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Vincenzo M.  Spera[1]

Bambole giocattolo e bambole rituali.

Il Battesimo della  "pupa"  di  S.Giovanni[2]

 

1 - L'argomento di questo intervento si articola su una prima analisi della presenza della bambola in alcuni cerimoniali tradizionali, posti fra il comportamento ludico e l'azione rituale.

I materiali sono estratti da ricerche a più ampio raggio, condotte su alcune forme di comparatico contratte in occasioni e con modalità di collocazione formale e comportamentale comunemente definite extraliturgiche. Si tratta sempre di azioni realizzate al di fuori delle istituzioni religiose, quindi non inerenti la somministrazione di sacramenti come il battesimo, la cresima ed il matrimonio[3], così come oggi si configurano nella liturgia ufficiale.

Le forme di comparatico extraliturgico e minimale, in cui spesso i protagonisti sono i bambini, sia come soggetti passivi (come nella "passata"), sia soggetti attivi (come nel "Battesimo delle bambole"), stabiliscono legami molto significativi nel gioco delle relazioni interindividuali e sociali. In molti casi l'azione rituale si compie con cerimoniali in cui entrano in campo alcuni oggetti particolari: un ramo tagliato a metà (terapia dell'ernia infantile), un ciuffo di capelli, un fazzoletto, la cuffia di un neonato, un anello, un vaso di basilico o di germi di grano, oppure proprio un manufatto specifico, come la bambola, che in tal modo richiama i significati connessi alla sua ambigua funzione rappresentativa che va oltre quanto, oggi, la identifica come semplice giocattolo.

La presenza di questo particolare simulacro, la bambola, caratterizza molti rituali in cui viene contratto il vincolo del comparatico comunemente detto il Sangiovanni, celebrato anche fra adulti; come ampiamente rilevato soprattutto in Sardegna[4], con esempi documentati nel secolo scorso anche in Calabria[5].

La ricerca, di cui ora utilizzo alcuni elementi, è stata condotta rilevando direttamente, o attraverso la testimonianza dei portatori della cultura orale locale, il senso ed il significato riconosciuto a tali forme di parentela spirituale e le modalità con cui i rituali specifici si ponevano e si pongono in essere. L'attenzione, quindi, è stata indirizzata soprattutto nei piccoli centri ed in comunità ancora solidali, in cui sono presenti ed attivi, sia pure soggiacenti alle nuove forme espressive, i modelli tradizionali della cultura agro-pastorale; come risulta da un'indagine direttamente svolta sul campo fra il 1982 ed il 1987, in Basilicata ed in alcune aree della Puglia, della Campania e della Calabria.

A titolo di premessa, e affinché sia più chiaro il senso con cui un determinato oggetto è utilizzato come supporto cerimoniale - e qui mi riferisco alla bambola - va detto che queste forme di comparatico, (fra bambini, adolescenti, adulti, di entrambi o dello stesso sesso) si presentano in una tipologia molto articolata e con varie modalità rituali e cerimoniali. La portata culturale di queste azioni, sovente espresse in forma drammatica o di azione di festa apparentemente fini a se stesse, si definisce entro una concezione della vita e dei vissuti in cui ha ancora senso una concezione del mondo a rilevante cogenza mitico-rituale. In questa dimensione esistenziale e concezione del mondo, le cose, gli oggetti, le rappresentazioni della realtà non sono neutre né opache, ma sono sempre assunte come dati manifestativi della Potenza e dell'Alterità[6]. Per questo motivo, allora, tutto ciò che è fatto, prodotto, detto e rappresentato in queste culture, ha valenza e valore realistico, non allegorico o simbolico, secondo l'accezione logico razionale. Il tempo ed il luogo, le forme e i modi con cui un qualsiasi rituale è realizzato, assumono funzioni importanti e centrali, perché tutti componenti concreti e definitori di quanto in ciascuna azione viene espresso e compiuto, il cui senso e valore sono sempre realistici ed operanti in quanto tali.

Comparatici, a volte tra i più vari nella forma cerimoniale, possono essere contratti solo in connessione con scadenze calendariali e liturgiche significanti, o anche in periodi non prestabiliti, ma relativi ad accadimenti importanti per il vissuto individuale o collettivo. Comparatici possono essere contratti in ambito privato e pubblico, o addirittura per costringere qualcuno a mantenere un segreto[7]. Ma sempre quando l'azione richiamata è posta come referente importante e con implicazioni che attengono, comunque, a fatti ed eventi in cui è sentita manifesta ed attiva la Potenza, negativa o positiva che sia, e che ineriscono ugualmente al senso comunitario e di appartenenza tanto in funzione sociale, quanto di definizione di classi di età.

Ciascuna forma di comparatico, proprio per questa connotazione di fondo, nel cerimoniale specifico che la riguarda, include sempre un atteggiamento in cui l'operazione, per quanto extra liturgica ed interamente agita da laici, assume una connotazione sacrale e, quindi, una valenza cerimoniale di tipo religioso; dove il "religioso" dev'essere assunto nella sua più ampia accezione. Caratteri che, specie di queste forme di parentela extraliturgica, ne rimarcano il valore di legame profondo e vincolante, valido per tutta la vita. Legame che, in un recente passato, era addirittura trasmesso come una sorta di lascito concreto e non solo morale e normativo a figli e nipoti.

2 - In tutti i centri in cui ho condotto questa ed altre ricerche (Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia), il Sangiovanni, com'è definito estensivamente qualsiasi rapporto di comparatico liturgico ed extraliturgico, è un istituto culturale, una sorta di vero contratto interindividuale, dal quale è molto difficile sottrarsi, che si deve rispettare fino alla settima generazione[8]; anche se negli ultimi anni questa norma, pur ricordata, è svuotata di senso.

Ogni cerimoniale è collegato a riferimenti del culto cristiano-cattolico, sia pure nella semplice citazione verbale o gestuale: formule, filastrocche, canzoncine o semplice pronuncia di nomi di santi, segni di croce, collegamento con tempi e luoghi di culto.

Alcuni legami sono contratti in operazioni relative alla primissima infanzia: lavaggio della cuffia[9], delle fasce, primo taglio delle unghie, dei capelli[10], oppure attraverso rituali mitico-terapeutici. Esemplare, a riguardo, quanto attiene alla "passata" (attraversamento di un vegetale selvatico nella terapia relativa all'ernia infantile)[11] ed alle sue trasformazioni contemporanee[12]. Altri comparatici sono contratti nella ricorrenza di alcune feste: Annunciazione (che in Basilicata e in Puglia è spesso connessa alla "passata"), S.Giovanni Battista, o di altri santi localmente importanti. Altri ancora sono stabiliti per definire e consacrare rapporti amicali, di colleganza generazionale, di affinità lavorativa, di affidamento protettivo, di comune partecipazione ad un medesimo percorso esperienziale (pellegrinaggio, emigrazione, guerra, servizio militare, detenzione, degenza in ospedale, etc.)[13].

In questo panorama folclorico, un interessante posto è occupato da quei cerimoniali in cui i principali o unici attori dell'azione sono i bambini[14], di entrambi i sessi, oppure solo femmine, come nel caso del "Battesimo delle bambole" nella forma in cui è ancora attivo a Barile.

Questa forma di comparatico infantile è particolarmente interessante perché è realizzato con l'impiego di una bambola. E' questo un oggetto di grande implicazione culturale il cui senso ed uso si manifesta nella sua duplicità in un contesto ancora a forte valenza mitico-rituale, quale è quello del centro agricolo in cui questo cerimoniale si è mantenuto ed è stato rilevato.

La presenza della bambola, in questo come in altri riti relativi alla cerimonia in cui è contratto il vincolo para-parentale del Sangiovanni, si presta a molteplici interpretazioni che la collegherebbero ad antichi riti agrari di rinascita. Ma di questi riti non è giunto il mito specifico che darebbe il senso peculiare delle varie azioni in cui questo simulacro è presente[15]. Certo è che la scadenza calendariale del 24 giugno, a ridosso del solstizio d'estate, che non a caso è stato scelto come giorno in cui far cadere la festività di S.Giovanni Battista, è già in se stesso un elemento molto importante in cui il riferimento agrario ed il sistema mitico-rituale connesso, espressi dai significati dei vari cerimoniali che hanno luogo in questo giorno, come quelli a scopo purificatorio, profilattico, propiziatorio, possono considerarsi coerenti con l'uso cerimoniale della bambola come simulacro significante e pesante.

