La Flagellazione

Caravaggio

Abbiamo scelto quest’opera perché ne siamo rimaste affascinate quando l’abbiamo vista, per la prima volta da vicino, nel Museo Nazionale di Capodimonte. Ma ciò che affascina ancor di più è la personalità del suo autore, Caravaggio, estremamente complessa e poliedrica. E’ proprio durante i suoi continui spostamenti e precisamente durante il soggiorno nella capitale partenopea, che la Flagellazione prende vita. La grande pala fu destinata alla cappella della famiglia De Franchis in San Domenico Maggiore. L’opera, grazie anche alla resa naturalistica dei soggetti, peculiarità del Caravaggio, entra a far parte del patrimonio di arte barocca di Napoli e, ancora oggi, ne è supremo esempio. Essa, difatti, è collocata nella sezione museale dedicata alla pittura napoletana dal ‘200 al ‘700, sala 78 al II piano, dove abbiamo potuto ammirarla.

Con la Flagellazione Caravaggio continua il percorso di rappresentazione del pathos, dove il “tragico” sconfina nel “brutale”. Drammatico è il contrasto tra il corpo di Cristo, più chiaro e investito pienamente dalla luce, e gli altri soggetti del dipinto. La sofferenza, la rassegnazione del bel volto del Messia, così “messe in luce” sono certamente elementi caratterizzanti che attraggono e inducono a “scrutare”, quasi a voler “andare oltre”, in un tentativo di comunicazione diretta con il Cristo orridamente flagellato a morte.

Tra i molteplici commentatori dell’opera e della personalità del suo autore, scegliamo di citare Vittorio Sgarbi, che ci è sembrato particolarmente appropriato nelle sue critiche.