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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

Premessa: Giocare, un po’ sognare

La stessa radice della parola illusione è quella del gioco: vuol dire, come si accenna nel titolo, appunto stare – nel – gioco. Il gioco, come l’in-lusio, è una trasformazione del reale in una connessione ipotetica, senza pretese di oggettività: che si allontana dalla realtà, non la trascende. E’ guardare le cose da un proprio ostinato punto di vista, con l’ottimismo di chi sa di essere padrone del gioco, e cerca l’appiglio per interpretare il mondo in modo comprensibile – mentre non è facile. Non dà il senso della realtà, non è questo il suo pregio; ma costruisce il futuro, l’azione. Non c’è progetto di vita o di politica senza una componente d’in-lusio a darle lena, a far vedere amico quel mondo che fin da tempi antichissimi suscita invece classiche lamentazioni. Il motto di Sileno (meglio non esser nato…) ed il lamento ermetico sui mali del mondo sono realisti, indicano che la realtà va in senso contrario ai nostri desideri, la stessa vicissitudine delle cose segna il tempo dell’uomo nella storia di un attimo. Senza quel briciolo d’illusione che dà all’attimo la consistenza di un mondo in cui vale la pena di vivere e di lottare, non nascerebbe nulla di grande.

Il gioco è la capacità di esercitare il nostro punto di vista, di costruirlo sistematicamente e senza ingerenze realistiche. La frase questo è un gioco non è solo l’istituzione di un modo diverso dal reale di porci dinanzi ai problemi. E’ anche un modo per difendere il gioco dalle intrusioni, da chi vorrebbe introdurvi un criterio di coerenza estraneo alle regole proposte, che lo snaturerebbero in qualcosa d’altro [1]. Questo è un gioco: e d’un tratto il mondo appartiene a chi pronuncia la frase, i personaggi dello stage sono scelti dall’autore, e così le cose da mettere in prova. L’uomo vi apprende se stesso, si chiarisce il proprio piano d’azione e la propria curiosità di vita. Congettura, non pensiero determinato, il gioco mette in scena un senso e lo prova senza tragedia. Si continua il gioco sicché vale la candela, poi si esce. Si ricomincia a giocare mutando qualcosa perché il nuovo gioco risponda alla stessa funzione di comprensione ed appropriazione del mondo. Diversamente dall’illusione, però, il gioco si costruisce in una parentesi cosciente, non rischia di confondersi con i dati reali generando pericolosi fraintesi. Il gioco è lo spazio tempo creato dall’io [2] – il vero mistero del gioco – che si annulla con un “Je ne jouer plus”[3], che disistituisce la scena.

Perciò il gioco è stato visto da scienziati, filosofi, artisti d’ogni tempo, anche in una frase parentetica, come l’immagine del pensiero che crea il suo mondo: Manganelli, per fare un caso esemplare, descrive Il gioco[4] del mondo nel dialogo sospeso tra Dio ed il Demone nell’indecisione del Tutto e dà corpo all’universo di sospensione che è la caratteristica che lega tutti i giochi. Rappresenta il momento della messa in campo degli elementi, è la modalità che governa l’impatto in una problematica, della libera formulazione d’ipotesi. Vengono le idee mentre si gioca con i dati. Momento di riposo, apparentemente distratto, che riordina a proprio modo gli elementi in discussione. E’ il momento dell’idea, da cui, poi, ragionando, si costruisce con metodo.

Così inteso, non è un diritto solo per alcuni uomini, caso mai i più giovani, ma è una necessità per tutti. Interpreta l’agire secondo spontaneità, originalità, libero esercizio delle facoltà. Depresso dal tempo di lavoro prolungato, l’istinto del gioco rimane ai margini della vita ordinaria dell’uomo, ma riemerge non appena agio e speranza rendono libero uno spazio per la sua esigenza insormontabile, tanto ovvia e riconoscibile che l’uomo non ha perso tempo a spiegarlo né a divinizzarlo. Il suo senso è tanto chiaro da non richiedere argomenti, tanto impellente da superare la povertà e la tristezza: ha fine solo in se stesso, si giustifica da solo.

Oggi il tempo libero è una ricchezza per molti, ma ha preso tutti di sorpresa, senza una preparazione specifica a entrare con consapevolezza nelle sue città. Acquisire coscienza della sua teoria, della sua rilevanza nei momenti cruciali del vivere, significa superare l’impressione di tempo perso, di esercizio senza scopo, che deriva da una cattiva comprensione di elementi che pure sono nel gioco, ma vanno intesi altrimenti. Ciò comporta un’analisi.