Ricordo, a riguardo, che bambole, anche di produzione industriale, ma acquisite ed impiegate proprio perché bambole, sono presenti in altri cerimoniali direttamente connessi a culti ancora riconoscibili nella loro specifica collocazione e provenienza agraria. Come nel caso delle bambole, dette anche "pupe" ovunque nelle regioni meridionali, con cui è raffigurata Quaresima con le sette figlie, attualmente confezionate con giocattoli di produzione industriale (come direttamente rilevato in alcuni centri lucani), o le bambole del grano, nei rituali della mietitura, ancora allestite fino alla prima metà del secolo scorso, anche in Italia, nelle regioni centro-settentrionali. Bambole, poi, e sempre di produzione industriale, sono bruciate a Toro (Campobasso) nei falò dedicati a s. Antonio di Padova il 13 giugno[16].

3 - L'uso di questo tipo di bambole, ormai molto spesso di plastica, è indicativo del fatto che l'oggetto sia assunto per il suo valore e la sua funzione rappresentativa. Anche questa bambola, chiaramente prodotta come giocattolo, è funzionale e significativa in quanto simulacro, ancor prima che oggetto puramente ludico. La forma e la modalità di confezionamento sono trascurate, o quanto meno risultano poco rilevanti; mentre sono considerati elementi che, secondo un'osservazione esterna e superficiale, dovrebbero condizionare negativamente il cerimoniale rappresentando una fase di decadimento. Il fatto è che il simulacro, la bambola, il "pupo", nella sua funzione rappresentativa e realistica è più forte del linguaggio e della forma con cui è presentata ed utilizzata cerimonialmente, ancora oggi, in quanto simulacro. Ed in questa e per questa natura di rappresentazione a valenza sacrale, una bambola, oppure un manichino a forma antropomorfa, era legata agli alberi di Maggio. Ed è sempre una bambola, e per giunta di produzione industriale, quella che solo qualche anno fa ho visto legata, in più esemplari ai capofilari di alcune vigne nei pressi di Orvieto. Chiaramente in questo caso affiora più evidente il significato apotropaico conferito ad un simulacro, che "guarda" verso l'esterno in atteggiamento di vigilanza contro un sempre possibile influsso negativo, che impedirebbe la crescita della vigna e dei suoi frutti.

Altre bambole, confezionate in pasta di pane dolce, sono date alle bambine a Pasqua, in genere dalle comari di Battesimo o di altro genere, secondo una consuetudine ancora attiva nel Sud, in particolare in Basilicata[17] e in Calabria[18].

Il senso della funzione cerimoniale della bambola, a Barile, si mantiene derivando la legittimazione della sua presenza operativa dallo stesso cerimoniale relativo alla definizione del legame del comparatico. Il quale a sua volta è direttamente correlato proprio con il ciclo rigenerativo, umano, animale e vegetale. Non a caso in altre forme di comparatico, il tramite cerimoniale è costituito da erbe particolari raccolte la notte della vigilia. Il mito originario è perso, forse; sempre che ci sia stato direttamente riferito alla bambola ed in forma autonoma, per esempio, da quelle costruzioni cerimoniali che in Sardegna sono dette nenneri (manufatti in genere aniconici, a volte anche a riferimento antropomorfo). Manufatti che nella loro struttura e forma richiamano proprio un pupo in fasce. Ma il senso della presenza della bambola, che qui interessa in maniera specifica, quale simulacro rituale, le deriva, ormai, dallo stesso rituale che ne stabilisce il ruolo di strumento cerimoniale. Il tutto come in un gioco di specchi nel quale si inserisce, non senza peso, anche il significato e la funzione di giocattolo assunto per ultimo, che non sostituisce ma ribadisce, con una nuova forma lessicale, il significato e la connotazione mitico-rituale originari. Forse perduti, più credibilmente trasformatisi nelle forme rappresentative attuali o quanto meno, così come sono state documentate ancora attive nel secolo scorso, quei miti ora sono impliciti nelle risultanti delle stratificazioni e sovrapposizioni dei simili rituali di passaggio, complessivamente intesi, nella riproposizione e ripostulazione cristiano-cattolica.

La "bambola" è l'oggetto centrale e formalmente giustificativo dell'azione in cui viene mimato il Battesimo reale; sia pure, nella forma più avanti descritta, espressa con azioni sganciate da quelle sacramentali ed eclesiastiche, per il cui tramite è operata la nascita sociale e culturale del nuovo individuo: il neonato vero, in carne ed ossa[19].

Nel caso della bambola e delle bambine che celebrano il rituale, è importante ricordare che mi riferisco alla forma così come è stata osservata oggi. L'una e le altre sono poste ambiguamente fra il gioco e il cerimoniale infantile, in cui è imitata un'azione, per cui la bambola e le bambine si possono configurare come simulacri realistici di un'azione reale. La cui ripetizione è comunque efficace sul piano, per esempio, della contraibilità del legame di parentela spirituale che il battesimo liturgico stabilisce fra le diverse parti, ed in particolare fra adulti, genitori e compari, e bambino.

La bambola, contemporaneamente giocattolo (in quanto tale è utilizzata) ed oggetto rituale (è anche centro essenziale del cerimoniale infantile), manifesta le valenze dei significati e delle funzioni che può veicolare proprio nella sua particolarità di bambola, intesa in senso lato, cioè di simulacro umano[20].

La sua assunzione a livello ludico, in quanto giocattolo, e la sua assunzione come oggetto cerimoniale, si saldano entro un rituale che ha una precipua valenza di iniziazione e di passaggio. Il carattere di rito di "passaggio" e la relativa funzione di iniziazione, possono esprimersi proprio attraverso il riferimento realistico alla "bambola", simulacro di un neonato, per il cui tramite le due bambine sono le protagoniste attive del rituale.

Da un lato c'è la bambina che attraverso il battesimo della pupa, che la più grande le affida, viene riconosciuta madre della bambola, della quale deve avere cura come fosse un vero neonato, quindi ancora entro la dimensione infantile di "apprendistato": le bambine giocano con le bambole, imitando le adulte. Dall'altro c'è la bambina, di solito più grande di qualche anno, che cede la bambola alla più piccola della quale diventa "commarella" di san Giovanni, e della quale è anche responsabile. La bambina più grande mostra così il suo distacco dal mondo infantile ed imitativo, entrando in quello degli adulti; cioè entra in una fascia di età in cui è riconosciuta la sua imminente o appena iniziata possibile attività riproduttiva.

Significativo, sul piano dell'analisi demoantropologica, lo scavalcamento della bambola che la bambina più grande compie saltando per tre volte la bambola adagiata a terra[21].

Per quanto ormai cerimonialmente minimo, questo rituale mostra la funzione particolare, in termini di soggiacenza rappresentativa ancora manifesta, di un oggetto attualmente recepito come puro e semplice giocattolo, ma che, tuttavia, può essere ancora correlato, proprio perchè bambola, "pupa", cioè simulacro realisticamente definito, ad un'azione di forte sedimentazione mitico-rituale. Un'azione che diviene fondatrice di relazioni e di vissuti, portatrice di un suo senso specifico, che si definisce proprio in relazione a quello che in questo caso può dirsi lo strumento, il medium rituale per il cui tramite passa la consacrazione e si rende credibile e manifesta l'azione cerimoniale.

4 - Riprendo, con minime integrazioni e variazioni, la descrizione relativa alla rilevazione[22] del 1983, con l'aggiunta di alcune puntualizzazioni ed approfondimenti scaturiti dalla seconda osservazione[23] effettuata nel 1986. Qui seguo essenzialmente quanto osservato nella prima rilevazione, allorché il cerimoniale si è svolto liberamente ed ho potuto seguirlo senza creare alcuna soggezione[24].

Nel pomeriggio del giorno di san Giovanni Battista, un gruppetto di bambine, tra i sette i dodici-tredici anni, accompagnate da alcune madri, qualche ragazza ed un paio di donne anziane, affluisce all'interno del recinto della stazione ferroviaria di Barile. Tutte le persone del gruppo, adulte e bambine, vestono abiti quotidiani[25].

La stazione delle Ferrovie dello Stato, sulla tratta Potenza-Melfi, si trova nella parte alta ed ormai interamente assorbita nella periferia del paese. Per la sua costruzione, alla fine del secolo scorso, è stata spianata una parte della collina su cui sorgeva la cappella campestre dedicata a san Pietro[26], che alcuni anziani ancora ricordano come il luogo deputato alla celebrazione del rituale. Il gruppo si ferma vicino ad un deposito in muratura poggiato su una base più larga e rialzata nella quale vi sono alcuni gradini di pietra.

