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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

di Roberto Chiappiniello

 

L’analisi della commedia svolta da Erich Segal, raggiunge una diagnosi dubbia: la vera commedia è quella che scrissero Aristofane, Menandro e Plauto; tra gli imitatori di successo sono inclusi Shakespeare e Molière; il genere ha raggiunto il suo ‘picco di perfezione’ in Beaumarchais e si è estinto a metà del ventesimo secolo, assassinato dal Teatro dell’ Assurdo.

Il dottor Segal depone la salma non sul lettino da visite ma sulla poltrona da analista; infatti mette in campo le teorie freudiane miscelando con essa degli inserti da Bergson, Frye, Frazer, Cornford, Burkert più una ventina di altri autori. I risultati? Segal distilla la vera natura della commedia teatrale dai lavori destinati a celebrare il komos e il gamos: l’ orgia e il matrimonio. Questo è un punto di partenza abbastanza ragionevole;un’ ottica macroscopica che fornisce un buon correttivo a quelle analisi che dimenticano le più terrene preoccupazioni della commedia. Ma quest’ ottica può prendere la mano. Secondo  Segal Acarnesi ha successo perché mostra l’ evoluzione di Dicepoli dalla disfunzione sessuale alla virilità ringiovanita, mentre Le Nuvole fallisce perché lo humor rimane fermamente allo stadio anale, senza acquisire mai la dimensione fallica essenziale allo stato mentale del komos (p.72). Uccelli è il capolavoro di Aristofane perché il lavoro, essenzialmente, ‘diviene una magnificent erection’(p.87). Questa diagnosi provocherebbe sorrisetti ironici tra gli studiosi e spiritate discussioni tra gli studenti universitari in tempesta ormonale e tra i lettori pruriginosi in genere, ma apparirebbe convincente ai black blocks della scuola di critica letteraria d’ ispirazione freudiana.

Questo imponente studio casistico contiene ventuno capitoli -in larga parte riassunti delle trame- più una prefazione e una coda. Dopo i capitoli introduttivi sull’ etimologia e la forma comica, Segal esamina la Commedia Antica: Aristofane (sette opere trattate diffusamente ma con particolare attenzione nei confronti di Acarnesi, Nuvole, Uccelli) Euripide (Ione, Elena, Ifigenia in Tauri), Menandro, Plauto (ma solo Menaechmi, Casina e Amphitruo), Terenzio (Eunuco, Andria, Hecyra), Machiavelli (Mandragola), Marlowe (L’ Ebreo di Malta), Shakespeare (solo la Commedia degli errori e la Dodicesima notte), Molière (Amphitryon, George Dandin, Miser), Jonson (Volpone), Wycherly (la Moglie di campagna), gli autori del teatro dell’ assurdo (Jarry, Apollinaire, Cocteau, Ionesco), e Beckett (Godot). La coda del libro riassume il film Dottor Stranamore. Alcune delle scelte sono ottime, come l’ inclusione di Euripide nella lista. Eppure, dati gli autori analizzati, a uno viene da chiedersi perché la scelta dei tre lavori di Plauto ignora il Servo buono, perché l’ ‘impareggiabile’ Nozze di Figaro riceva meno di tre pagine stampate e ancora perché un libro che enfatizza tanto la sessualità glissa su Lisistrata, e così via. L’ indice è solo dei nomi propri; così non è possibile fare ricerche veloci su temi frequenti come le corna.

I dottori hanno bisogno di continuare a tenersi aggiornati sugli sviluppi del loro campo per essere riqualificati. Mentre il dottor Segal annota che questo libro è stato in preparazione per tredici anni, di fatto egli tradisce mancanza di evoluzione per quanto riguarda il pensiero e mancanza di attenzione nei confronti delle nuove tendenze in voga presso gli studiosi. In verità, datosi che la commedia secondo l’ autore sarebbe morta a metà del ventesimo secolo, questa realizzata nel 1975 potrebbe ben esserne l’ autopsia. I capitoli Uno e Sette sono per lo più la copia conforme di articoli scritti a partire dal 1973.

