Hegel e ai pensatori contemporanei. Altra cosa è il sofisma, da smascherare, secondo cui pensare e volere sunt idem, perché in questa identità essi si snaturano. Croce tenne invece fermamente distinto il conoscere dal volere, a difesa del carattere non tendenzioso delle teorie e della indipendenza della volontà che non diremmo libera se non fosse in grado di scegliere i propri fini[13]. Peraltro la dialettica della vita morale trova piena esplicitazione nell’ultimo Croce, quando si chiariscono fors’anche a lui stesso i termini della vita etica, il ruolo della conoscenza storica e del giudizio teoretico accanto alla libera causalità dell’agire, il peso della mera individualità che ha i suoi diritti nel positivo della forza vitale, e la “presenza” ineliminabile del male come l’altro dal bene, come il negativo, il disorganico, l’insano. La vita morale è perciò attività non a sé stante, fatta di buoni propositi e di obbedienza legalistica. Essa è in ogni umano operare, come sprone a promuovere nuova vita.

Le splendide pagine del vecchio filosofo sono ancor utili a gettare luce sull’intera sua strada di pensiero, e forse anche a sciogliere qualche impervio nodo della tanto discussa logica nel rapporto con la dottrina delle categorie. L’incipit di un breve scritto di Croce degli anni quaranta dal titolo Un caso di storicismo decadentistico suona così: «La concezione storica della realtà è concezione profondamente religiosa e morale, l’unica che sia adeguata all’idea della religione e della morale. Dal corso storico non si può mai saltar fuori – aggiungeva – per attingere una realtà oltre e sopra di noi…», e concludeva: «Né il tempo onnipossente, signore degli uomini e degli dèi – il matematico tempo che divide e meccanizza l’unico corso storico – è, come si tiene dal pensiero volgare, il quadro in cui la storia si muove e che la racchiude e domina, ma, per contrario, la storia è il suo quadro e contiene il tempo, strumento che quella foggia a proprio uso»[14]. Il riferimento di Croce ad una concezione così modernamente sofisticata del tempo, consente di giocare su piani diversificati il problema dell’unità di transeunte ed eterno. Anzitutto emerge la priorità logica del tempo storico, sul quale agisce strumentalmente la misurazione fisico-meccanica. Il movimento in senso storicistico non è quello lineare e quantitativo, ma neppure è quello puramente soggettivo e qualitativo ( come accade nello scavo intimistico del ricordo che proustianamente sposta l’attenzione al passato ). Esso pertanto molto assomiglia al flusso della realtà che Bergson chiamò “durata”, e che aveva in sé spazio e misura cronotopica, tempo e scansione logica, continuità e discontinuità. Ogni determinismo e finalismo uscivano definitivamente fiaccati, pur conservando entrambi per  Croce il sensato accenno alla necessità logica dell’accaduto per un verso e per l’altro al perpetuo suo farsi, che è incessante creazione di libertà[15]. Ancora un’eco evidente del pensiero di Ernst Mach, che tanto ha influenzato il risveglio scientifico di fine ottocento, risuona pertanto nella tesi che in principio sta il movimento e con esso le grandi e le minime relazioni tra le cose, a cui talvolta segue l’astrazione del numero per un’esigenza altrettanto profonda di convenzione. Nella sistematica della filosofia dello spirito è in tal caso proficuo specchiare a ritroso lo storicismo assoluto, in cerca per dir così della rappresentazione di un tempo originario, laico, profano, rigorosamente suffragato dalle teorie scientifiche della nuova fisica. Nella Logica Croce pose il dilemma della unità degli stabili ed eterni concetti puri con la varietà estrema del particolare. Unità logica che è però anche nelle cose stesse, nella temporalità e storicità dell’umano, con la sola esclusione per motivi di coerenza etica della mitologica simbiosi degli opposti, preludio e sostegno di atteggiamenti impulsivi ed irrazionalistici. Lo storicismo crociano, oramai è chiaro, non è relativismo. Scrive Galasso: «La storicità del sapere è, dunque, tutt’altra cosa che una conclusa relatività nel presente e per il presente». La verità non si perde nell’istante, e neppure nasce dal vuoto. «È anch’essa una verità-storia, non una verità-dato», una verità che accade, non una verità che si misura con la strumentazione adatta a produrre il tempo meccanizzato. La verità-storia è l’evento di fondo, quello che non ha inizio fuori del tempo e che mai potrebbe esserci senza mondo; essa è tutt’uno con la stessa attività giudicativa della mente, nata come Minerva, adulta e armata dal cervello di Giove[16].