Le bambine fanno corona intorno ad una donna non maritata che ricorda loro il da farsi per realizzare la piccola cerimonia, e che le invita a formare le coppie precedentemente stabilite. Mentre la donna parla, le bambine già prescelte per fare le commari danno alle bambine madri la bambola che, fino a quel momento, si sono passate più volte.

Le bambole, come in seguito ho rilevato, dovrebbero essere portate nello spiazzo della stazione dalle bambine invitate a fare la commare. Questo però non accade, perché le bambine più grandi si vergognano di mostrarsi per la strada con la bambole fra le braccia: le prendono solo appena arrivate nello spiazzo antistante il deposito della stazione, dove, dopo averci giocato un po', le consegnano alle rispettive bambine che le hanno scelte come madrine.

Le bambine (rilevazione del 1983) formano sei coppie; due sono formate da una più piccola ed una più grande; le altre quattro da bambine più grandi, quasi coetanee, di dodici e tredici anni. Nelle prime due coppie la bambina più piccola regge la bambola; nelle altre la bambola è tenuta dalla bambina che non ha ancora avuto il menarca[27].

Tutte le bambole sono tenute in braccio così come è presentato alla fonte battesimale un maschio, cioè con la testa poggiata sul braccio sinistro. Le bambine si riferiscono alla bambola indicandola sempre come il loro "figlio", in aderenza all'idea comune, ancora fortemente radicata, che un maschio, specie se primogenito, è non solo bene accetto, ma dà onore e maggior ruolo alla madre.

Delle sei bambole tre sono giocattoli prodotti industrialmente; le altre tre sono confezionate apposta per la circostanza. Queste ultime sono realizzate avvolgendo pannolini e fasce, vere, per neonato intorno ad un mestolo di ferro smaltato. La testa della bambola è ottenuta dalla calotta sferica del mestolo riempita di pezzuole ed avvolta da un panno bianco, su cui è sommariamente disegnato il viso. Cuffiette di lana, camiciole, magliettine, bavaglini, coprifasce e sacchetti porta infante, tutti veri, completano l'abbigliamento e danno forma alle bambole. Una è vestita interamente di bianco, una ha il bavaglino rosa, l'altra una maglietta celeste.

A turno le bambine madri depongono a terra con delicatezza le "pupe", collocandole sotto il primo gradino della scala di pietra. La bambina indicata come madrina sale sul gradino da dove salta scavalcando la bambola. Il salto è ripetuto tre volte ed ogni volta, prima di saltare, la bambina recita, cantilenandola, la formula: Pupa di San Giuanne / battizzame 'sti panni / sti panni so' battezzati / tutte cummari sime chiamate[28].

La bambina che ha saltato, quindi la madrina, raccoglie la bambola e la bacia; poi bacia la bambina madre riconsegnandole la bambola "figlio".

Alla fine due donne anziane, utilizzando una delle bambole fatte con il mestolo e le fasce, ripetono con identica serietà tutto quanto già fatto e detto dalle piccole.

Da questo momento in poi le bambine di ciascuna coppia e le due anziane sono legate fra loro dal vincolo del comparatico di S.Giovanni. Si instaura così un legame profondo che le contraenti si impegnano a rispettare sempre, anche da adulte.

Le due donne anziane, interrogate successivamente a riguardo, hanno detto che, compiendo il piccolo cerimoniale, anch'esse hanno voluto stabilire il vincolo del comparatico di S.Giovanni perché sono amiche e vicine di casa.

Da una successiva indagine è scaturito che non è raro che ogni anno, ma solo negli ultimi decenni, vi sia qualche coppia di donne anziane che ripeta alla fine del cerimoniale infantile, lo scavalcamento delle bambole. Il fenomeno è riscontrabile in specie fra vedove e donne sole, con figli sposati o residenti altrove, spesso più volte nonne. La loro partecipazione provoca sempre ilarità ed attenzione fra le bambine, che accettano la presenza delle anziane con le quali, però, non vi hanno alcuna forma di interrelazione, se non limitatamente al prestito della bambola.

L'ilarità è causata dal fatto che le donne anziane imitino e ripetano in tutto il comportamento e le azioni delle bambine, compresa la formula cantilenata ed il modo con cui maneggiano le pupattole, come se si trattasse di neonati in carne ed ossa. Il loro atteggiamento contribuisce a dare e confermare una sorta di riconoscimento realistico alla presenza ed alla funzione rituale della pupattola.

Dopo la breve cerimonia, le bambine si siedono tutte insieme sullo zoccolo in cui si apre la breve rampa di scale utilizzata per i salti.

Una delle donne che le hanno accompagnate dispone su di un vassoio il contenuto di un pacco di biscotti acquistato per l'occasione. Un bambino, finora rimasto in disparte, gira col vassoio. Ogni bambina "madre" prende un biscotto per sé ed uno per la bambola che "nutre" sbriciolandoglielo sulla bocca. In quest'operazione alimentare, reale e ludico-imitativa in cui bambine e bambole sono accomunate dallo stesso gesto dell'alimentazione, intervengono anche le rispettive commarelle, madrine delle bambole e delle bambine cui hanno affidato la loro "pupa".

All'interno del gruppo, per tutta la durata della cerimonia, così come nelle fasi preparatorie e di chiusura, il maggior centro di attenzione si rivela la presenza delle pupattole confezionate con le fasce da neonato avvolte intorno al mestolo. Due madri, messe da parte le bambole giocattolo di produzione commerciale, hanno voluto che le loro figlie ripetessero il cerimoniale utilizzando una delle bambole fatte con le fasce, ritenendole più adatte. Si sono rammaricate - come hanno spiegato - che ormai non vi siano più fasce per neonato disponibili, così come, invece, era in passato, allorquando anche loro eseguirono lo stesso cerimoniale, nel medesimo posto e saltando dallo stesso gradino di pietra.

Uno dei motivi per cui le pupattole fatte con le fasce sono preferite alla bambole commerciali, che per quanto più curate e rifinite sono dichiaratamente dei giocattoli, è perché, per le dimensioni e per l'abbigliamento, sembrano dei neonati veri. A questo motivo, che si inquadra in una sorta di adesione realistica fra l'oggetto rappresentato (un bambino), i materiali utilizzati per la raffigurazione (indumenti da neonato: fasce, cuffiette, ecc) e l'azione cerimoniale che imita e ripropone le relazioni che si stabiliscono attraverso un vero rituale (battesimo e relativo comparatico), va aggiunta la maggiore consapevolezza, diffusa in ambiti culturali sempre più ampi, del valore di tutto quanto concretamente si riferisca al passato.

Ogni riferimento, specialmente se presentato in oggetto, in manufatto cui è legato un comportamento, un'azione specifica, viene acquisito come attestazione di modi di vivere che nella memoria, anche a breve intervallo, possono essere rivissuti e recepiti, oggi, in forma prevalentemente contrastiva ed idealizzata, come più "autentici", più ricchi di implicazioni sociali.

Questo processo di riappropriazione della memoria inizia a prendere corpo lì dove la connotazione della condizione esistenziale attuale ha bisogno di integrarsi con l'immagine del passato, la cui riproposizione e reinvenzione giuoca il ruolo di rifondazione mitica, ambiguamente vissuta come realtà, dalla quale bisogna necessariamente distaccarsi. L'immagine di rielaborazione urbana e moderna della cultura tradizionale e delle sue forme più edulcorate, assunte comunque a posteriori, è osservata e ripensata nei suoi aspetti migliori e più gradevoli; come è, appunto, tutto ciò che è legato ad una dimensione familiare. Viene elaborata, cioè, un'immagine di sé e di appartenenza culturale determinate da una nuova sensibilità verso il dato esperienziale individuale, familiare e di gruppo. Il tutto è concepito come direttamente dipendente dalla riassunzione di ruolo e di senso di oggetti e di comportamenti che, nell'attuale accettazione del vissuto culturale locale, integrano e risarciscono i vuoti formatisi nel processo di modernizzazione.