Il primo dei due capitoli su Plauto tratta dettagliatamente solo due opere: Menaechmi, attraverso una sintesi del libro di Segal ‘La risata in Roma’(1968), e Casina, attraverso una sintesi invero piuttosto scarna. Basti considerare questo: delle trentadue note in calce riguardanti l’ analisi della Casina, ventinove recano semplicemente l’ indicazione (Ibid.) con la citazione dei versi; i lettori non vi troveranno un singolo riferimento a qualsivoglia altro studio o sentenza inerenti la Casina[i].

Le centodiciotto pagine di note possono lasciare perplessi per quanto riguarda sia le inclusioni, sia le esclusioni. Come esempio di inclusione quantomeno bizzarra, possiamo prendere la citazione della Rivista della facoltà di Yale (p.522,n.21). Come esempio di omissione imperdonabile, si può invece citare l’ assenza dello studio di Miola sulla commedia classica e scespiriana. I lettori inoltre non troveranno nessun accenno sulle teorie del comico a partire da Northrop Frye. Ottimo sull’ argomento Shakespeare, Frye non rappresenta comunque l’ approdo definitivo. Sebbene l’ approccio del libro sia chiaramente freudiano, i pensatori neo-freudiani come Lacan sono ignorati così come tutte le forme di ‘femminismo critico’. Segal sembra voler soddisfare i suoi lettori considerando solo i testi scritti ed escludendo la visione o la rappesentazione dei lavori. La totale mancanza di attenzione nei confronti della ‘critica performativa’ – probabilmente la più ricca di risultati in materia di commedia classica degli ultimi venti anni – è inscusabile in un libro sulla commedia teatrale. Sulla stessa falsariga, anche se il termine ‘metateatro’ appare due volte nel capitolo su Plauto, lo fa in maniera del tutto incidentale e senza discutere come il concetto giochi un ruolo fondamentale  nella commedia di quest’ autore[ii]. Poiché Segal non è interessato all’ utilizzo di questo tipo di approccio, le persone interessate alla commedia dovranno vagare alla ricerca di un miglior medico di base

Segal scrive con eleganza il che può fare di questo libro un attraente placebo per i laureandi e per il pubblico in genere. Molti lettori scuseranno la logorrea che zampilla dalla fiumana di nomi e libere associazioni[iii]. Comunque, la ricerca spasmodica del mot d’ esprit porta sovente fuori dal seminato. Si guardi la seguente osservazione sui personaggi di Menandro: “Le donne appartengono a due specie: le vergini e le prostitute. Una visione poco sfumata del gentil sesso, che nondimeno costituisce una dicotomia di importanza fondamentale. Una fazione è buona per festeggiare, l’ altra per partorire”.(p.154) Che spreco di sottigliezza! Questa visione così riduttiva lascia fuori le nutrici e le matrone di Menandro, ed esclude senza ombra di dubbio l’ Epitrepontes poiché in essa Panfile sfugge alla categorica dicotomizzazione del femminile. Segal fa di tutto pur di mantenere l’ obiettivo puntato sulle connessioni tra komos e gamos, la festa nuziale e la gravidanza. Donde: “Ciò potrebbe spiegare la perdurante attenzione che Menandro dedica alla macchinazione per formule rituali, riproposta di anno in anno praticamente immodificata. Per il pubblico si trattava ancora essenzialmente di un rito di fertilità subliminato in forma teatrale, di una danza della fantasia attorno all’ ‘albero della fertilità’. Il fascino di Menandro è simile alla gioia di un marito la cui moglie regala ogni anno una cravatta identica a se stessa in tutto e per tutto meno che per una striscia o un pallino”.(161-2) Mirabile analogia, ma di dubbio valore e di dubbia critica. E poi, diciamocela pure tutta: una cravatta è pur sempre solo una cravatta!

La succitata menzione dell’ albero della fertilità (l’ albero del primo di maggio) riferita a Menandro è sintomatica dell’ approccio di Segal: i concetti sono trattati intrastoricamente, cosicché delle pratiche rinascimentali possono estendersi dal ventesimo secolo dopo Cristo al quinto avanti Cristo.