Come tutte le in-lusio, e non solo, ve ne sono di formative, che dispongono a migliori fini, e altre che conducono alla perdizione: l’immagine del giocatore nella letteratura, da Dostoevskij in poi. Il gioco ha ricchezza enciclopedica, non facile da stringere in confini rigorosi, ma tutte le forme hanno una radice positiva [5]. Solo che sono adatte ad uno e non ad un altro, passano dal negativo al positivo se applicate a contesti sbagliati. Nessun gioco è condannabile qua talis, ne dà ragione solo il vaglio critico che compari gioco e giocatore, esercitando una maturità d’analisi al momento inesistente. Peggiora la scelta la tendenza a chiedersi di fronte ad un gioco solo se è divertente: un criterio insufficiente per valutare. Proprio perché si sceglie in totale libertà, senza disporre di una cultura adeguata né di offerte differenziate, viene naturale scegliere tra giochi divertenti quello più conforme al proprio essere, al proprio equilibrio già formato; si esaltano così oltre la misura caratteristiche che a volte chiedono di essere temperate. Se si considera il gioco come una cosa seria, capace di fornire un adeguato sviluppo alla personalità, la calibratura diventa necessaria.

Esperienze fatte da anni dall’Osservatorio di Comunicazione Federico II dell’Università di Napoli, ci convincono ora a procedere ad un’analisi del gioco. Il gioco formativo della Ludo-di-dattica[6], attuato in forma sperimentale, ha mostrato la sua efficacia e la collaborazione attiva che il mondo della formazione ordinaria è in grado di offrire ad uno sviluppo. Ne diamo ragguagli nel terzo capitolo e nel CdROM accluso al testo, con modelli di gioco, dati, videolezioni. E per tutto questo ringraziamo la Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia, e in specie al suo vicepresidente Raffaele Picardi, per aver sostenuto, non solo economicamente, l’attività di sperimentazione.

L’analisi teorica a sostegno della pratica è stata sinora svolta, e lo sarà in futuro, con convegni di ricerca sul tema del Diritto al gioco [7], organizzati grazie all’aiuto della Fondazione e della Facoltà di Lettere della Federico II, per esplorare il tema dal punto di vista multilaterale, con specialisti di diverse competenze. Ora occorre una messa in forma del tema nella sua organicità.

L’insieme esemplifica i criteri di una didattica fondata su modelli ludici, che si dimostra possibile nel semplice e nel complesso, grazie ad un utilizzo intelligente dei new media. La metodologia del gioco stimola l’interesse e l’attenzione, rende gradevoli i primi passi nella scienza; ma è utile anche in fasi di formazione più alte, cambiando le modalità del percorso. Il ricercatore formato non ha più bisogno di metodologie ludiche di apprendimento per intendere il piacere della ricerca anche nelle metodologie scientifiche, ma la formazione a tutti i livelli ha invece da guadagnare nell’utilizzo di metodologie ludiche, che rendano subito evidente il gusto della cultura, il piacere di apprendere.

Oggi la scuola, come il mondo, vive in un mondo elettronico, dove i media distolgono l’attenzione dalle letture tranquille, spettacolarizzano il vivere e l’utilizzo del tempo libero. Il vero scopo mancato della formazione ordinaria è proprio nel saper mostrare il lato gaio del sapere, il piacere dell’apprendere come un divertimento inesausto, così come appare al ricercatore formato. Il difetto induce problemi di apprendimento che si fanno sensibili specie in presenza di gap personali o ambientali, dando luogo ai ritardi formativi ed alla dispersione scolastica. Se è esperienza comune che ci si può interessare anche delle cartelle delle tasse come se fosse un gioco, se la passione garantisce l’attività fine a se stessa, figurarsi se non è possibile trasformare in un gioco straordinariamente bello la cultura, che ha la possibilità di competere per la ricchezza dei suoi contenuti con i programmi di fiction, come dimostrano programmi scientifici di successo che i media hanno saputo talvolta inventare, tra i tanti pessimi pure prodotti. L’utilizzo di una metodologia ludica può aiutare a non mancare uno scopo così importante. Grazie ad essa, la ricerca può guadagnare al proprio ordine molti più adepti interessati alla cultura ed alla critica.