Le pupattole confezionate con le fasce per neonato, anzi le stesse fasce diventano oggetti latori di una storia, individuale, familiare e paesana, di cui non si riesce a possedere direttamente altro connotato se non quello assunto attraverso gli avvenimenti privati e personali. Una storia minuta della quale non viene recepito il senso ed il flusso complessivo, ma quello legato ad una visione di eventi ed azioni la cui citazione conferisce ruolo ed identità a chi è in grado di esibire siffatti documenti della memoria familiare. E questo si compie ad imitazione di un atteggiamento urbano, risultato di un capillare processo di omogenizzazione acculturativa, assimilato con la scolarizzazione ed i mass-media. Diviene così rilevante tutto ciò che, rimandando ad aspetti ed immagini del passato, sia proponibile come esemplificazione, per esempio, di particolare capacità produttiva (in questo caso relativa alla tessitura) o di eventi utilizzabili sul piano turistico; come rilevato, proprio a Barile, in riferimento alla sacra rappresentazione della Passione[29], proposta come richiamo atto alla valorizzazione dell'immagine e dell'economia del paese, in cui si riconoscono e si saldano le varie componenti sociali, culturali e politiche.

5 - La cerimonia del "Battesimo delle bambole" si svolge in questa forma e modalità fin dagli inizi del 1900, stando a quanto trasmesso dalla tradizione orale raccolta in loco[30]. Nel secolo precedente, invece, il cerimoniale era realizzato da una bambina "madre" della bambola ed una coppia di bambini, un maschio ed una femmina scelti sul posto, i quali tenendosi per mano scavalcavano a pie' pari le “pupattole ravvolte tra le fasce” adagiate per terra nello spiazzo antistante la cappella di San Pietro.

Di questo cerimoniale esiste solo una descrizione pubblicata nel 1889 da Angelo Bozza, sistematicamente ripetuta e ripubblicata anche negli ultimi anni dai folcloristi locali che l'hanno riproposta così com'era stata descritta dallo storico locale, senza curarsi di controllare se l'azione fosse attiva o avesse subito trasformazioni.

Questa la descrizione di Angelo Bozza, contenuta in un libro sulla storia del paese, che vale la pena di riproporre per i particolari elementi folclorici contenuti[31]:

“Nel giorno di S.Giovanni (24 giugno) una graziosa cerimonia avviene innanzi alla cappella, che presenta spettacolo piacevole ed interessante. Muovono dall'abitato, al rinfrescar dell'ora, gran numero di fanciulli e fanciulle, che da più vie risalgono la collina e vanno alla chiesetta. Vestiti dei migliori abiti, ed accompagnate da qualcuno dei familiari; le fanciulle recano fra le braccia delle pupattole ravvolte tra le fasce. Pervenuti allo spiazzo di san Pietro, le fanciulle scelgono a vicenda il compare e la comare, e gli invitano a battezzare i loro neonati. Allora in ogni piccolo crocchio, la fanciulla madre posa dolcemente a terra il suo pargoletto, ed i due comparelli tenendosi per mano, lo saltano per di sopra tre volte a pie' pari pronunciando la seguente formola […]: Pup' d' San Giuann / Battezzam' sti pann' / Sti pann' sò bbattezzat' / Tutt' cumpar' sim' chiamat'[32].

La cerimonia e la scena si chiude in ciascun gruppo con una merenda sull'erba”.

Da un primo confronto fra la cerimonia osservata e descritta nel 1983 e quella descritta da Bozza nel 1889, si rilevano alcune importanti differenze e trasformazioni che hanno inciso sul senso e destinazione rituale del cerimoniale.

La prima riguarda il luogo, che tuttavia, anche se la cappella non esiste più, rimane lo stesso; sia pure idealmente, in quanto, come mi hanno riferito, il capannone della stazione si troverebbe più o meno sulla stessa verticale. Ma anche se questa fosse una considerazione inventata a posteriori, certo è che lo spazio in cui le bambine si recano effettivamente è stato ottenuto con lo sbancamento di una parte della collina che in passato ospitava la cappella.

Un'altra differenza importante riguarda il sesso ed il numero dei protagonisti. Angelo Bozza parla di coppie di bambini e bambine che diventano compari, fra loro e con la bambina "madre" della bambola. Mentre nella cerimonia osservata direttamente e da quanto appreso dalle informatrici locali, il battesimo delle bambole è realizzato solamente da bambine. Le informatrici, nel corso delle due rilevazioni, mi hanno riferito che è sempre stato così, cioè come osservato nel 1983, a memoria loro e delle loro nonne; il che significa che si risale fino agli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Il battesimo delle bambole, nella forma documentata da Angelo Bozza, richiama separatamente per alcuni elementi cerimoniali in essa contenuti, alcuni elementi presenti in cerimoniali simili, ma tra loro distinti, che avevano luogo in Sardegna, sempre in occasione della ricorrenza di S.Giovanni Battista. Mi riferisco alla presenza di una bambola o fantoccio confezionato appositamente, documentato ai primi dell'Ottocento, ad Ozieri, ma anche, in seguito, in altri centri, come a Monserrato e a Sestu[33]; mentre molto più diffusi sono i nenneri o erme, che comunque ci interessano perché quasi sempre confezionati e "vestiti" come bambini in fasce (in alcuni esempi sono utilizzate vere fasce da neonato) e scambiati fra i contraenti il vincolo di comparatico. In alcuni casi i fantocci sono lanciati nel fuoco o seppelliti. Chiaramente il nesso con rituali di connotazione e destinazione specificamente agraria sono ben evidenti ed espliciti.

Ma oltre questa caratteristica, quello che ha un valore rituale anch'esso di tipo agrario, è il saltare in coppia sulla bambola. Questa specifica azione pare del tutto assente o quanto meno non rilevata allorché di tali rituali di comparatico viene data notizia nelle rilevazioni e descrizioni della fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento. Al posto della bambola, poggiata per terra e scavalcata da una coppia di bambini, come nel rituale della Barile, la coppia, non di bambini ma di giovani, salta il fuoco tenendosi per mano, stabilendo così, come rilevato in alcuni casi, una sorta di promessa di futuro matrimonio. Così in una descrizione pubblicata nel 1893 riferita a Nule (Sassari)[34] e ripresa nel 1932, riferita alla Gallura[35].

In entrambi gli esempi è rilevante che il falò sia allestito utilizzando erbe aromatiche e particolari, compreso il puleggio, tutte indicate come erbe di S.Giovanni. Questo è un particolare interessante considerando il fatto che, in alcuni esempi lucani e calabresi che richiamo più avanti, la bambola utilizzata nel relativo cerimoniale del suo battesimo nel giorno di S.Giovanni è confezionata, vestendo con gli autentici panni di un neonato, due fasci di puleggio legati in croce. Con questo non intendo dire che i cerimoniali calabresi, lucani e sardi siano connessi fra loro in maniera sovrapponibile. E' un fatto, comunque, che alcuni elementi fortemente significanti e caratterizzanti il rituale del comparatico di S.Giovanni, siano comuni e simili. Anche se si presentano in articolazioni formali e procedurali diverse, il loro senso e significato, in una complessiva analisi demoantropologica, risulta del tutto simile se non addirittura equivalente, ovviamente, entro le diversificazioni contestuali specifiche di ciascuna area culturale.

Questa differenza, relativa anche alle varie trasformazioni subite dal cerimoniale esaminato, può essere compresa se vista in relazione con altri analoghi cerimoniali in cui i protagonisti possono essere, indifferentemente, sia di entrambi i sessi, sia del medesimo sesso, ed anche adulti, come documentato in Calabria.

Sulla scomparsa totale del piccolo compare maschio nella cerimonia di Barile (anche nella cantilena il termine compari, comprensivo di maschio e femmina, diviene commari) si possono avanzare alcune ipotesi. Una può essere direttamente connessa alla caduta dello specifico senso rituale dell'azione, di cui oggi sopravanza solo la manifestazione cerimoniale, gestita quasi unicamente e direttamente dalle bambine. La caduta del significato rituale più complessivo dell'azione può dipendere certamente anche dalla scomparsa della cappella di S.Pietro, dinanzi alla quale il rituale era compiuto ed anche collegato: la sacralità del luogo si riverberava sulle adiacenze, sacralizzando il rituale infantile che lì si svolgeva.

La perdita del valore rituale e di quanto esso comportava nella costituzione di legami paraparentali extraliturgici fra le famiglie, ora ridotto a poco più di un'azione ludica, è uno dei portati della modernità e del relativo abbandono delle pratiche e delle usanze tradizionali. Pratiche ed usanze erano attivamente legate a schemi e forme organizzative e sociali sempre meno assumibili come valori e riferimenti esistenziali in comunità fortemente segnate da spinte disgregative, di dispersione e di omologazione a modelli urbani. Una di queste spinte, senza dubbio, è stata quella dell'emigrazione che fra Otto e Novecento, in Basilicata, come nelle altre regioni meridionali, ha raggiunto il massimo storico, gravando proprio sulla presenza maschile, rendendo, tra l'altro, meno praticabile e credibile un legame stipulato fra bambini.

