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Giambattista Marino

  

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Grandi successi in campo poetico raccoglie Giam-Battista Marino, largamente imitato tanto che si può parlare per tutto il XVII secolo di "marinismo" come una delle attuazioni del barocchismo.

Notizie biografiche

Giambattista Marino nacque a Napoli nel 1569. Figlio di un giureconsulto, fu avviato riluttante agli studi di legge. Frequentò giovanissimo letterati e mecenati. Protetto prima dal duca Ascanio Pignatelli, poi dal duca Innigo de Guevara, dal 1592 entrò al servizio di Matteo di Capua principe di Conca. Fin da allora la sua più grande aspirazione era quella di vivere all'ombra di un potente sovrano: la corte come occasione di fortuna, di avventura, unico spazio che gli consentisse libero sfogo alle sue doti di artista. Nel 1598 è imprigionato, forse per aver costretto una ragazza a abortire. Nel 1600 è di nuovo in prigione per falsificazione di bolle vescovili. Fugge via da Napoli, è a Roma, al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini. Nel 1606 è a Ravenna, nel 1608-1611 a Torino alla corte di Carlo Emanuele Savoia.
E' un periodo di grossi successi, di polemiche ma anche di tribolazioni. Clamoroso lo scontro con il segretario del duca, il poeta Gaspare Murtola: Murtola giunse a aggredirlo sulla pubblica via, e per questo fu incarcerato e allontanato dal regno. Nel 1611, non si sa bene perché, anche Marino fu imprigionato. In alcune lettere, specie in una famosa al conte Ludovico d'Aglié del 10 febbraio 1612, descrive con realismo e amara comicità la sua vita in carcere.
Nel 1615 il suo sogno di poeta cortigiano si realizza. Maria Medici vedova di Enrico IV, lo invitò alla corte di Francia. Fino al 1623 restò a Paris, onorato pagato stimato. Qui raccolse, concluse e organizzò tutta la sua opera. La salute malferma e i disordini della vita politica francese lo spinsero a Napoli. Gli onori tributatigli a gara dalle due accademie, degli Infuriati e degli Oziosi, non riuscirono a fargli dimenticare le polemiche di molti letterati contro la sua poesia. Tra queste, quella scatenata da T. Stigliani, che coinvolse A. Aprosio, G. Aleandro, S. Errico. Il suo "Adone" ebbe anche una dura condanna ecclesiastica.
Morì a Napoli il 25 marzo 1625.

Opere

L'opera letteraria di Marino è sterminata.
Le poesie minori sono quasi tutte comprese nelle raccolte: La lira (1608) che riprende gran parte delle "Rime" edite nel 1602, oltre a tutta una serie di sonetti, madrigali, canzoni. La Murtoleide è una raccolta di rime composte nel 1608-1609 contro Gaspare Murtola: furono pubblicate per la prima volta nel c.1619, insieme alle "Marineide" dell'avversario. Gli Epitalami (1616) sono componimenti di intonazione cortigiana. La galleri (La galeria, 1619) illustrazione in versi di pitture e sculture reali o immaginarie.

 

La zampogna (La sampogna, 1620) sono una serie di idilli favolosi e pastorali. Essi si compongono di alcune lettere introduttorie, e di 12 idilli: otto "favolosi" e quattro "pastorali". I favolosi svolgono altrettanti miti classici: quello di Orfeo che recupera dagli inferi e poi perde nuovamente Euridice, quello di Atteone che per aver offeso Diana viene mutato in cervo e sbranato dai propri cani, quello di Arianna abbandonata da Teseo e amata da Bacco, quello di Europa rapita per la sua bellezza da Giove, quello di Proserpina tratta dagli inferi da Plutone, quello di Dafni amata da Apollo e mutata in lauro, quello della ninfa Siringa amata da Pan che dà origine all'omonimo strumento musicale, e infine quello di Piramo e Tisbe la cui tragica storia di sangue dà origine alle more. Ovidius, Claudianus, fonti antiche ancora più riposte, ispirano Marino che a volte (come nella "Proserpina") traduce quasi alla lettera. Marino riesce a trovare sia nelle fonti che nel racconto di storie patetiche e metamorfiche, in continuo movimento e evoluzione, l'appagamento e lo spiegamento ideali per la propria fantasia, per il patetico e il sensuale.
Si legga ad esempio verso la fine dell'"Orfeo", l'arrivo degli alberi che si muovono a ascoltare la voce del divino cantore (Orfeo), un vero catalogo botanico che si snoda:

«Dalle cime dell'Emo, | quasi ignudo rimaso, | scese a gran passi il verdeggiante pioppo, | [...] vennevi il dritto e funeral cipresso, | piramide de' boschi, | [...] il produttor della tenace pece, | l'abete alto e possente, | [...] 'l bianco e lento salce, | ch'abita i fiumi et ama | pascer la sete sua vicino all'acque. [...] | Vennevi il noce opaco, il bosso crespo, | e col cornio silvestro, | suo germano minor, vi venne e corse | il vermiglio ciriegio; [...] e tutti insieme | fecero d'ognintorno | al musico gentil verde teatro».

O ancora la rappresentazione di Arianna (nell'idillio omonimo), il bianco corpo disteso sulla riva del mare, su cui Marino indugia apposta lavorando in un crescendo di fantasia e sensualità ignoti a qualsiasi altro poeta contemporaneo.
Meno ricchi di metri e meno interessanti gli idilli "pastorali", alcuni dei quali dialogati. Ne "La zampogna" è un susseguirsi ininterrotto di pezzi di bravura, descrizioni pittoriche che rimandano ai Tiziano, Poussin, Rubens esposti al Louvre, nella Paris in cui abitava in quel periodo.