Carnevale, Saturnali e feste in onore di Dioniso sono tutte la stessa cosa dato che in fondo in fondo la psyche dell’ uomo è sempre la stessa… Ma questa persistenza dello spirito ludico ci riporta alla diagnosi di apertura: la commedia è davvero morta? La commedia teatrale è veramente solo quella prodotta da Aristofane, Menandro e lo stuolo di loro imitatori? Questa ristretta, eurocentrica definizione di ‘Commedia’ ha un che di sciocca autoreferenzialità da torre d’ avorio. Fuorviante, oltre che pericolosa. Fuorviante perché pur volendo tralasciare la commedia di Broadway e del West End, chiunque abbia avuto l’ accortezza di entrare in un cinema, affittare un video, o guardare la televisione avrà notato il pullulare immenso della progenie dell’ Antica o della Nuova Commedia sopravvissuta – e addirittura arricchita -  da quegli assassini meglio noti come ‘Autori dell’ assurdo’. Questi mezzi di comunicazione hanno decisamente aiutato a diffondere la ancor vitale tradizione comica greco-romana, fuori dagli angusti scenari dei teatri[iv]. Pericolosa perché se la commedia è realmente morta allora tutti gli studi accademici sulla commedia teatrale saranno né più né meno che referti da medico legale, invece che ricette da medico di famiglia. Piuttosto che azzeccarci ad un canone funerario di autori di commedia, tutti pallidi europei e soprattutto defunti, forse faremmo meglio a metterci al servizio di una più utile ricerca intorno alle reminescenze della commedia classica e moderna all’ interno della commedia contemporanea sia teatrale, che cinematografica e televisiva. Scopriremo così che insieme all’ acutezza di un eroe come Dicepoli, potremo apprezzare senza rinchiuderci in atteggiamenti snobistici l’ inusitata vitalità di un Bart Simpson.

 

In breve, per quanto questa divertente rassegna offra di tanto in tanto delle buone introspezioni sui concetti di komos e gamos, di fatto questa metafora archetipica condanna l’ analisi ad una sorta di cupo fatalismo. Perché invece non guardare l’ evoluzione del genere comico? Un genere non rimane mai fermo e rigido dinanzi alle evoluzioni dei tempi, ma vi si adatta, si rinnova e ricomincia. Mentre Aristofane, Menandro, Plauto, e Shakespeare rappresentano dei grossi balzi in avanti fatti dal genere, il periodo che va da Terenzio a Machiavelli è più calmo presentando progressi di poco respiro per la storia secolare della commedia teatrale. Sotto questa luce, gli ‘Autori dell’ assurdo’ appaiono semplicemente come un ramo bizzarro dell’ albero genealogico della commedia, e la sentenza di Segal sulla sua morte appare decisamente prematura. Fu negligenza? No. Ma tutti quelli che sono interessati allo studio del ciclo vitale della commedia sono obbligati a cercare un’ altra opinione.


[i] Le altre tre sono: una citazione dalla Cistellaria, un rinvio ad una performance italiana cui Segal assisté nel 1962 e l’ articolo di William sulle cerimonie matrimoniali nell’ antica Roma (1958).

[ii] Non c’ è menzione della performance di Plauto (Princeton,1985). Lo studio di Moore sul meta-teatro plautino (Il teatro di Plauto, Texas 1998) è citato all’ interno del capitolo su Terenzio! (p.245)

[iii] Esemplare è questa inutile parentesi a pag.125: “Il gabinetto, per esempio, non è mai menzionato nella ‘seria’ tragedia greca (né tantomeno nel romanzo ottocentesco, se è per questo)”.

[iv] Se  proprio voleva restringere il campo alla commedia teatrale, e Segal voleva, allora non avrebbe dovuto nemmeno soffermarsi così a lungo su Chaplin e sul Dottor Stranamore, per poi glissare clamorosamente sul resto della commedia cinematografica, né tantomeno avrebbe dovuto lanciare tanti ammiccamenti alla volta di una ‘sitcom’(Fawlty Towers) o di un romanzo (il Don Chisciotte) con l’ unico scopo di tirare acqua al suo mulino. Per una introduzione al genere comico di stampo cattolico, si veda T.G.A.Nelson, La teoria della commedia in Letteratura, Teatro e Cinema (Oxford, 1990).