Mese: Maggio 2016

Una nuova rubrica: Giordano Bruno

di Redazione
Chiesa di San Domenico Maggiore
Chiesa di San Domenico Maggiore

Napoli e Giordano Bruno: Salvatore Forte ha scritto in “Il Rinascimento Napoletano”, IVI, 2016 (vedi in rete) che su questo legame bisogna ancora dire tante cose – lo accompagneremo nella città – accompagnandolo nelle sue visite dove fornisce a dieci persone per volta gli suoi occhiali virtuali – dove rappresenta scene teatrali che hanno per protagonista Bruno. Il Nolano, come si definiva, passò a Napoli il tempo della formazione scolastica fino all’ordinazione sacerdotale e poco oltre.

La cappella funebre dedicata a San Martino fu probabilmente vista da Bruno –  dice Frances Yates – a San Domenico Maggiore: oggi, chiarisce Forte, sarà forse quella di S. Caterina). L’ipotesi fu di Warburg, nel suo soggiorno napoletano, nel ’29, prima quindi del bombardamento del ’43. L’unica distruzione fotografata, dopo tanti anni di occupazione straniera, che stentano a finire. I padroni non stringono con la plebe: piuttosto la disegnano pessima e la placano con feste farina e forca, come titolava un libro di Vittorio Glejeses per definire lo stile di governo borbonico. Ferdinando fu amato perché intendeva rimanere e non agire da corsaro, seppure con lo stile tipico delle monarchie assolute.

A San Domenico Maggiore fu anche la Cattedra di San Tommaso, dove si svolgevano le funzioni e le lezioni dedicate ai frati studenti, tra cui Bruno, allora Filippo. C’era inoltre una Biblioteca fornitissima, vero faro della cultura, trasportata in tempi più recenti al Palazzo Reale. Bruno risiedeva a San Pietro Martire, la Chiesa con l’annesso Convento dov’è ora l’Università di Lettere (oggi Dipartimento di Studi Umanistici). Guadagnava qualcosa con l’amministrazione delle attività commerciali di Via Mezzocannone.

La cappella fu individuata da Warburg come possibile fonte di Bruno per sceneggiare il primo dei suoi dialoghi morali, ambientato nel firmamento, lo Spaccio della Bestia Trionfante, il più famoso dei dialoghi morali perché insegna la religione del suo futuro, del presente nostro ecumenismo. È una religione che afferma che le guerre di religione non sono religiose, non riguardano Dio, che la scrittura va interpretata quando dice, ad esempio, che Dio fermò il sole… Lo Spaccio fu scritto alla fine del ‘500, ma è attuale per molti versi: è in libreria solo dall’inizio del 1900, Gentile pubblicò i Dialoghi Italiani, cui si rifanno i volumi oggi in commercio per quel che li riguarda.

Bruno fu bruciato e così i suoi libri, ma si conservò nella cultura europea, tranne che per alcune opere perdute – in una fitta circolazione underground. Tutti lo lessero senza citarlo, nei paesi cattolici; Cartesio che gli era contemporaneo tenne conto di lui, rispolverò il Vivi nascosto di Epicuro, e visse il larvatus prodeo, mai parlare troppo. Nel caso la Chiesa ascolti, abiurare, come fecero Galilei e Campanella. Fuori dei paesi cattolici chi lo nominava poteva senza timore dare giudizi senza dire il debito: come Leibniz, il filosofo della ‘monade’ e del calcolo infinitesimale – i temi di Giordano Bruno. Kant e Jacobi, Schelling ed Hegel – nessuno cattolico – ne vantarono la grandezza e Bertrando Spaventa lo rese celebre in Italia – l’Italia risorgimentale non amava il Papa.

Ma Warburg anche più del fervore di studi che Spaventa suscitò in Italia, ne rivelò la grandezza come filosofo che pensa per immagini, dotato cioè di pensiero iconologico. Perché studiare i monumenti è capire la lingua delle pietre. Aby Warburg visitò il sacello nel 1929 e fermò la sua attenzione su questa Cappella Carafa di Santa Severina, edificata nel ‘500 dal conte Andrea Carafa: c’erano le costellazioni, il cielo pieno di stelle che ancora si vede nei soffitti delle grotte, stelle cui si sono attribuiti nomi e storie, per orientarsi ed aiutare la memoria. Lo attesta E. Canone (Magia dei contrari, Cinque studi su G. Bruno, Temeo, Roma 2005, p. 96-111; ha editato anche lo Spaccio nel 2001). Lui segnala la presenza anche di una traccia chiara di quel culto ermetico di cui Bruno fu fervente pensatore, con la mnemotecnica che era la sua prima scienza e che insegnava nelle Università.