Il decadimento del significato e del senso rituale, implicante un atteggiamento più scopertamente di tipo festivo, è anche evidenziato dalle modalità e dal tono, quasi dimesso e confidenziale con cui il "Battesimo delle bambole" è realizzato negli anni in cui ho potuto documentarlo; ma anche da quanto si deduce dalle testimonianze relative ai decenni precedenti. In questi anni, cioè dagli ultimi dell'Ottocento ai primi del Novecento, e quindi dopo la demolizione della cappella di san Pietro e lo sbancamento della collina per la costruzione della tratta ferroviaria Potenza-Melfi, le piccole celebranti il rito del comparatico delle "pupe", vestono gli abiti di ogni giorno.

Un altro motivo, che però può essere relativo agli ultimi decenni prima della rilevazione del 1983, potrebbe essere collegato con la progressiva scomparsa dell'uso delle fasce per i neonati: elementi indispensabili per confezionare "pupe" realisticamente assumibili come simulacri di bambini da battezzare. Indicativo, a riguardo, il comportamento di quella madre che ha fatto ripetere alla figlia il cerimoniale, utilizzando la bambola confezionata con vere fasce da neonato, perché fosse più significativo.

A queste ipotesi va aggiunto anche che uno dei fattori disgregativi e causa di scollamento fra cultura tradizionale locale e cultura ufficiale nazionale (mi riferisco agli anni antecedenti il mio intervento a Barile), è stata proprio la maggiore scolarizzazione, non esclusa la maggiore diffusione dei mezzi di comunicazione. Tutto ciò ha portato nuovi riferimenti socio-culturali e l'irrigidimento dei comportamenti e delle attività di interrelazione personale e del loro controllo, spesso attuato proprio dalla Chiesa, la quale ha sempre cercato di sopprimere o di scoraggiare pratiche come quelle del battesimo extraliturgico, tanto più se mimato con fantocci. A questo va aggiunta la sempre maggiore diffusione di bambole di produzione industriale, la cui conformazione e fattezze evocano più l'immagine di donne e di adolescenti. Si è trattato di bambole che proponevano un’immagine di donna "cittadina", sempre più ambita; tanto che negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo appena trascorso, i rigattieri ambulanti scambiavano oggetti di rame, lana, anticaglie e quant'altro, con bambole, che finivano ad ornare letti e divani[36].

Anche queste trasformazioni hanno contribuito a che questo cerimoniale divenisse sempre meno significativo.

6 - Il comparatico della bambola, nella forma vista a Barile, era presente anche in altri centri della Basilicata. Ad Albano di Lucania (Potenza) il cerimoniale, non più attivo da alcuni decenni, doveva essere simile a quello di Barile, ma spostato al giorno della festa dell'Annunziata e nei pressi dell'omonima cappella campestre[37].

Un cerimoniale analogo, in cui compare l'utilizzazione del puleggio[38] (detto "erba di S.Giovanni"), doveva essere quello episodicamente ancora attivo agli inizi del secolo appena trascorso a Noepoli (Potenza) dove le "pupe" erano realizzate con fasce e stracci avvolti intorno a rametti di puleggio[39]. A Castronuovo S.Andrea (Potenza) una ultracentenaria mi ha riferito di un "pupo" fatto con rametti di puleggio legati in croce e fasciato come un neonato[40]. Il "pupo" era confezionato dalla madre o da qualche sorella maggiore di una di loro. Il giorno di S.Giovanni il "pupo" era portato in chiesa da alcune bambine che, di nascosto, perché contro la proibizione del parroco, ne immergevano la testa nell'acquasantiera recitando una strofetta (dimenticata dall'informatrice). La cerimonia si concludeva con un piccolo festino a base di frutta secca[41] consumata per strada, davanti alla porta di casa.

I documenti raccolti in Basilicata sono simili a quelli rilevati in Calabria, dove questa forma di comparatico, in cui è utilizzata una bambola variamente ed espressamente confezionata allo scopo, sembra sia stata piuttosto diffusa, come risulta dalla saggistica di interesse folclorico apparsa alla fine dell'Ottocento[42], negli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso[43].

Interessante la cerimonia rilevata a Sartano nel 1955 e descritta da Holger Rasmussen [44]. Due adolescenti il giorno di S.Giovanni, diventavano comari di pulejo battezzando una bambola, fatta con puleggio e pannolini da neonato, che entrambe dondolavano stringendosi i mignoli della destra e recitando una cantilena.

Un cerimoniale simile, ma con bambole di stracci e pannolini, è attivo in quegli stessi anni ad Oppido Mamertina e a Cellara; una ventina d'anni dopo è rilevato ad Amantea[45] e negli anni Ottanta a Firmo[46]. Sempre negli anni Ottanta, a Laino Borgo ed Albidona è ricordato, ma come non più attivo, un analogo cerimoniale in cui erano utilizzate bambole di puleggio[47], come attestato per il passato a Crotone (con adulti nel 1896), a Gioia Tauro, nella Locride[48] ed in altri centri della Calabria[49].

Il cerimoniale osservato a Barile e la sua trasformazione, le testimonianze rilevate negli altri centri lucani e la documentazione calabrese hanno assunto una specificità non solo in riferimento alle classi di età dei protagonisti, bambini e adolescenti, ma anche per il fatto che ovunque le bambine siano diventate le uniche attrici del cerimoniale. Altra documentazione importante è stata raccolta in Sicilia[50] alla fine del secolo scorso su alcuni cerimoniali del tutto analoghi a quelli prima ricordati. In tutti, al centro dell'azione drammatica, vi erano sempre bambini e soprattutto bambine. Il centro di quelle azioni era costituito da bambole, fantocci e "pupe", il cui uso era non direttamente o quanto meno non solamente ludico, ma fortemente connotato da componenti e comportamenti di tipo rituale.

Da un veloce confronto dei documenti relativi a questo cerimoniale infantile si può rilevare subito una prima differenza circa i materiali utilizzati per confezionare proprio l'oggetto bambola. In Basilicata ed in Calabria, la pupa, sempre indicata come maschio, è realizzata con fasce e stracci o con rametti di puleggio. In Sicilia orientale le bambole, utilizzate in cerimoniali analoghi, sono confezionate con fasce, stracci e vestite come neonati, ma con la testa fatta, come riferisce Pitré[51], “invariabilmente” con un limone, come a Modica, oppure con una mela, come a Malta[52]. Ad Augusta e centri vicini, la bambola, anche qui detta pupo di S.Giovanni, aveva la testa di pasta dolce ed il corpo di una canna avvolta da pannolini. Anche in Sicilia il battesimo delle bambole era realizzato prevalentemente da bambine (Modica); oppure il compare era un bambino (Augusta)[53]; si svolgeva in chiesa, dove era tollerato, e si concludeva con un ricevimento danzante.

7 - In tutti questi cerimoniali l'oggetto centrale e giustificativo dell'intero rituale è costituito da un tertium materiale: la bambola. Essa è il nucleo simbolico-rappresentativo del cerimoniale nelle molteplici varianti e modificazioni con cui si è trasmesso. Il ruolo specifico di conferitore di senso di questo tertium materiale può essere assunto come uno dei principali temi conduttori della ricerca, per il cui tramite è possibile proporre un orientamento interpretativo che qui accenno solamente.

Su questo cerimoniale e sull'uso delle bambole, così come appaiono oggi, vi sono alcuni riscontri storici, riguardanti direttamente la Sicilia e la Calabria. Nel sinodo di Mazzara del 1575 è condannata la consuetudine, attiva nella festa di S.Giovanni, di battezzare le bambole, (pupas et puellares imagines [54])  di cui non è indicato il materiale, assimilata alle altre pratiche superstiziose della notte del 24 giugno.

Un'altra condanna è nel sinodo di Cosenza del 1737, che fa esplicito riferimento a pupattole confezionate con erbe e pannolini, al loro battesimo celebrato in chiesa ed al comparatico così contratto[55]. In questi sinodi è condannata la consuetudine molto antica, ancora oggi profondamente radicata nella cultura tradizionale, di consacrare e rendere cristiane, quindi più potenti ed efficaci con il battesimo o la semplice benedizione, le erbe raccolte la notte di S.Giovanni utili alle pratiche magico-terapeutiche, apotropaiche e divinatorie. La stessa azione contro queste forme di parentela extraliturgica e le varie implicazioni morali e comportamentali che implicavano, è condotta dai vescovi sardi, attraverso una serie di proibizioni espresse nei locali sinodi[56].

