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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 “Pirandello poeta della dialettica”1: i Sei personaggi in cerca d’autore e la scrittura drammaturgica come interstizio tra dolore e piacere.

 

di Marina Settesoldi

 

 

 

“Ho scritto questa commedia per liberarmi da un incubo.”2

 

E’ questo l’incipit della Prefazione al testo dei Sei personaggi in cerca d’autore: non è solo l’incubo dei personaggi che assediano lo studio di Pirandello alla ricerca di un autore, ma è anche l’incubo che è stata la sua vita e che continua ad essere. Quell’incubo da cui egli cerca di liberarsi creando un alter ego, e, per G. Mazzacurati3 riferendosi all’Uno, nessuno e centomila, una sorta di diario attraverso cui affidare ad un doppio da sé, i propri travagli.

Interessantissima testimonianza della compenetrazione tra la vita e la pagina, è quanto dice Stefano Pirandello nella Prefazione all’opera di mio padre, ma anche le lettere scritte dall’autore alla figlia Lietta, che si situano nel periodo che va dal 1918 al 1936 (con una pausa tra il 1919 e il 1922): è quantomai evidente in esse il rapporto conflittuale e tormentato che Pirandello ha con la scrittura; il suo lavoro si nutre dei dolori della sua vita tormentata, ed è proprio per questo che egli è colto spesso da un moto di rifiuto e dalla nausea. A questo stato d’anima fa però da contrappunto l’esigenza e il desiderio della scrittura come soluzione: lavorare per mettere “le cose a posto”, come egli stesso dice, significava guadagnare per aiutare i figli nelle difficoltà economiche, ma anche cercare di dare un’espressione e quindi un luogo ai propri tormenti.

I Sei personaggi in cerca d’autore dunque si presentarono subito come la manifestazione (e l’esorcizzazione) dei fantasmi e delle ossessioni dell’autore; ossessioni che riguardavano il Pirandello uomo e artista.  L’opera matura, nella forma drammaturgica, dalla difficoltà dell’autore di scrivere nella sua consueta forma narrativa: il progetto iniziale, nel 17, voleva le tragiche vicende della famiglia protagonista, in forma di romanzo, ma Pirandello incontra strane difficoltà, in quel periodo che è anche il periodo, non lo dimentichiamo, del divampare della Grande Guerra. Probabilmente la guerra, che a Pirandello apparentemente non fece cambiare atteggiamento di fronte alla società e alla vita, fece si che si scatenassero le passioni in teatro, passioni che dilaniavano le sue creature sulla scena.

La storia dei sei personaggi quindi riemerge e si sviluppa in una forma di scrittura che l’autore continua lucidamente, almeno in sede teorica, a rifiutare, ma che costituisce quella più adatta: le parole devono trasformarsi in azione e non possono più rimanere scritte sulla carta, il romanzo e la novella, destinati alla lettura, gli sembrano insufficienti nella tensione del clima instaurato dalla guerra.

guerra.

Questa trasformazione della propria scrittura, annunciata già nel 1915 dal Si Gira... che rimanda la rappresentazione di conflitti non più rappresentabili mediante la narrazione, ad un altro codice, viene vissuta non senza sofferenze; Pirandello è portato a considerare il teatro come una breve parentesi nella sua più naturale attività di narratore: nel 19 egli annuncia l’intenzione di ritirarsi dalle scene e nel 20 dichiara che con i Sei personaggi in cerca d’autore, spera di chiudere per sempre la sua ormai lunga parentesi teatrale.

Le caratteristiche dei sei personaggi, che, nati vivi dalla fantasia del poeta e da questi rifiutati si impongono all’autore nel suo studio con i loro tragici casi, pretendendo la vita, non permettono la narrazione, il racconto della storia, poiché essi con le loro passioni contrastanti cercano di sopraffarsi a vicenda in una lotta disperata. Pirandello quindi, com’egli stesso spiega nella Prefazione, rifiuta la ragion d’essere dei personaggi, accogliendone solo l’essere: la ragion d’essere è la loro vicenda, che non può essere vissuta sulle tavole del palcoscenico, in quanto la cosa implicherebbe la mediazione dell’attore nonché la testualizzazione da parte del Capocomico (impossibile per quest’ultimo come  per l’autore): dunque la tragedia dei sei non può realizzarsi.