Bruno così parlò di religione nel teatro animato dai personaggi portati in cielo dai miti e dagli Dei che li abitavano: l’Olimpo con Giove, Minerva-Sofia e Mercurio che discutono il destino dei vecchi abitanti del cielo, dei e semidei, animali come l’Orsa maggiore e la minore, il Capricorno, l’Ariete, lo Zodiaco tutto e poi anche Leda, Lyra, Andromeda, Ercole… tutte bestie trionfanti, disse Giove, ch’è il momento di allontanare dal firmamento. Perché? ci erano salite per far ricordare la favola, ammonimento e delizia, la storia che il marinaio solitario si racconta di notte cantando alle stelle, come in un vecchio film di Spencer Tracy che ogni tanto torna, quanto la tv in cerca di novità recupera antichità – dando occasione ad agghiaccianti confronti, in termini di tecnica e purtroppo anche di poesia.

Se il mondo cambia, pensa Bruno nel Rinascimento, e perciò sono cambiate le virtù: occorrono nuovi racconti. Continuare a guardare in cielo ammaestra solo se poi si dicono cose che hanno senso per i viventi: allora per fortuna non si potevano recuperare i vecchi film, e si creava la nuova narrazione, di qualità adeguata ai tempi, migliore del passato perché poteva tenerne conto.

Il teatro dello Spaccio racconta la morale nuova con la nova filosofia del Nolano, che cerca le migliori vie di comunicazione: in italiano, perché alla corte di Elisabetta si parla inglese; in teatro, perché è sempre la migliore maniera per creare un palcoscenico dove capire come va il mondo Ne fa la vita futura delle nuove costellazioni, salgono le Muse e le Virtù dell’Uomo che sa costruire da sé il suo destino, con l’aiuto di Dio, l’uomo dell’Asclepio che Dio ama – non quello della religione di allora, cui si raccomandavano digiuni e cilici per purgarsi dell’eterno peccato originale.

La nuova religione dell’Anima Mundi canta la pace religiosa. Bruno l’ambienta nel nuovo cielo di Perseo, di Orione, delle Muse. Unire la religione cristiana all’antica era un ritorno all’infanzia, all’età dell’oro, ora che occorre ringiovanire l’umanità: Copernico ha mutato il cielo dell’uomo, ha messo in moto il Sole.

Nel 1565 Filippo Bruno entra in convento dai domenicani: assumerà il nome di Giordano quando diventò dottore in teologia nel 1572. Aveva coltivato in Napoli il suo amore per la religione ma anche per la sapienza degli Egizi, anche perché abitava vicino all’attuale Piazzetta Nilo, dov’è il “corpo di Napoli”, la statua del Nilo, al centro del quartiere egizio sin dall’antichità, sede tradizionalmente indicata come quella del tempio di Iside (M. Ciliberto Introduzione a Bruno, 2006, p.109). E’ lì anche il Sedile di Nilo, indicato da una targa, il tribunale dell’antica Napoli dove Bruno ambienta Il Candelaio, l’opera teatrale scritta a Parigi e dedicata a Enrico III di Francia. Le religioni riformate diventano più terribili della cattolica, dirà Bruno quando dopo Ginevra, Parigi e Londra troverà pace in Germania, per vedere subito addensarsi le nubi. Sperando nel rinnovamento, Bruno tornò in Italia avendo scritto ormai opere mirabili: Bruno è uno degli edificatori morali dell’Europa, visse nelle corti, a colloquio coi re – come Tommaso Campanella, ne sosteneva il discorso ed era da tutti ammirato: ma era libero nel pensiero.

Già da ragazzo, a Napoli, dimostrava la sua mente vivace e ne era punito perché non sapeva star fermo al dogma e ragionava su tutto – è un peccato imperdonabile, la libertà, che però rende oggi così vivo il suo pensiero da fare lezione ai secoli: nella morale occorre ripensare tutto da capo quando si vede che tutto s’incrina, non scoraggiarsi:

agire, anche nel piccolo campo sicuri che

nello spazzio rinnova tutto il cielo

Se purgaremo la nostra abitazione,

se cossì renderemo novo il cielo,

nove saranno le costellazioni et influssi,

nove l’impressioni,

nuove fortune”

(Spaccio p. 73)

W BRUNO Redazione Una nuova rubrica Giordano Bruno

Giovanni Gentile, un autore contemporaneo (1)

di Clementina Gily

mo-phiSi sta avvicinando la scadenza di consegna dello scritto su Guido de Ruggiero datomi dalla rivista della “Collingwood Society” – di cui i lettori di WOLF forse ricordano, OSCOM aprì nel 2014 la sezione napoletana. Ciò spiega la foto qui a sinistra, la copertina dell’ultima edizione del libro di Guido de Ruggiero La filosofia contemporanea del 1912, che come la Storia del liberalismo europeo ha ancora lettori inglesi (tra cui Fareed Zakaria della CNN) grazie alla traduzione fatta da Collingwood.