Di un “nuovo umanesimo” ha parlato Carlo Antoni, riconoscendo allo storicismo assoluto di Croce fede nell’uomo e nella vita, e la convinzione che nelle opere degli uomini agisca la presenza dell’universale[17]. L’umanismo ha perciò valenza logica e non metafisica ( potremmo così rispondere alle preoccupazioni di Heidegger ): né l’uomo né le categorie sono entità mitiche o valori assoluti extrastorici. Con la consueta lucidità e chiarezza Antoni ricordava spesso che la teoria della distinzione delle forme dello spirito segue come immediata conseguenza, e non precede, la teoria del giudizio storico. Ed è perciò dal giudizio storico, in quanto cuore nel cuore del pensiero di Croce, che occorre muovere nell’intento di delucidare il carattere umanistico-liberale del suo storicismo, riproposto con un’aggettivazione – giova ripeterlo - che ne esplicita puramente il concetto, sgombrando semmai il campo ad inveterati equivoci. Nella Storia come pensiero e come azione Croce poneva essenzialmente un problema “pedagogico”. Lo storicismo non è la stessa cosa dell’educazione storica che forma l’abito di così pensare e fare acquisito attraverso vaste conoscenze del passato. Lo storicismo è piuttosto – scriveva - : «creare la propria azione, il proprio pensiero, la propria poesia, muovendo dalla coscienza presente del passato»[18]. Sarebbe stato perciò utile accostare storicismo e umanismo nella formulazione di una  inequivoca identità: «lo storicismo è il vero umanismo, cioè la verità dell’umanismo»[19]. Emendato in un certo qual modo dai “difetti” solitamente ascritti all’umanesimo classico ( l’attenzione esclusiva per determinati popoli e lingue, l’eccesso di cura filologica, la “troppa storia”, per usare una terminologia nietzscheana, con il rischio di immobilismo unito ad una sorta di avversione per saperi altri ), l’umanismo si “invera” nello storicismo sol quando quest’ultimo sarà in grado di intendere il grande valore della mimesi creativa, vale a dire del riferimento a modelli che, lungi dal richiedere copie, spingono alla creatività che è “arte”. Quei modelli, scrive Croce, sono proprio altro rispetto ad un’epoca e ad un pur grandioso contesto culturale; essi sono in realtà le fonti eterne dello spirito, le sue eterne categorie. Lo storicismo dunque svetta nell’autotrascendersi dello spirito senza mai abbandonare l’eredità terrigena dell’umanesimo storico, che è stato movimento verso la vita e contro l’idea ascensionale ed ascetica del pensare.