Riallacciandosi così a quanto aveva affermato sulla rappresentazione teatrale, nel saggio Illustratori, attori e traduttori del 1908, i personaggi non riescono a riconoscersi negli attori a cui essi si sono rivolti affinché il loro dramma si potesse realizzare sulla scena: nulla di quanto viene allestito in maniera fittizia sul palcoscenico dal Capocomico e dagli attori, corrisponde alla “realtà” dei personaggi. Già all’ingresso dei sei personaggi in teatro (dove un capocomico con i suoi attori svolge le prove del Gioco delle parti di Pirandello), si evidenzia la loro natura altra:4 essi non entrano dalla porta degli attori, ma vengono annunciati dall’usciere ed insieme a lui attraversano il corridoio tra le poltrone; inoltre Pirandello in una lunga didascalia, suggerisce a chi voglia mettere in scena la commedia, tutto quanto è necessario a che i sei personaggi non si confondano con gli attori della compagnia.

La differenza ontologica comporta una disarticolazione della scena, scena in cui gli attori si trovano perfettamente a loro agio, hanno un’attitudine gaia (cantano, suonano e sono vestiti di abiti chiari), calati nel teatro quale theatrum mundi e cioè nella transitorietà, mutevolezza e fallacità della vita umana, ben diversa dalla vita di un personaggio. Essi così non sono in grado di comprendere il lutto de sei personaggi, per i quali la scena è il luogo in cui si potrebbe compiere il loro dramma esistenziale ed è anche un luogo d’esilio, in quanto rifiutati dall’autore, vanno in cerca di chi possa far vivere la loro vicenda. Dunque la dialettica da cui è investita la scena è tra realtà e finzione, cioè da una parte c’è la teatralità dei personaggi, intesa come valore immutabile e superiore alla realtà stessa, dall’altra c’è la teatralità convenzionale e mimetica degli attori.

La non rappresentabilità del dramma dei sei personaggi vuole dimostrare la crisi del teatro tradizionale e la non rappresentabilità teatrale dell’interiorità scissa e frantumata dell’uomo contemporaneo; una condizione che Pirandello sperimenta in prima persona ed è incarnata da personaggi quali Mattia Pascal o Vitangelo Moscarda5 che sono personalità scisse, alienate, che rifiutano i propri obblighi ed il proprio stato sociale.

Dunque è chiaro che la commedia6 spiega come le due realtà, fantastica dell’arte e materiale del palcoscenico, siano inconciliabili, ma la costruzione drammaturgica sembra che vada in un altro senso, facendo almeno un tentativo di conciliazione. Se l’autore come logos ordinatore è assente, è presente però come mente che crea e dà corpo ai suoi fantasmi drammatici: la scena teatrale viene sostituita da un’altra scena che ha a che vedere con la fantasia e segue le leggi della psiche; Pirandello mettendo in discussione le regole della finzione mimetica, fa si che sulla scena l’accadimento drammatico sia immediato ed unico, poiché l’arte ha valore di prassi, non è rappresentazione del reale, ma creazione di una realtà più vera della vita stessa. Conseguentemente il pubblico, che è considerato assente e solo alla fine, quando cala regolarmente il sipario, si capisce che siamo in teatro con degli spettatori, diventa testimone di un evento unico, quasi rituale.

Esempio eclatante della fantasia dell’autore in atto di creare, è l’apparizione di Madama Pace, come dice lo stesso Pirandello nella Prefazione:

 

“La nascita d’una creatura della fantasia umana, nascita che è il passo per la soglia tra il nulla e l’eternità, può avvenire anche improvvisa, avendo per gestazione una necessità. In un dramma immaginato serve un personaggio che faccia o dica una certa cosa necessaria; (…) Così nasce Madama Pace fra i sei personaggi, e pare un miracolo, anzi, un trucco su quel palcoscenico rappresentato realisticamente. Ma non è trucco. La nascita è reale, il nuovo personaggio è vivo non perché fosse già vivo, ma perché felicemente nato, come appunto comporta la sua natura di personaggio, per così dire, <<obbligato>>.(…) Senza che nessuno se ne sia accorto, ho cambiato di colpo la scena: la ho riaccolta in quel momento nella mia fantasia pur non togliendola di sotto gli occhi agli spettatori; ho cioè mostrato ad essi, in luogo del palcoscenico, la mia fantasia in atto di creare, sotto specie di quel palcoscenico stesso.”7

La scrittura pirandelliana viene così sempre più collocandosi in una soglia, in una zona d’ombra popolata da creature che vogliono essere narrate, rappresentate, mutate in personaggi; una soglia attraverso cui sfuggire ai tormenti e alla morte più volte desiderata ed evocata (ne sono testimonianza sincera e sofferta le lettere a Marta Abba e alla figlia Lietta), compiendo probabilmente quanto Serafino Gubbio invita a fare:

 

“Evadere, signor Fabrizio, evadere; sfuggire al dramma! E’ una bella cosa, e anche di moda, le ripeto. E-va-po-rar-si in dilatazioni, diciamo così, liriche, sopra le necessità brutali della vita,(...); su, un gradino più su di ogni realtà che accenni a precisarcisi piccola e cruda davanti agli occhi. (...) – Facilissimo, signor Fabrizio! Che ci vuole? Appena un dramma le si delinea davanti, appena le cose accennano di prendere un pò di consistenza e stanno per balzarle davanti solide, concrete, minacciose, cavi fuori da lei il pazzo, il poeta crucciato, armato di una pompettina aspirante; si metta a pompare dalla prosa di quella realtà meschina, volgare, un po’ d’amara poesia, ed ecco fatto!”8

 

Sfuggire ed evadere dando dunque corpo al fantasma, che è il compito dello scrittore, come un arazzo capace di allontanare da sé le sue figure e proiettarle in un luogo pronto ad accoglierle ed a manifestarle, e dall’arazzo dei Sei personaggi in cerca d’autore si stacca Madama Pace, proprio come Jaufré Rudel e Melisenda, i due amanti della romanza fantastica di Heine di cui Pirandello parla nel saggio Illustratori, attori e traduttori; o come la donna del quadro secentesco che rappresenta la Maddalena impenitente nella novella Effetti di un sogno interrotto, novella in cui la realtà del sogno diventa “reale”, sogno e realtà si mescolano:

 

“Effetto del sogno così di colpo interrotto fu che i fantasmi di esso, voglio dire quel signore a lutto e l’immagine della Maddalena diventata sua moglie, forse non ebbero il tempo di rientrare in me e rimasero fuori, nell’altra parte della camera, oltre le colonne, dov’io nel sogno li vedevo; dimodochè, quando al fracasso springai dal letto e con una strappata scostai il cortinaggio, potei intravedere confusamente un viluppo di carni e panni rossi e turchini avventarsi alla mensola del camino per ricomporsi nel quadro in un baleno;

(...) Non voglio spiegare ciò che non si spiega. Nessuno è mai riuscito a penetrare il mistero dei sogni. Il fatto è che, alzando gli occhi, turbatissimo, a riguardare il quadro sulla mensola del camino, io vidi, chiarissimamente vidi per un attimo gli occhi della Maddalena farsi vivi, sollevar le palpebre dalla lettura e gettarmi uno sguardo vivo, ridente di tenera diabolica malizia. Forse gli occhi sognati della moglie morta di quel signore, che per un attimo s’animarono in quelli dipinti nell’immagine.

Non potei più restare in casa. Non so come feci a vestirmi. Di tanto in tanto, con un raccapriccio che potete bene immaginarvi, mi voltavo a guardar di sfuggita quegli occhi. (...).

Mi precipitai nella bottega dell’antiquario che è nei pressi della mia casa.gli dissi che, se non potevo vendere il quadro a quel suo amico, potevo però cedergli in affitto la casa con tutto l’arredo, (...).”9

 

Il proprio fantasma in fuga dal corpo attraverso il sonno, in Effetti di un sogno interrotto, come nell’altra novella La realtà del sogno, in cui la protagonista vede rivelata la sua vera natura nell’immagine onirica, come infine ne I giganti della montagna, suscita sempre manifestazioni di terrore: è la frizione tra la tendenza all’immagine del desiderio e la rimozione di essa. L’inquietudine e lo spavento degli attori di Ilse, sono dovuti al fatto che la Scalogna non permette solo la realizzazione dell’opera del Poeta attraverso l’immedesimazione nel processo creativo di quest’ultimo, ma anche la messa a nudo dei fantasmi privati, che incontrollati fuoriescono, in una dimensione che è quella notturna, operandosi così una convergenza tra Arte e Notte, tra Poesia e Sogno.

