Mese: Aprile 2016

Bruno Brillante: nella sua pagina la vecchia Napoli d’oggi

di Redazione
Napoli - Il Capo di Posillipo
Napoli – Il Capo di Posillipo

Bruno Brillante racconta delle ciliegie del Capo di Posillipo, vecchi racconti per rivisitare la città rammemorando la diversità del passato: ma nella pagina Facebook indica anche come partecipare alle gite a piedi in città che riscoprono campagne e agriturismi che rievocano antiche colture.

“Ho mangiato le ciliegie del Capo di Posillipo. Le portava in casa d’un amico un contadino che coltivava una terra che, unita poi ad altre divenne il Parco della Rimembranza. Ciliegie che sembravano lucidate come un corallo di Torre del Greco. Non c’era ancora il ponte che ora unisce via Alessandro Manzoni con il Parco. Via Manzoni aveva un percorso più breve, il suo nome finiva ai margini di altre campagne vigneti e agrumi. Dove ora gira il ponte si chiamava la montagna spaccata. Un sentiero incassato tra la collina e la sua ultima propaggine che a picco scendeva sul mare e raggiungeva Coroglio, una spiaggia pressoché sconosciuta e deserta. Un tram, il numero 1, si partiva da piazza Trinità Maggiore: il più lungo percorso tranviario della città, ma, poco più che a mezza strada, a Palazzo Donn’Anna, il tram aveva smaltito quasi tutti i viaggiatori: al capo arrivavano il manovratore e il bigliettaio. Di sera qualche coppia di innamorati. Il contadino di Posillipo non faceva affidamento sul numero 1 e veniva in città con un cavallino. Percorreva tratti di strade e sentieri allora sconosciuti: S. Strato, il Marzano, Villanova. Col cavallino incrociava un tram a cavalli che recava sull’imperiale la scritta: Montesanto – Torre Ranieri. Tram polveroso con un cocchiere sonnolento che affidava ai cavalli il compito di raggiungere quella meta, non meno favolosa del capo di Posillipo: Torre Ranieri. (Mauro Nazzaro)

Questi luoghi, non essendo ancora edificati come oggi il Vomero e l’Arenella, era considerato, dice il settecentesco Celano, alla Collina di Posillipo: “Nelle spalle, Napoli ha il fertile monte di Posillipo, che principia come si disse, dal castello di S. Eramo, o, col volgo, di S. Ermo, sotto la chiesa e il monisterio de’ Certosini. Il questo monte, dalla parte di Oriente, par che la natura di continuo stia con attenta fatica studiando per mantenerlo sempre verde e sempre in fiore; essendo che in questo in ogni tempo, e sia pure nel più orrido dell’inverno, vi si lavorano mazzetti di fiori freschi”.

W MM Bruno Brillante nella sua pagina la vecchia Napoli d’oggi

 

Note e notizie di ecfrastica urbana

di Redazione

È uscito il n. 1 del 2016 (Anno LXII de www.ilrievocatore.it)

San Francesco delle Monache
San Francesco delle Monache

Alla metà del ventesimo secolo Napoli annoverava due periodici dedicati a temi di storia municipale: l’Archivio storico per le province napoletane, fondato nel 1876 dalla Deputazione (poi divenuta Società) napoletana di storia patria, e la Napoli nobilissima, fondata nel 1892 dal gruppo di studiosi che gravitava intorno alla personalità di Benedetto Croce e ripresa, una prima volta, nel 1920 da Giuseppe Ceci e Aldo De Rinaldis e, una seconda volta, nel 1961 da Roberto Pane e, poi, da Raffaele Mormone. In entrambi i casi si trattava di riviste redatte da “addetti ai lavori”, per cui Salvatore Loschiavo, bibliotecario della Società napoletana di storia patria, avvertì l’esigenza di quanti esercitavano il “mestiere”, piuttosto che la professione, di storico, di poter disporre di uno strumento di comunicazione dei risultati dei loro studi e delle loro ricerche. Nacque così Il Rievocatore, il cui primo numero data al gennaio 1950, che godé nel tempo della collaborazione di figure di primo piano del panorama culturale napoletano, fra le quali mons. Giovan Battista Alfano, Raimondo Annecchino, p. Antonio Bellucci d.O., Gino Doria, Ferdinando Ferrajoli, Amedeo Maiuri, Carlo Nazzaro, Alfredo Parente. Alla scomparsa di Loschiavo, la pubblicazione è proseguita dal 1985 con la direzione di Antonio Ferrajoli, coadiuvato da Andrea Arpaja, fino al 13 dicembre 2013, quando, con una cerimonia svoltasi al Circolo Artistico Politecnico, la testata è stata trasmessa a Sergio Zazzera.