La richiesta del battesimo delle erbe con cui veniva contratto il comparatico la notte o il giorno della festa di S.Giovanni, era una pratica ovunque molto diffusa nei secoli passati e precedenti quelli dei sinodi prima ricordati. Per l'Italia è di grande interesse un sermone pronunciato da Atton, Vescovo di Vercelli, agli inizi del x secolo, nel quale è condannata “l'insana superstizione di battezzare erbe e fronde e, quindi, chiamarsi compari e commari”[57]. In questo sermone vi è quella che, forse, è la prima attestazione del cerimoniale che in seguito diventa il battesimo delle bambole, almeno nella forma riferita nel sinodo di Cosenza del 1737 e nelle pratiche contemporanee prima descritte, in cui compaiono pupattole confezionate con puleggio. Questa pratica, tuttavia non cessa; infatti la sua condanna è documentata in molti altri sinodi e sacre visite, in cui si parla di benedizioni delle erbe, richieste ai parroci e da questi elargite a S.Giovanni[58] o alle Rogazioni[59], al fine di utilizzarle per attività terapeutiche, ad uso umano, animale ed agrario, e contro temporali ed altre calamità, inclusa l'azione delle streghe[60].

Questa pratica, per quanto proibita ufficialmente, non è mai stata soppressa, tanto che, per esempio, in molti centri umbri, come direttamente osservato a Grello (Perugia), il parroco ancora oggi benedice la "guazza di S.Giovanni" (fiori campestri e acqua) prima che sia distribuita ai fedeli[61].

Il senso complessivo di questi rituali si definisce meglio se colleghiamo la bambola, utilizzata in questi cerimoniali di S.Giovanni, ad un altro oggetto, ugualmente proponibile come tertium materiale, costituito da ciò che in Sardegna è detto nenneri[62] e lavuri in Sicilia (vasi di semi di frumento e legumi germogliati al buio), o dai vasi di basilico o da cetrioli adornati anche di gioielli[63], come lo erano i pupi di Crotone, o dai vari ramagletti calabresi. Tutti più o meno connessi ai cosiddetti "giardini di Adone"; così come sono stati documentati nelle altre regioni meridionali, Basilicata inclusa, realizzati anche nel ciclo della Passione. Si tratta di costruzioni rituali di vegetali in forma aniconica (nenneri, lavuri) o antropomorfa (pupi e bambole) collegate sempre a cerimoniali volti alla loro sacralizzazione, per il cui tramite veniva contratta una relazione para parentale che la chiesa ufficiale ha sempre condannato, come attestato nei sinodi delle diocesi meridionali.

Il battesimo delle bambole, in quanto azione rituale extraliturgica, e la stessa bambola nelle sue varie modalità e forme, possono essere visti come elementi suscettibili di adattamento all'interno di un processo di trasformazione e di occultamento della raccolta delle erbe, secondo pratiche volte a potenziarne la capacità magico-terapeutica, particolarmente attiva la notte di S.Giovanni come la notte di Natale. A queste, poi, vanno aggiunte le considerazioni relative, per esempio, all'affermarsi dal xv secolo del culto per il "Bambino", la cui immagine divenne oggetto di culto a sé, favorito dai francescani dell'osservanza[64]; culto che per certi aspetti si è mantenuto attivo, sia pure attraverso una fissione iconografica specifica non sempre ben accettato dalla chiesa ufficiale. Penso anche ai santini[65], alla statuetta di cera del Bambino Gesù, in fasce conservato in casa.

Ma oltre ai molteplici significati ancora proponibili con una più articolata interpretazione demo-antropologica, storico-religiosa e delle forme devozionali, che evidenzi il pupo come simulacro generico o come "bebé", nell'economia di questo intervento è importante evidenziare, per ora, il ruolo centrale assunto dai bambini ed in maniera specifica alle bambine cui è stato ambiguamente circoscritto il possesso e l'uso di bambole in specifiche azioni rituali.

Attraverso il "Battesimo della bambola", sia pure nelle forme in cui prevale l'aspetto ludico su quello rituale (come rilevato a Cassano Ionico[66] o in alcuni centri del Molise[67]), e con tutto quanto implicito nel significato polisemico e polifunzionale dell'oggetto bambola, si evidenzia una strategia femminile tesa alla definizione di forme di solidarietà e di alleanza che si stabilizzano come istituti culturali fondanti, pur contro le proibizioni ecclesiastiche. E tutto ciò passa con l'azione ludico-rituale che pone in evidenza un oggetto, un giocattolo, divenuto precipuo della condizione infantile femminile.

La bambola è contemporaneamente specchio ambiguo della bambina e della donna. Comunque sia posto, entro un rituale particolare e complesso come quello del Battesimo delle pupe di S.Giovanni o entro una semplice azione ludica, si tratta comunque di oggetti ed azioni a scopo imitativo di quella che è presentata, nella doppia natura delle bambole (specie in quelle moderne e commerciali), come l'attività ed il ruolo principale che le bambine dovranno assolvere nella maturità, nella età fertile della loro vita. Il richiamo e la sollecitazione sono impliciti nel loro giocare alle "commarelle", nel loro saltare e scambiarsi la pupattola come testimone dell'unica solidarietà un tempo possibile.

Il veicolo della trasmissione di queste forme di solidarietà resta in mano alle bambine, pur nella sollecitazione delle madri, che nel battesimo delle bambole, mantengono un tessuto di relazioni autonomo da quello principale gestito soprattutto dagli adulti e dai maschi. Questo è ben visibile a Barile (dove esemplare è l'imitazione fatta da donne anziane) il cui senso e complessità attiene anche al processo inculturativo cui in vario modo, mitico-rituale o laico che sia, afferisce proprio la bambola che è, comunque, una sorta di doppio, di animula della bambina stessa e della rappresentazione del Dio infante; quindi del potere riproduttivo al quale in effetti le bambine e le vecchie si riferiscono per rifondare una solidarietà consacrata dal coinvolgimento di S.Giovanni al quale il gioco-cerimonia è dedicato.

 



[1] Docente di Storia delle tradizioni popolari, Università di Siena

[2] Ripropongo, con diverse modifiche ed aggiunte, quanto già presentato, in forma più ridotta ed in francese col titolo Compàrages enfantins en Italie du Sud. Le "Baptîme de la poupée" a Barile (Basilicate), nel "Colloque de la Societé d'Ethnologie Française et de l'Université de Lille iii et le credo-cnrs": Societés et cultures enfantines, 6-8 novembre 1997, Maison de la Recherche de l'Université de Lille iii, ora pubblicato in: D. Saadi-Mokrane (ed.), Societés et cultures enfantines, Villeneuve d'Ascq, Université de Lille iii, 1999, pp. 251-259. In entrambi ho sviluppato ed utilizzato parte di quanto rilevato nel corso della ricerca sulle forme di comparatico devozionale, terapeutico, extraliturgico, nelle quali i bambini sono presi come protagonisti. La ricerca è stata condotta in Basilicata ed in Calabria settentrionale, a partire del 1980. Alcuni esiti di quella ricerca sono in: Comparatici minimi e comparatico di "passata" in Basilicata e nella Murgia barese, Congresso Internazionale “L'amicizia e le amicizie”, Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, 24-26 novembre, 1983 (estratto), ed in: Pupe di San Giovanni e battesimo di bambole, in “Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera. Rivista di Cultura Lucana”, v, 8, 1984, pp. 29-49. Sull'uso rituale e cerimoniale della bambola nella cultura popolare lucana e di alcuni centri della Puglia (dalla pupa di san Giovanni alle raffigurazioni di Quaresima) è stato centrato l'intervento al seminario La cultura della bambola tenutosi presso il Museo Nazionale delle Arti Tradizioni Popolari di Roma, a conclusione della mostra "Bambole. Tradizioni, costumi, cultura di popoli" tenutasi a Palazzo Barberini dal dicembre 1984 al febbraio 1985. Vedi numero tematico de “La Ricerca Folklorica”, 16, 1987, in cui sono raccolte alcune relazioni.

