Rosario Assunto e la poesia dei giardini (4) – La possibilità e la necessità del paesaggio: estetica-etica

di Serena Gianpietro
Cesare Brandi, Elsa Morante, Rosario Assunto e la moglie
Cesare Brandi, Elsa Morante, Rosario Assunto e la moglie

Il filo della riflessione di Assunto ci ha finora condotto a rintracciare una matrice tenace che circolarmente alimenta il rapporto tra estetica-etica-politica, una posizione filosofica, molto impegnativa “rincorsa” dall’Autore tra i secoli, un affresco dinamico e complesso di riferimenti storiografici, filologici e filosofici.

Ma non è affatto scontato che un problema estetico debba necessariamente indurre ad uno sguardo così attento ai risvolti etici e politici di una discussione estetica o, meglio, sull’Estetica, di cui il paesaggio è allo stesso tempo pretesto ed oggetto.

È lo stesso Assunto, nella premessa alla prima edizione del suo testo Il Paesaggio Estetico a chiarire come si sia posto alla sua riflessione questo nodo: “Questo libro è il risultato di dieci anni di meditazioni, di letture, di ricerche, tenute insieme ad un filo nel quale i colori dell’amarezza e della disperazione hanno sempre più il sopravvento su quelli iniziali della speranza”.[1] Cos’era accaduto?

La sua predisposizione positiva ed entusiasta rispetto alle possibilità di un’indagine estetica sul paesaggio  aveva prodotto una ricerca feconda: già nel 1961 nel corso universitari tenuto nell’Università di Francoforte ebbe modo di proporre le sue tesi e di divulgarle attraverso una serie prolusioni e di scritti tenute in varie università e pubblicati  su riviste sia straniere che italiane.[2] Assunto definiva positivamente l’azione sul paesaggio la premessa della contemplazione, l’agire umano come condizione del godimento estetico. Si tratta di un’operazione eminentemente etica prima che estetica: “Nell’arte, difatti, godiamo non la natura, ma la semplice bellezza di cui la natura è bella per la contemplazione, una bellezza astratta da ogni materiale attrattiva della natura; mentre nella natura questa stessa bellezza la godiamo in modo diverso che nell’arte: in un piacere contemplativo che accompagna l’interesse per la realtà, in quanto oggetto di utilitaria fruizione”.[3]

Simile riflessione induce Assunto a mutare atteggiamento teoretico, quando si avvede a partire dal 1968 che qualcosa cambia nel mondo. Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, il boom economico lasciava posto ad un contrastato e caotico sviluppo tumultuoso; nella società italiana si sono perpetrati scempi contro la natura, per le imponenti speculazioni edilizie, lo stravolgimento dell’assetto idrogeologico del Paese, la cementificazione selvaggia quasi mai giustificata da esigenze reali, e infine una industrializzazione irrazionale, senza rapporto con i territori e le reali necessità del Paese. Alla vigilia della grande crisi energetica del 1973, già emergevano i frutti avvelenati dello sviluppo di un capitalistico sguaiato ed arraffatore. Mutate le condizioni storiche, muta la riflessione del filosofo e dell’erudito conoscitore di giardini per “un capovolgimento radicale del rapporto tra azione e contemplazione come si è venuto configurando nella cultura contemporanea nei confronti del paesaggio e della natura”.[4] Ciò ha comportato “una rivalutazione della contemplazione come fine e valore dell’azione (con tutte le implicazioni propriamente speculative che questo rovesciamento comporta)“.[5]

Non più il “godimento estetico” è fine dell’azione quanto la salvaguardia del paesaggio, la lotta per la conservazione. “Quando per la prima volta ebbi ad affrontare organicamente in sede universitaria, il problema estetico del paesaggio, ancora era viva e verde in me la fiducia, ora perduta,  che il mondo della scienza e della tecnologia (con l’industria e l’urbanizzazione che ne sono inevitabili corollari) avesse in sé delle possibilità di riscatto estetico, e potesse aprire le porte ad una esteticità non antagonista, ma integratrice, rispetto a quella del mondo della natura”.[6] Ma la battaglia era ancora tutta da giocare: il filosofo lotta con le armi che ha, il pensiero e l’onestà intellettuale.

Sistematica Del Paesaggio: la sua irriducibilità a spazio geometrico

Il primo elemento di riflessione parte da un’osservazione linguistica: il paesaggio non è “nello” spazio ma è esso stesso “lo” spazio. Quindi, è in esso che svolge l’attività umana, è da esso che l’uomo trae sostentamento ed è in esso che egli organizza la propria esistenza. Questa iniziale proposizione spazza subito qualsiasi possibilità di inquadrare bozzettisticamente il concetto di paesaggio tra una rovina classica ed un incanto marinaro. Il paesaggio è dove vive l’uomo:

“Quando diciamo che il paesaggio è spazio (o rappresentazione di spazio) e non oggetto dello spazio (o rappresentazione di oggetti nello spazio), intendiamo dire con questo che il paesaggio è lo spazio stesso che si costituisce ad oggetto di esperienza ed a soggetto di giudizio”.[7] Si annida la prima contraddizione del nostro tempo, che Assunto individua con precisione: il problema del nostro tempo è “l’identificazione del paesaggio con lo spazio”.[8] Infatti, il problema è semantico: cosa intendiamo per ‘spazio’? Oggi paesaggio=spazio ha subito una innegabile degenerazione: “in Italia il fenomeno è stato più vistoso, ha assunto proporzioni macroscopiche, anche perché caratterizzato da una sorta di voluttà sostitutiva, dal sentirsi artefici di una vera e propria rivoluzione culturale, che si avventava contro il paesaggio della memoria e della fantasia per ridurlo a puro e semplice spazio della geometria.”[9]