Nel numero: Editoriale, Tradire la tradizione; C. Iandolo, Curiosità linguistiche dell’italiano; E. Notarbartolo, Sant’Aniello Abate (Napoli 535-596); A. Ferrajoli, L’erede del feudo procidano: Giovanni da Procida; A. La Gala, Santa Maria della Rotonda; C. Di Somma, Gaspara Stampa; S. Zazzera, San Gennaro Spogliamorti; F. Ferrajoli, Drammaticità artistica nel «Cristo Morto» di Procida; G. Mendozza, La Posteggia; A. Arpaja, Avremmo potuto vincere a mani basse.4; E. Barletta, 1942-1943: memorie di una tragedia vissuta; P. Accurso, Il mondo e l’equilibrio morale di oggi; M. Piscopo, Paolo Ricci; F. Lista, ‘A sciorta ‘e Napule; Documenti, Il “caso giudiziario” Mediaset – Champions League; È cultura a Napoli

Santa Maria della Rotonda
Santa Maria della Rotonda

dall’articolo di La Gala, dedicato alla Chiesa della Rotonda:

All’Arenella, su un’area compresa fra le vie Pietro Castellino e San Giacomo di Capri, alla confluenza con via Saverio Altamura, si trova una chiesa sorta nel secondo Novecento: la Chiesa di Santa Maria della Rotonda. La prima pietra fu posata dal cardinale Marcello Mimmi il 25 aprile 1954 e il tempio fu aperto al culto il 16 agosto 1961. L’edificio fu costruito su progetto di Ferdinando Chiaromonte, che s’ispirò ad un’antica chiesa del centro storico di Napoli, che portava lo stesso titolo e che fu abbattuta nel 1770. Essa si ergeva all’angolo fra piazza San Domenico Maggiore e via Mezzocannone, dal lato di palazzo Casacalenda. Sia per la nuova che per la vecchia chiesa la comune denominazione riflette la comune forma circolare dei due edifici.

La chiesa antica fu costruita attorno al 350 d.C. su un più antico tempio pagano, di epoca greca, molto presumibilmente anch’esso di forma circolare ed era una delle dieci parrocchie della città. Si chiamava Santa Maria ad presepem, ma era detta anche Ecclesia Sanctae Mariae ad Rotunda, proprio per la sua forma. Il più antico documento conosciuto che ne fa menzione è un atto di donazione del 1021. Questa parrocchia era anche una diaconia con un collegio di preti e un abate. I preti per loro uso edificarono, contigua alla parrocchia, una cappella intitolata a San Pietro, a cui si accedeva entrando da piazza di San Domenico. Nella seconda metà del Settecento la cappella fu venduta al Duca di Capasso, che stava ristrutturando palazzo Casalenda, il quale, grazie alle sue buone relazioni, ottenne facilmente l’abbattimento della cappella ed anche della chiesa. L’abbattimento del tempio avvenne nel 1770.

Dopo l’abbattimento la cura parrocchiale peregrinò per varie chiese, finché non le fu assegnata come sede stabile la chiesa di San Francesco delle Monache, sita in via Santa Chiara. San Francesco delle Monache fu sostanzialmente distrutta nel bombardamento aereo del 4 agosto del 1943, che ridusse in macerie anche la vicina chiesa di Santa Chiara.

Il moderno tempio collinare a cui è stato trasferito il titolo sacro, fu costruito nella seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento. È caratterizzato oltre che dalla forma circolare, da un matroneo che ne circonda lo spazio interno. Per il resto segue lo stile architettonico, esterno ed interno, comune alla gran parte degli edifici sacri che sorsero in quegli anni.

Il passaggio del titolo fra la vecchia parrocchia e la nuova chiesa collinare, avvenne nel corso del 1961, l’anno dell’apertura al culto. Oltre al titolo, il nuovo tempio ha ereditato pure qualche arredo dalle chiese omonime che l’hanno preceduta. Dal 1980 vi si trova una statua ad altezza naturale della Madonna con Gesù Bambino, che viene indicata come proveniente dalla vecchia chiesa demolita.

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