Una metafora del teatro come messinscena fantasmatica, secondo Jean-Michel Gardair, è la novella Il lume dell’altra casa, dove il protagonista, nel quale sembra essersi spenta ogni vita, vive come sospeso, attonito, senza soffrire, senza provare dolore o pensare, fino al giorno in cui la squallida stanza in affitto in cui vive, di sera s’illumina della luce proveniente dalla finestra di fronte. Egli è restituito alla vita da quella luce che illumina una tranquilla cena familiare. Tullio Buti, è questo il nome del personaggio, s’innamorerà della donna di quell’appartamento, che ogni sera alla stessa ora osserva; ma anche la donna, una volta accortasi di essere osservata, s’innamorerà del Buti, abbandonerà la famiglia e non potrà fare a meno di guardare insieme a lui, dalla finestra, ciò che resta della famiglia distrutta dal loro folle gesto.

Dice Gardair:

 

“La divisione dell’ombra e della luce, la rigorosa distribuzione dei personaggi nell’una o nell’altra, i primi, simbolicamente trincerati davanti alla vita e che esistono come pura visione e i secondi, viventi, e come suscitati dalla visione che li desidera; la reciproca attrazione che esercitano gli uno sugli altri e le perturbazioni – tragiche – che risultano dallo scambio delle loro rispettive <<parti>>, tutto è qui metafora del teatro come messa in scena fantasmatica.”10

 

Nei Sei personaggi in cerca d’autore, la scena del teatro mentale chiede ancora di passare al teatro reale, ma non ci riesce (tranne che nel caso di Madama Pace) e la soluzione , forse facile, che sembra poter suggerire il nostro autore, è quella, inversa, che ci fornisce Cotrone ne I giganti della montagna:

 

“E il miracolo vero non sarà mai la rappresentazione, creda, sarà sempre la fantasia del poeta in cui quei personaggi son nati, vivi, così vivi che lei può vederli anche senza che ci siano corporalmente. Tradurli in realtà fittizia sulla scena è ciò che si fa comunemente nei teatri. Il vostro ufficio.”11

Prerogativa di Cotrone e degli Scalognati è quella di poter dar vita alle immagini, basta che le abbiano dentro di sé ben vive, essi infatti si rappresentano da sé in virtù della loro stessa vita. Ma condizione di ciò è credere nella favola proprio come ci credono i bambini, conservare l’occhio del bambino: ricordiamo che Stefano Pirandello aveva definito suo padre uomo-fanciullo, e Pirandello stesso aveva detto di sé in una lettera a Lietta:

 

“Le difficoltà sono tante, i pesi che mi gravano sulle spalle sono tanti, e io sono tanto tanto stanco, Lillinetta mia, dal tanto lavoro che ho fatto e dai tanti dolori che ho sofferto! Se ci penso, non so come io stia ancora in piedi. Ma ci sto, e lavoro, e il mio cuore è ancora quello di un bambino, e anche gli occhi. – Chi sa?”12

La magia, la creazione della realtà attraverso l’evocazione è possibile solo lì dove abitano il mago Cotrone e gli Scalognati, “agli orli della vita”, autoesiliati, in una zona estrema, come estrema era anche la campagna del Caos, vicino Agrigento, dove Pirandello nacque di notte per caso. Gli Scalognati, ritiratisi dalla civiltà tentano di realizzare una dimensione primigenia, un ricongiungimento con una realtà prima, come una sorta di azzeramento per ricominciare da un altro punto; un po’ come avviene per Vitangelo Moscarda o per i protagonisti di quel breve frammento di romanzo, intitolato Adamo ed Eva, che Pirandello ci ha lasciato e su cui il figlio Stefano ci ha dato delle notizie riguardanti il possibile progetto o la trama dell’opera. Questo romanzo avrebbe narrato le vicende di due giovani, Adamo ed Eva appunto, unici superstiti di un cataclisma, che ricominciano la vita umana dal nulla, dai primi elementi, ma con alle spalle l’esperienza della vita passata. Massimo Bontempelli ebbe giustamente a dire di questo progetto di romanzo:

 

“Tutta l’opera che Pirandello ha scritta, era la premessa di questa. Era la preparazione del cataclisma rigeneratore (...) Dopo l’ultimo scoppio, l’ultimo scroscio, e l’ultimo silenzio, non rimane che la tabula rasa. Sulla tabula rasa sappiamo che ricomincerà la vita, la vita dai primordi, dagli elementi.”13


1 Riprendo questa espressione dalla recensione di Piero Gobetti ai Sei personaggi in cerca d’autore, apparsa su “L’Ordine Nuovo” del 1 gennaio 1922, in: L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., pp.266-269 Una recensione che è apparentemente breve e sintetica, ma molto densa di significati: Gobetti con l’espressione poeta della dialettica, vuole significare che la creazione pirandelliana è dominata dalla perplessità, da tensioni opposte, sia per quanto riguarda la forma artistica, che per i sentimenti, gli stati d’animo e le condizioni esistenziali che l’attraversano e che si incarnano nei vari personaggi.La creazione artistica è espressione dell’attività spirituale dell’uomo, attività che si materializza, diventa organismo vivente; è espressione della sua attività spirituale oggettivata ed esternata: quella che Pirandello rappresenta è un’intima tragedia, è tragedia del creare. Dunque Pirandello non è filosofo,come alcuni hanno voluto definirlo, ma poeta della filosofia.

