Educare alla televisione farà bene anche alla televisione

di Clementina Gily, Editoriale

La neo televisione ha creato un utente libero nella ricerca del nesso tra le offerte proposte dalle reti: ma occorre che questa libertà sia esercitata sapientemente da chi possiede il telecomando.

Spesso è frenata dai canali; sono numerosi al massimo, è vero, ma sono anche ripetitivi, l’offerta è più limitata di quanto sia ad esempio l’offerta della rete. Ma anche quando si pensa alla rete, si capisce che l’apparente libertà merita qualche precisazione – è anche illimitata possibilità di perdersi tra affermazioni contrastanti. Chi non è esperto può facilmente essere attratto da un blog pieno di affermazioni sbagliate piuttosto che da una rivista rigorosa o dalla Treccani: spesso, la grafica del blog è più accattivante e il testo più fluido. Bisogna intendersi insomma su cosa vuol dire libertà, prima di parlare della cultura d’oggi. Ha grandi possibilità, ma occorre discernimento, e quindi formazione dei giovani. Su questa linea Wolf dedica un approfondimento rivolto ai docenti ed agli educatori.

La rete può diventare una trappola quando si naviga senza orientamento: “le reti televisive fanno subito pensare a qualcuno che ci resta impigliato come un pesce; questo è tanto più verosimile per i bambini che sono sempre catturati dalla potenza delle immagini che scaturiscono dal video… I canali televisivi fanno pensare a dei comodi mezzi di trasporto per poter navigare qua e là per il mondo… Il prefisso tele poi significa lontano… La televisione ha stabilito una comunicazione planetaria rapidissima” 1. Sono parole di Gianni Rodari, in un libro di tanto tempo fa, se non erro 1964, Gip nel televisore ed altre storie in orbita racconta di un bambino che “alle 18,39 si sentì irresistibilmente attratto da una forza sconosciuta. Decollò dalla poltrona, ondeggiò per qualche attimo nell’aria come un razzo in partenza per il cosmo e piombò a capofitto nel televisore”. È un libro di quando la rete era solo la televisione e la radio, ma già faceva capire la necessità di intervenire come educatori, di porsi il problema del che fare in un mondo che cambiava a vista d’occhio. Era così allora, ma poi è stato sempre così: quante rivoluzioni tecnologiche ha vissuto oggi un ragazzo di vent’anni? E da quando c’è l’IPad e il selfie? Si badi che ognuna di queste parole richiede un adattamento cognitivo, rende necessario un approfondimento… come si fa ad intervenire subito, quando i primi ad essere sconcertati sono gli educatori? E non va troppo meglio nemmeno nel mondo della ricerca.

Ma torniamo a Gianni Rodari, che analizza in poco spazio e con molta poesia i pregi e i difetti di questo essere precipitato nel televisore di Gip: il pregio? “La molto onorevole onda-Gip – aveva aggiunto sorridendo il professor Yamanaka – ha potuto fare conoscenza con numerosi usi della televisione che il moto rispettabile pubblico generalmente ignora”. Il prof giapponese che lo incontra in formato onda, è solo uno dei tanti, tantissimi incontri che Gip fa, conosce i ghiacci del polo, la vita in un sottomarino e la savana. Come ogni bambino d’oggi di ieri, credo che un bambino di dieci anni abbia visto più animali e piante di Linneo, ad esempio: ma difficilmente qualcuno penserebbe che perciò ha più competenza del celeberrimo biologo, inventore della moderna classificazione dei viventi. Avere molte esperienze non significa avere esperienza: si può dire con un piccolo paradosso. È la connessione che fa la scienza, è la padronanza che consente di muoversi su un terreno, non la semplice memoria delle cose o peggio la quantità delle loro tracce.

Il difetto? È l’altra faccia della stessa smaterializzazione che consente di essere un’onda e quindi di andare dappertutto: non apprezzare il pericolo. Gip sta tranquillo “in mezzo alle frecce degli indiani o nelle fiamme di un altoforno, nella più profonda galleria di una miniera, nei corridoi di una prigione: lui è la sola persona vera in un mondo di immagini”, si sente protetto in questo altrove comodo e soporifero di cui possiede la chiave nel telecomando. Può far comparire e sparire, può giudicare senza essere giudicato: un famoso sociologo come Giddens ha detto che la televisione è un ottimo strumento di rassicurazione ontologica – ci tranquillizza ovunque siamo, ben più della tradizione, della casa, della parentela. È docile ed è dovunque – prima di sorridere, pensiamo alla sensazione di spaesamento che si ha quando si va all’estero, che porta ad accendere la tv e cercare un canale di casa nostra per ambientarsi un po’ (A. Giddens, La costituzione della società, Milano, Edizioni di comunità, 1990).

Gli uomini d’oggi vivono con la televisione e con tutti i media la loro vita: a scuola si dà tanta importanza all’ambiente, ma a volte si sottovaluta che nel nostro ambiente oggi il virtuale è nient’affatto virtuale – fa parte della giornata come la scheda telefonica, il cellulare e il bancomat.

Bisogna imparare a vivere in questo tempo intempestivo di cui parla Derrida, che conclude il suo discorso sulla televisione notando come anche questo sia un linguaggio, che tutti devono imparare a leggere ed a scrivere: perché scrivere è l’unico modo per imparare davvero a leggere. (J. Derrida – B. Stiegler, Ecografie della televisione, Cortina, 1997).

1 Rodari, Gip nel televisore ed altre storie, Mursia 1987.

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