[3] Su queste forme di comparatico, contratto ufficialmente, ricordo solo: I. Signorini, Padrini e compadri. Un'analisi antropologica della parentela spirituale, Loescher, Torino 1981; B. Palumbo, Madre madrina. Rituale, parentela e identità in un paese del Sannio (San Marco dei Cavoti), Angeli, Milano 1991; M.G.Miller - R.A.Miller, "Mamme, mammane, matrigne," and "Madrine": the role of women in ritual kinship in central Lucania, in “L'Uomo. Società tradizione sviluppo”, vol.xi, 1, 1987, pp. 9-28. In questi studi, così come negli altri non citati, ma relativi a questo argomento, non è preso in esame, né sono prodotti dati di rilevazioni sul campo, quanto attiene proprio al tipo di parentela spirituale contratta attraverso altre forme cerimoniali, che potrebbero dirsi minimali ed extraliturgiche. Ad eccezione dello studio di V.Lanternari, Occidente e Terzo Mondo, Dedalo, Bari 1967, in particolare cap. x, pp. 329-360, e di quanto riportato nella saggistica demologica locale.

[4] A riguardo vedi A. Della Marmora, Viaggio in Sardegna, Vol. i, Ed. it. a cura di M. Brigaglia, Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 1995 (Paris, 1826), p.104; ma cerimonie simili erano piuttosto diffuse in Sardegna fino agli inizi del 1900: C. Rapallo, Il comparatico di san Giovanni in Sardegna: stato della documentazione e prospettive di ricerca, in “BRADS”, 3, 1968-71, pp. 25-37, ed in particolare p. 26; R. Virdis, Nenneri per la settimana santa e per S.Giovanni, ivi, v, 1974, pp. 63-69; M.M. Satta, Riso e pianto nella cultura popolare sarda, Asfodelo, Sassari 1982, pp. 138-139.

[5] In particolare a Crotone: A. Basile, Una usanza tramontata del crotonese: il "pupo" del S.Giovanni, in “Il Folklore della Calabria”, viii, 1-2, 1963, pp. 60-62.

[6] A riguardo rimando a quanto proposto da Domenico A. Conci il quale nel definire tali connotati e caratteri specifici della cultura popolare la definisce del realismo segnico. Vedi D.A. Conci, Il matricidio filosofico occidentale: Parmenide di Elea, in T. Giani Gallino (a cura di), Le Grandi Madri, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 148-159 e in particolare p. 152.

[7] Un legame di comparatico era contratto in nome di S.Giovanni fra il dupi minaru (lupo mannaro) e colui che lo guarisce, facendogli stillare del sangue. Questa credenza è ancora oggi presente o quanto meno ricordata in tutto il Mezzogiorno. A titolo esemplificativo rimando, per la Basilicata, a R. Riviello, Costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino, Garramone e Marchesiello, Potenza 1894, pp.202-203.

[8] E' detto Sangiovanni qualsiasi legame contratto nei cerimoniali specifici, liturgici ed extra liturgici.

[9] Diffuso nelle regioni meridionali; A.Basile, Un uso caratteristico calabrese: a cummari di coppula (la comare di cuffietta), in “Folklore della Calabria”, ii, 3-4, 1957, pp. 105-110; G.Pitré, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. ii, Barbera, Firenze 1939, pp. 166-169, (Palermo 1889).

[10] In diversi centri della Basilicata, la "madrina delle unghie" o "dei capelli", secondo una consuetudine recente, è scelta come madrina di battesimo.

[11] Cfr. A.M. Di Nola, L'arco di rovo. Impotenza ed aggressività in due rituali del Sud, Boringhieri, Torino 1983; per la Spagna, dove questo cerimoniale è simile a quanto rilevato in Italia meridionale, cfr. J.C. Barroja, La estaci¢n de amor,, Taurus, Madrid 1979, pp. 243-248.

[12] E.(V.M.) Spera, Comparatici minimi e comparatico di "passata", cit.

[13] Idem.

[14] Cfr. A.Di Nola, La festa e il bambino, Nuova ERI, Torino 1991, pp. 37-78.

[15] Vedi V. Lanternari, Occidente e terzo mondo, Dedalo, Bari 1967, p. 352 e ss.

[16] G.Mascia, Le stelle, le lucciole e i fuochi di Sant'Antonio, in “Utriculus”, vii, 3, (27), 1998, pp. 32-33.

[17] Da osservazioni e rilevazioni dirette. La composizione, la forma e la ricorrenza in cui questa pupa di pasta edibile, in genere includente un uovo sodo all'altezza del ventre, è confezionata ed è data alle bambine sono del tutto simili a quanto documentato altrove, per esempio in Puglia, in Calabria, in Molise, ecc., come documentato dalla relativa saggistica folclorica.

[18] O. Cavalcanti, Cibo dei vivi Cibo dei morti Cibo di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, pp.141-152; Idem, Le bambole che si mangiano, in “La Ricerca Folklorica”, 16, 1987, pp. 111-116; F. Faeta, Le figure di pasta dolce di un paese rurale calabrese, in “La Ricerca Folklorica”, 16, 1987, pp. 117-124; mentre per la Sardegna in particolare, vedi A.M.Cirese, Oggetti, segni  musei, Einaudi, Torino 1977, pp. 83-95.

[19] Su questo aspetto e significato del battesimo, costanti in tutte le azioni simili, vedi A. Van Gennep, I riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1981, (Parsi, 1909), in particolare pp. 69-82.

[20] Vedi W.Benjamin, Critiche e recensioni, Einaudi, Torino 1977, in particolare i capitoli Storia culturale del giocattolo, pp. 63-67 e Giocattolo e gioco, pp. 75-79; J.Huizinga, Homo ludens. Il gioco come funzione sociale, Einaudi, Torino 1972.

[21] Su queste azioni, relative allo scavalcamento come espressione di un rito di passaggio, vedi: A. Van Gennep, I riti di passaggio, cit., pp. 17, 21 ed in particolare 197; J.G. Frazer, Le rameau d'or. Baldero le magnifique, vol.iv, R. Laffont, Paris 1984 (ried. della versione francese del 1930 della edizione integrale di Cambridge), pp. 67-67, 98-114, 195, interessante il significato in relazione ad un ottenimento di numerosa prole pp.120-125.

[22] E.(V.M.)Spera, Pupe di s.Giovanni e battesimo di bambole, cit., pp. 29-49.

[23] In occasione della fase preparatoria e delle riprese per il ciclo di documentari L'età sospesa, coordinati e diretti da Alfonso M. Di Nola, realizzati per la regia di Sandro Lai e trasmessi lo stesso anno dalla Terza Rete RAI.

[24] Ad eccezione della signorina Anna Paternoster cui mi sono rivolto recandomi presso la sua abitazione poco prima della rilevazione, la quale, compreso il senso della ricerca, è stata molto attenta che il tutto si svolgesse secondo la normale prassi. Per il testo integrale dell'intervista vedi E.(V.M.)Spera, Pupe di s.Giovanni, cit., pp. 32-34. La stessa cosa non è stato possibile attuare nella seconda rilevazione, il 1985, soprattutto a causa non solo della presenza delle cineprese, ma anche dal comportamento della troupe televisiva che, arrivata in paese due giorni prima della ricorrenza di S.Giovanni, lo ha battuto in lungo ed in largo sollecitando la disponibilità a farsi intervistare e riprendere (con cinepresa senza pellicola "alla francese", come poi mi hanno detto i cineoperatori) ed a provocare gli inviti e le offerte degli abitanti di Barile, ospitali e prodighi dell'ottimo vino e delle salsicce che rendono famoso questo centro del Vulture.

[25] Così nel 1983. Nel 1986 le bambine, tutte vestite a festa, sono più numerose, a causa dell'enfatizzazione data al cerimoniale dalla presenza in paese della troupe televisiva il cui regista, Sandro Lai, che promette a tutti di "farli vedere nella televisione", sollecita di continuo l'affluenza di più gente possibile nello spiazzo della stazione, temendo di non aver materiale sufficiente per "riempire" mezz'ora di documentario. Il regista, inoltre, sollecita a tal fine anche la collaborazione della Pro-Loco che interviene inserendo nel semplice cerimoniale infantile (non connesso ad altre azioni festive, né religiose, né civili, tanto meno pubbliche, se non per la ricorrenza calendariale) l'esibizione di gruppi in costume e balli folcloristici; trasformando in tal modo un'azione cerimoniale spontanea e quasi "privata" in sagra paesana a destinazione turistica.