Al di là della formazione ordinaria, della trasmissione di metodologie, affermare il diritto al gioco significa dedicare attenzione all’immaginario, e dunque al tempo libero, e dunque alla formazione permanente. La risorsa del tempo, così essenziale nel mondo della velocità, può andare perduta per la mancanza di strutture di gioco intelligente, in grado di competere coi giochi dei media e di batterli con la complessità dei propri contenuti e delle sollecitazioni interattive. Non si vuol dire che l’uomo formato, equilibrato, non sappia trovare da solo forme di gioco adeguate, che la società non offre, se anche ha agio economico. Ma l’esuberato, come definisce Pennac nell’ultimo fumetto edito da Feltrinelli il senza-lavoro-maturo, può guadagnare nelle offerte di gioco solo nevrosi. Mentre nel gioco si medita sul mondo, in un videogioco si può mettere in prova una diversa professionalità, si può chiarire un progetto di vita. In un gioco intelligente, ovviamente: una drammatizzazione fonte di nuove interrelazioni, un videogioco di riflessione, una navigazione in ambienti virtuali.

Il gioco è agguerrito, ha una componente agonistica intrinseca, è una gara con se stessi e con altri che mette in fuga la depressione. Ma la sua lotta non si caratterizza nella volontà di predominio quanto nel voler primeggiare per valore, qualsiasi valore, per acquistare ammirazione nel rispetto della regola di gioco. Si trasmette perciò ai sostenitori, diventa un elemento di vita associata. Nello spazio designato, le regole evanescenti risultano assolutamente rispettate: eluderle, significa uscire dal gioco. « Tout jeux est système de régles.. ces conventions sont à la fois arbitraires, impérative et sans appel. Elle ne peuvent être violées sous aucun prétexte, sous peine quel le jeu prenne fin sur-le-champ et se trouve déstruit par le fait même »[8].

Adottare una metodologia ludica non vuol dire annullare l’impegno, ma attivare una ricerca dell’interessante. Nella didattica questo coinvolge l’allievo in una relazione educativa tesa all’entusiasmo dell’apprendere. Nella vita, a superare rapidamente le difficoltà, conquistare atteggiamenti positivi verso nuove conoscenze e aggregazioni sociali.

E’ la sfida che oggi il mondo della formazione nella sua interezza ha davanti. Vincere la guerra contro la volgarizzazione indotta dai media, giocando sul loro stesso terreno. Realizzando un’alternativa di gioco culturale che con i suoi contenuti profondi scopra tutte le potenzialità concrete che sono possibili nel gioco, sviluppando diverse metodologie per il giocare con entusiasmo il gioco della cultura.


 

[1] J. Huizinga, Homo ludens,

[2] Dice, citando Schiller,  G. Bateson, Questo è un gioco, 1956, Cortina 1996, p.124.

[3] R. Caillois, Préface, in Jeux et Sports, sous la direction de Roger Caillois, Encyclopédie de la Pléiade, Gallimard, Paris 1967.

[4] G.Manganelli, Il gioco, in La Notte, Adelphi 1996.

[5] Anche il lotto: che per Totò è l’occasione per sognare (A Speranza): “io campo bbuono tutta ‘na semmana, sultanto ‘o lunnerì stongo abbacchiato”, un modo per illudersi, per pensare come potrebbero rigiocarsi  i ruoli concessi dalla fortuna, per non accettare il reale senza discutere. Cfr. G. Imbucci, Il gioco, Marsilio, 1997.

[6] Il trattino inserito due volte nel titolo del capitolo non è un refuso: è intonare un motivetto nel dire il nome di questo sguardo complessivo al gioco, quasi a farne uno slogan con il suo jingle. Nel testo invece usiamo la parola nel suo equilibrio semantico.

[7] Cfr. C. Gily Reda (a cura di), Il diritto al gioco, Palladio, Salerno 2000; Giovanna Annunziata (a cura di), Il diritto al gioco intelligente, Eurocomp 2000, Napoli 2002.

[8] R. Caillois, Préface, cit.



Nella stessa Collana dell'Osservatorio di Comunicazione Federico II di Napoli sono stati pubblicati:

Il diritto al gioco
a cura di Clementina Gily

Il diritto al gioco intelligente

a cura di Giovanna Annunziata