Per comprendere la gravità della situazione, si osservi come Assunto abbia usato un termine “rivoluzione culturale” e lo abbia messo egli stesso in corsivo proprio per marcare un giudizio fortemente negativo sulla situazione italiana. Infatti, nel 1973 (data di pubblicazione del libro che, come abbiamo visto, ha avuto una gestazione almeno decennale) per “rivoluzione culturale” si intendeva quella maoista che sconvolse la Cina tra il 1966 e il 1969, fenomeno legato ai campi di “rieducazione” e la distruzione della memoria del popolo e della sua identità. In tutto l’Occidente quanto accadeva in Cina suscitò enorme clamore e disapprovazione: tornavano alla mente, per analogia, altri crimini totalitari contro l’uomo, da poco debellati. Inoltre, nel clima arroventato della politica italiana successivo alle contestazioni studentesche del ’68, al successivo ‘autunno caldo’ del ’69 e al decennio degli “anni di piombo”, la radicalizzazione delle posizioni ed il degenerare della dialettica politica trasferirono nel gergo accademico situazioni ed allusioni riferite al posizionamento ideologico. Il Professore Assunto si espose apertamente, contrastando con tutte le sue forze la contestazione universitaria, proprio per il pericolo che anche in Italia prendesse piede la confusione culturale e l’oggettiva arretratezza del mondo accademico di fronte all’incalzare dei tempi conducendo derive inaccettabili – che erano però il segno dei tempi nuovi.

Ma Assunto sapeva che non erano gli studenti universitari, anche se ‘arrabbiati’ e ‘insolenti’ il pericolo dell’identità italiana: punta invece il dito sui modelli di progettazione e sviluppo economico attraverso le grandi opere infrastrutturali (massime le autostrade) e dell’urbanizzazione: “il fatto che agli ingegneri progettisti di autostrade, ed ai loro committenti, la pianura padana non sia apparsa dolce (lo dolce piano – che da Vercelli a Marcabò dichina[10]) ma semplicemente liscia, come ad un giocatore di carambola il piano del biliardo, attesta una cultura per la quale il paesaggio, a differenza della cultura di Dante Alighieri e dei suoi lettori” è spazio solo geometrico. Posto, dunque, che nello spazio geometrico la linea più breve tra due punti è la retta; posto che nell’economia capitalistica la linea più breve abbassa i costi di costruzione ed aumenta la velocità commerciale di movimento-merci: ciò “autorizza vi si traccino su, con la riga e il tiralinee i tracciati più brevi tra il punto A (Torino) e il punto B (Milano) o il punto C (Mestre) o il punto D (Bologna)”[11] senza alcun rispetto né considerazione dei luoghi, tanto dei rilievi quanto dei giacimenti culturali e – figurarsi – della “bellezza” del paesaggio che si va a sconvolgere.

E, mutatis mutandis, non è questione solo di spazio orizzontale o di Italia. Assunto porta ad esempio di sconvolgimento ambientale anche i palazzoni della Piccola Basilea, sorti “tagliando il profilo dei colli e interrompendo la vista verso la Foresta Nera…Una cultura, in fin dei conti, per la quale il paesaggio è spazi, né più né meno che per i progettisti dei grattacieli di Agrigento; o per quell’ ingegnere stradale il quale anni or sono ebbe ad asserire in pubblico che il taglio degli alberi lungo le strade non avrebbe in alcun modo alterato il paesaggio”.[12]

In altra parte del suo saggio, Assunto estende anche al concetto di spazio/panorama urbano una tale riflessione: “che una piazza, una strada di città, siano mera estensione è convincimento oggi molto diffuso, perché risponde ai presupposti di una cultura, diciamo così, quantitativa: la cultura per la quale è reale solo ciò che è misurabile e verificabile”.[13]

Fino a quando, ed è questa una prima fondamentale conclusione, “non avremo sottoposto a critica interna – la sola veramente efficace – la identificazione del paesaggio con lo spazio” sarà inutile ogni lamentala, ogni protesta, in quanto, affermandosi una cultura del brutto, distruttiva e deprimente, “lo scandalo rimarrà fine a sé stesso”.[14]

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[1] R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Giannini ed., Napoli, 1973, vol. 2°, vol. 1. p. IX.

[2] Ibidem, pp. IX-XIII.

[3] Il paesaggio… vol. 2° p. 316.

[4] Il paesaggio…, vol 1°, p. XII.

[5] Ibidem

[6] Ibidem, p. XI.

[7] Ibidem, p. 5.

[8] Ibidem, pag. 8

[9] Ibidem, pp. 6-7.

[10] La citazione di Assunto risale a Dante,  Inf. XXVIII, 70 – 75, riferita a Vercelli (nota di SG)

[11] Il paesaggio…, p.7.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem, p. 30.

[14] Ibidem, p. 7-8.