[26] Angelo Bozza nel volume Il Vulture ovvero brevi notizie di Barile, Tipografia Ercolani, Rionero in Vulture 1889, p. 43, così ne descrive l'ubicazione: ”La piccola cappella di S.Pietro, distante un tiro di fucile dall'abitato e dal convento dei Carmelitani, in sito assai pittoresco e di ampio orizzonte occupa con quest'ultimo la sommità della collina, e dominano Barile dall'ovest, stendendosi ai due edifizii libera la veduta da ogni ostacolo fino all'Adriatico”.

[27] Questa informazione ho potuto verificarla in occasioni di successivi rilevamenti, effettuati anche in altre circostanze. Cfr. V.M. Spera, Compàrages enfantins en Italie du Sud, cit., in: D. Saadi-Mokrane, op. cit., p. 253.

[28] “Pupa di San Giovanni / battezziamo questi panni / questi panni sono battezzati / tutte commari siamo chiamate”.

[29] E.(V.M.) Spera, I rituali di una sacra rappresentazione: Barile 1983, in “Quaderni Calabresi”, 58-59, 1985, pp. 97-126.

[30] Ivi, pp. 31-36.

[31] A. Bozza, op .cit., pp. 45-46.

[32] - "Pupa di San Giovanni / Battezziamo questi panni / Questi panni son battezzati / Tutti compari siamo chiamati". Riferendosi a questa formula, Bozza dice che veniva inframezzata da qualche parola albanese, che però non risulta nel testo, sempre che non si riferisse ad un testo diverso da questo e che egli potrebbe aver tradotto in un generico dialetto locale. Barile, Maschito e Ginestra sono tre comuni, tra loro confinanti, di origine albanese, ma di rito cattolico, con popolazione bilingue già dal secolo scorso, ed integrati perfettamente nella realtà sociale, culturale e religiosa regionale molto più degli altri comuni di origine albanese della Basilicata meridionale, quali San Costantino e San Paolo, ancora oggi di rito ortodosso, in cui gli anziani (mi riferisco a ricerche svolte in loco negli anni Settanta-Ottanta) parlano solo l'albanese.

[33] Cfr. C.Rapallo, op.cit., p. 26 e sgg.

[34] G.Ferraro, Feste sacre e profane, in “Giornale Linguistico”, xx, 1893, pp. 31-33.

[35] G.Bottiglioni, Vita sarda, 1932, p.29 (cito da C. Rapallo, op.cit.); ed. 1978 a cura di G.Paulis e M.attori, Dessì, Sassari 1978, pp.140-142.

[36] A riguardo vedi il contributo di E.Simeoni, La bambola sul letto, in “La Ricerca Folklorica”, 16, 1987, pp. 105-110; ed il mio intervento nel dibattito, riferito nella stessa rivista a p. 5.

[37] E.(V.M.) Spera, op.cit., p. 42; M.Scelzi (a cura di), Albano di Lucania Storia e cultura popolare, Volonnino, Lavello 1986, pp. 247-254.

[38] Dal latino puleium o pulegium, erba aromatica, mentha silvestris longifolia, utilizzata per infusi balsamici. I romani la utilizzavano per il vino aromatizzato puleiatum.

[39] Rilevazione del 1986 con la collaborazione di Salvatore Santo; informatrice M.Libonati, ex contadina.

[40] Rilevazione del 1986, informatrice Zia Rosina figlia di pastore, poi contadina, di anni 102.

[41] Il parroco, ha riferito Zia Rosina, non voleva che le bambine portassero bambole in chiesa. Nel corso della stessa rilevazione, ma da altri informatori, ho avuto notizia solo di altre forme di comparatico infantile.

[42] C.Bisogni, Il Pupo, usanza del Crotonese, in “La Calabria Rivista di letteratura popolare”, viii, 12, 1896, pp. 91-92; V.Padula, Persone in Calabria, Parenti, Firenze 1950, p. 258.

[43] V.Spinelli, Poesia popolare e costumi calabresi, Buenos Aires, 1923, p. 85, in C.Corrain - P.Zampini, Documenti etnografici e folkloristici nei sinodi diocesani italiani, Forni, Bologna, p. 187.

[44] R.Corso, Le tradizioni popolari, in “Il Ponte”, vi, 9-10, 1950, p.1010, numero speciale sulla Calabria; A.Basile, Il comparatico di S.Giovanni e il battesimo della pupa, in “Folklore della Calabria”, i, 4, 1956, pp. 7-13, che dà notizie su cerimoniali infantili simili in altri centri calabresi: Oppido Mamertina e Cellara.

[45] H.Rasmussen, Paesi e campagne del Sud. Ricerche etnologiche nella Calabria e nella Basilicata degli anni '50, (a cura di O.Cavalcanti), Rubettino, Soveria Mannelli 1997, pp. 35-45.

[46] M.T. Florio De Luca, Amantea, Pellegrini, Cosenza 1972, pp. 42-43.

[47] E.(V.M.) Spera, Pupe di S.Giovanni, cit., pp. 42-43.

[48] Indagini condotte nel 1986-1988 con la collaborazione di Giuseppe Rizzo di Albidona.

[49] A.Basile, La Piana di Gioia Tauro e la Piana di Locri, in L.M.Lombardi Satriani (a cura di), Santi streghe e diavoli, Sansoni, Firenze 1971, p. 295.

[50] R.Corso, op.cit., p. 1010.

[51] G.Pitré, op cit., pp. 279-283. 

[52] E.Magri, Précis de mytologie maltaise, in”Maltese Folklore Review” , i, 2, 1963, p. 107.

[53] G.Pitré, op.cit., pp. 279-281, cui fu segnalato da Serafino Amabile Guastella.

[54] De vanis quibusdam superstitionibus tollendis, Pars ii, Cap.xxxii (cito da C.Corrain - P.Zampini, Documenti etnografici e folkloristici nei sinodi diocesani italiani, Forni, Bologna 1970, p. 257.

[55] Ivi, Cap. iii, p. 187.

[56] Vedi C.Rapallo, op.cit., pp. 25-26; M.M.Satta, La festa di San Giovanni, in M.Atzori - M.M.Satta, Credenze e riti magici in Sardegna, Chiarella, Sassari 1980, pp. 182-186.

[57] Attonis Vercellensis Episcopi Sermones, in Scriptorum Veterum nova collectio edita ab Angelo Maio, 1832 (in V.Lanternari, Occidente e terzo mondo, Dedalo, Bari 1967, p. 513).

[58]  Vedi, per l'età moderna, cioè per il periodo compreso fra la fine dell'800 ed i primi decenni del 900, rilevato per la Francia, ma valido anche per il resto delle realtà folcloriche cattoliche: A. Van Gennep, Manuel di folklore français contemporain, Tome i, Cycle de Saint Jean et Saint Pierre, Picard, Paris 1981, p. 1988 e sgg.

[59] C.Corrain - P.Zampini, Op.cit., rispettivamente nel sinodo di Asti del 1605, pp. 214-215, e Visita Apostolica ad Alba di Carlo Montiglio di Amalfi del 1584, p. 217.

[60]- Una ricca quanto puntuale documentazione sulla raccolta delle erbe effettuata la notte di S.Giovanni Battista, a fini terapeutici, profilattici ed apotropaici destinati ad umani, animali e case, per scopi divinatori e magici, è stata rilevata alla fine del secolo scorso in Francia da A. Van Gennep, op. cit.

[61]  Rilevazione diretta effettuata il 1989.

[62] C.Rapallo, Il comparatico di San Giovanni in Sardegna, in “BRADS”, 3, 1968-1971, pp. 25-37.

[63] G.Pitré, op.cit., pp. 277-278.

[64] C.Klapisch-Zuber, Les saintes poupées. Jeu et dévotion dans la Florence du Quattocento, in Les Jeux … la Reinaissance, Tours, 1980, pp. 65-79; F.Cardini, Le bambole nel Medioevo toscano, in “La Ricerca Folklorica”, 16, 1987, p. 29; M.Manson, Le bambole romane antiche, ivi, 16, 1987, pp. 15-25.

[65] E.Gulli Grigioni - V.Pranzini, Santi Auguri, Essegi, Ravenna 1995, p. 46 e sgg.

[66] L. Alario (a cura di), I giuochi tradizionali dell'adolescenza, Coscile, Cassano 1996.

[67] B.M. Galanti, Vita tradizionale dell'Abruzzo e del Molise, Olschki, Firenze 1961, p. 217.