2 Ivi p. 3.

3 Giancarlo Mazzacurati, Pirandello nel romanzo europeo, Bologna, Il Mulino, 1987.

4 Nella rielaborazione che Pirandello fa nel 25, cioè quella che siamo abituati a leggere e a vedere rappresentata egli, rispetto alla versione del 21, accentua la differenza ontologica con una serie di espedienti scenici. Sulla definitiva stesura interviene l’incontro di Pirandello con la messinscena dei Sei personaggi di Pitoëff nel 1923, e nel 1925 con il testo di Ciò che più importa di Evreinov. Pitoëff era intervenuto soprattutto sulla scena iniziale del dramma, collocando sul palcoscenico dove si trovano gli attori per provare, una scala a pioli, varie attrezzature, un pianoforte, tecnici e macchinisti mentre alcuni attori ballano sulle note del pianoforte; al momento della prova poi si verificano battute e scherzi tra gli attori, il capocomico e le attrici.  Pirandello elabora questi interventi di Pitoëff ed inserisce un nuovo personaggio, il direttore di scena, ed un breve incidente tra il capocomico e la prima attrice.Evreinov invece nel suo Ciò che più importa, descrivendo una prova teatrale, crea una situazione molto animata: egli inizia con l’ingresso di alcuni falegnami che sistemano degli scalini tra palcoscenico e platea, falegnami esortati a far presto dal direttore di scena, mentre sul palco per le prove è previsto un pianoforte. Così Pirandello apre i Sei personaggi con l’arrivo di un macchinista ad inchiodare delle assi ed il direttore di scena lo rimprovera perché ormai è tardi; inoltre egli aggiunge un pianoforte così che gli attori e le attrici più giovani cantino e ballino (secondo il suggerimento anche di Pitoëff).E mentre il direttore di Evreinov minaccia una multa per riportare la disciplina, Pirandello inserisce un episodio in cui il capocomico minaccia di <<far segnare>> la prima attrice perché in ritardo.

5 Il fu Mattia Pascal viene pubblicato nel 1904, mentre Uno, nessuno e centomila nel 1926, ma Pirandello vi stava lavorando già da dieci anni, considerandolo il testo più rappresentativo del suo pensiero; da esso partivano o vi confluivano materiali quasi ossessivamente ripetuti nella sua produzione. Per il valore di Uno, nessuno e centomila quale deposito occulto di materiali, si veda l’introduzione di G. Mazzacurati a L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Torino, Einaudi, 1994; e sempre di Mazzacurati, il volume Pirandello nel romanzo europeo, cit.

6 Pirandello nella Prefazione ai Sei personaggi in cerca d’autore, dice di aver realizzato “un misto di tragico e di comico, di fantastico e di realistico; (…) un dramma che da sé, per mezzo dei suoi personaggi, spiranti parlanti semoventi, che lo portano e lo soffrono in loro stessi, vuole ad ogni costo trovare il modo d’esser rappresentato; e la commedia del vano tentativo di questa realizzazione scenica improvvisa.” L.Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p.7

7 Ivi pp. 14-15

8 L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in Tutti i romanzi, a cura di Corrado Alvaro, Milano, Mondadori 1957, pp.1270-1271

9 L. Pirandello, Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, Milano, 1985 Vol. I; 1987 Vol. II; 1990 Vol III. Pp.686-687.

E ’significativo il fatto che la novella Effetti d’un sogno interrotto fu l’ultima ad essere stata scritta dall’autore.

10 Jean-Michel Gardair, Pirandello e il suo doppio, Roma, Abete, 1977.

11 L. Pirandello, I giganti della montagna, Milano, Mondadori, 1993, p. 230.

12 Roma, 29. IV. 1922, in L. Pirandello, Lettere a Lietta, Milano, Mondadori, 1997, p.37.

13 Cito dall’appendice curata da G. Mazzacurati dell’Uno, nessuno e centomila, cit., pp. 213-214.