Il carattere umanistico-liberale dello storicismo crociano ( occorre forse ancora una volta evocare le antiche arti liberali degli studia humaniora? ) ha assunto una precisa fisionomia teorica. Si ha netta l’impressione che Croce abbia voluto ripercorrere alle spalle della modernità i tanti cammini della tradizione umanistica allo scopo di evitare proprio i tranelli della gnoseologia principalmente cartesiana, del soggetto e dell’oggetto, della coscienza svuotata dal dubbio e di un metodo infine ossequioso al debito contratto con il progetto di una mathesis universalis. Dal pathos moderno egli recepì tuttavia il valore inderogabile del rifiuto del principio di autorità, e dalle radici umanistiche estrasse infine il nocciolo prezioso del valore dell’uomo in quanto appartenente all’universale consesso degli esseri  razionali. La classica nozione di humanitas si riempie di nuovo sentire e di contenuti inediti; viene ora posta a garanzia della coscienza storica, che ha vincoli soltanto in sé stessa, nei modi e nei tempi di una vita pensata e agita con spirito presente e nella consapevolezza di assumere ogni volta l’onere dell’antico logon didonai. Nell’incontro critico con la tradizione, in cui consiste la molla segreta dello storicismo autentico, rinnova i suoi fasti il buon vecchio Socrate, maestro eletto di tutti coloro che scelgono un’appartenenza larga rispetto a quella ristretta del gruppo o della corporazione. Nell’ottica di un nuovo umanesimo la filosofia dello spirito nel suo insieme acquista luce diversa e imbocca alcune strade ancora seriamente percorribili. Prende ad esempio fisionomia nuova, rispetto all’iconografia di correnti interpretazioni, la figura dell’individuo, rappresentato con buone ragioni come un soggetto schivo e alieno da macerazioni interiori, così refrattario a sapersi vivere nella sfera empirica del suo mondo-ambiente da apparire quasi privo di legami terreni, da Croce definito cosa vana fuori del tutto, ombra di sogno e strumento dello spirito universale. Nell’ottica invece di un sentire profondamente umanistico e liberale, lo storicismo di Croce mostra di aver avuto a cuore proprio il riscatto dell’individuo, tolto alla funzione di essere solo parte di un organismo completo già sempre in vita anche senza di lui, e immesso per dir così nella corrente produttiva e vitale dello spirito universale. Il tutto è dunque l’Umanità che sempre vive nelle individue realtà esistenziali e storiche, a tutela dell’estrema singolarità di ognuno, che per esserci deve poter esporsi attraverso l’attività del giudizio storico alla dimensione comune del senso, e far così procedere il mondo in cui è nato. Anche per i motivi ora brevemente sottolineati lo storicismo non è relativismo.

Non si può certo mettere in discussione l’eternità delle categorie: storicizzarle vorrebbe dire tradurle in quel che non sono, ossia fatti storici. E tuttavia esse non sono affatto criteri oggettivi di giudizio da applicare con fermezza e determinazione. Non dicono cosa fare e cosa pensare, non codificano, non insegnano dalla nascita a curare un ristretto mondo di riferimenti linguistici e culturali. Esse presiedono, direbbe Croce, alla possibilità stessa del pensare e del comunicare, alla possibilità del fare economico-politico e dell’agire morale. Ciò vuol dire che in esse si rappresenta la stessa filosofia a testimonianza simbolica della ricerca del vero e della tensione morale vissute in quegli “ambiti” propriamente umani che sono il conoscere e il fare. In quale totalità dello spirito vivente dovremmo veder perdersi l’individuo come sparso frammento alla mercé di un potere più alto? La realtà onnicircoscrivente, diremmo con Jaspers, altro non è che la pluralità della dimensione umana in cui vivono esseri pensanti e agenti, resi attivi ed attenti da quella voce interiore, pur detta “natura umana”, che lungi dal chiudere nell’intimità singolaristica apre alla discussione e al confronto.

La parola-chiave dello storicismo  crociano è la libertà[20]. Da essa scaturì quella riflessione sul liberalismo che nella prospettiva del filosofo ebbe accenti anzitutto filosofici: il liberalismo prima che dottrina dei diritti e dello stato è storicismo, ed è la forma stessa di una concezione liberale della vita come concezione totale del mondo e della realtà. Tra la teoria dello stato ottimo e l’aspirazione anarchico-libertaria, vale a dire tra l’autorità da un lato e la libertà dall’altra, sta la vita che è storia, la realtà che è scelta di autonomia e di progresso nel pensiero e nella prassi: nella coscienza della comune umanità che rende pari nella differenza. La libertà come principio religioso informa la concezione storica della vita. A chi paventasse il rischio di una vuota, scettica ed anche agnostica visione del reale, Croce  rispondeva che tale essa è, e tale dev’essere, così come l’etica moderna «rifiuta il primato a leggi e casistiche e tabelle di doveri e di virtù, e pone al suo centro la vita morale; al pari dell’estetica moderna, che rifiuta modelli, generi e regole, e pone al suo centro il genio che è gusto, delicato e severissimo insieme»[21].

Non si dà infine altro mezzo di diffusione e di sostegno della libertà che l’educazione, e per educazione s’intende il diritto a sviluppare lo spirito critico ai fini della convivenza civile. In conclusione, allora, lo storicismo di impronta umanistica e liberale non può che rimandare ad un primato dell’etica. Si chiude così il cerchio di questa breve ricognizione storico-teoretica, mentre lo sguardo va alla riflessione contemporanea per tanti motivi ossessivamente insistente sulle questioni etico-politiche, foriere di altri percorsi filosofici degni d’essere attraversati. Basti qui concludere che, nell’itinerario-cardine della filosofia occidentale dal “conosci te stesso” all’etica della responsabilità, il crocianesimo ha posto un tassello di alto significato teorico e morale, segnalando anzitutto che il “diritto alla filosofia” si attua nell’esercizio del giudizio storico-critico, il solo capace di tener a freno l’impeto sin troppo umano degli abiti mentali, delle fedi inconcusse, o del presunto possesso definitivo del vero.


 

[1]  Cfr. R. Franchini, Esperienza dello storicismo ( 1953), quarta edizione riveduta, Giannini, Napoli 1971, p. 24.

[2]  B. Croce, Lo storicismo e l’idea tradizionale della filosofia (1948), in Filosofia e storiografia, Laterza, Bari 1949, p. 343.

[3] Ibidem.

[4] B. Croce, Filosofia e non filosofia, in Filosofia e storiografia, cit., pp. 66-71.

[5] B. Croce, La fine della civiltà (1946), in Filosofia e storiografia, cit., p. 310.

[6] B. Croce, Antistoricismo, in Ultimi saggi, Laterza, Bari 1963, pp. 251-264.

[7] B. Croce, Il carattere della filosofia moderna, edizione critica a cura di M. Mastrogregori, Bibliopolis, Napoli 1991.

[8]  B. Croce, La storia come pensiero e come azione (1938), Laterza, Bari 1966, pp. 59-65.

[9] B. Croce, Il concetto della filosofia come storicismo assoluto, in Il carattere della filosofia moderna, cit., pp. 10-15.

[10] Ivi, pp. 17-18.

[11]  Cfr. R. Franchini, Esperienza dello storicismo, cit., pp. 110-111 ( Conoscere e fare nel secondo tempo dello storicismo crociano).

[12] B. Croce, Intorno al mio lavoro filosofico, in Filosofia e storiografia, cit. p. 62.

[13] B. Croce, La storia come pensiero e come azione, cit. pp. 30-32 ( cap. VII- La distinzione di azione e pensiero).

[14] B. Croce, Un caso di storicismo decadentistico, in Discorsi di varia filosofia (1945), Laterza, Bari 1959, II, pp. 138-145.

[15] Il confronto con Bergson è, riguardo alla concezione del tempo e delle scienze, molto interessante. Quel che Croce non amò nel grande pensatore francese fu la tendenza ad arrestarsi alla cosiddetta “intuition”, senza trattarla come fermentum cognitionis.

[16] Cfr. G. Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Il Mulino, Bologna 2000, in particolar modo le pp. 26-40.

[17] Cfr. C. Antoni, Il tempo e le idee, a cura di M. Biscione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1967, pp. 426-427.

[18] B. Croce, Storicismo e umanismo, in La storia come pensiero e come azione, cit., p. 286.

[19] Ibidem.

[20]  Valga per tutti il riferimento al saggio del 1939 Principio, ideale, teoria. A proposito della teoria filosofica della libertà, in Il carattere della filosofia moderna, cit. pp. 103-121.

[21] B. Croce, La concezione liberale come concezione della vita, in Etica e politica ( 1931), Laterza, Bari 1956, p. 300.