Ho avuto così finalmente il tempo di riprendere studi abbandonati da tempo, visto il generale disinteresse italiano al tema, e realizzare il desiderio di non lasciare senza commento alcuni bellissimi libri inglesi del 2014. È un piacere meditare teorie di valore incomparabile al presente, di una filosofia che sa dare risposte congrue al suo tempo, non basta fare domande – certo che le domande se sono bene impostate sono risposte, ma sono bene impostate se danno risposte, mattoni solidi, un invito a seguitare a costruire l’edificio della cultura. Il nichilismo e il postmoderno lasciarono il posto ai guru delle comunicazioni di massa.

Giovanni Gentile fu autore di una filosofia dotata di rigoroso metodo di costruzione: perciò la Society traduce quattro articoli di Gentile e lo interpreta con sei saggi (B. Haddock, A.G. Pesce, J. Wakefield, A. Vincent, D. Coli, R. Peters, J. Connelly). I curatori dichiarano l’intento di argomentarne il costruttivismo, oggi punto d’incontro di filosofia e neuroscienze (Maturana e Varela): è il senso della filosofia idealistica e storicistica di tutti i tempi, nei termini relativi al tempo storico, se letti con la giusta vivacità ed attualità. Gentile è un autore relegato, come tanti, nelle Storie e nelle Fondazioni, e non lo merita. Perciò questa recensione si limita a considerazioni generali e conta di seguitare.

Il volume ventesimo della rivista che raccoglie l’eredità della “Bradley Studies” e dei “Collingwood Society” porta il titolo Thought Thinking: The Philosophy of Giovanni Gentile, edited by Bruce Haddock and James Wakefield, “Collingwood and British Idealism Studies” vol. 20, no.1-2, 2014. Haddock e Wakefield dichiarano già nell’introduzione l’ottica nuova da cui partire: smettere di pensare a Gentile come filosofo del fascismo, anche visto che analogo rifiuto non è toccato a nazisti come Schmitt e Heidegger.

Gentile è un costruttivista radicale ed originale, ben più attuale di tanti cattivi maestri: “his concept of autoctisi (approximately ‘self-constitutivism), which comes from Bertrando Spaventa, albeit supplemented by St Thomas Aquinas, from whom Gentile takes the concept of thinking as ‘a pure act’ (St Thomas actum purum)”. Si ferma a precisare il concetto centrale, che è poi la base comune di tutti gli altri idealisti italiani, lo spirito come continua attività e divenire, che identificano piuttosto con l’arte e con la storia. Il riferimento a San Tommaso è molto inglese, visto che nel penultimo capitolo della Riforma della dialettica hegeliana tradotto per l’occasione, una storia da Socrate in poi, nemmeno lo si nomina: ma certo il tomismo è implicito già negli autori su cui scrisse nel 98-99 – la tesi di laurea e il primo libro, vale a dire Rosmini, Gioberti e Marx, e di sicuro già prima negli studi universitari con Jaja. C’è in tutti, Kant Hegel e Spaventa compresi, l’influsso di San Tommaso – ma forse già allora risentiva piuttosto di Giordano Bruno antiaristotelico esplicito quanto dotto, e Bruno era allora al centro di vere e proprie diatribe filosofiche che prendevano spunto dall’anticlericalismo. Gentile ne sarà editore non troppi anni dopo per Sansoni, con l’edizione ancora oggi integrale dei Dialoghi Italiani.

L’Atto Puro è una tesi limpida, che però si complica molto nel linguaggio e nell’argomentazione. La tesi è già in quel divenire per cui fu bruciato Bruno, che lo pose anche in Dio – la tesi mai abiurata de il nocchiero alla nave. Ma hanno ragione gli autori a lamentare il suo linguaggio criptico: lo è anche per l’italiano di oggi non abituato all’idioletto filosofico del tempo. Argomentare il pensiero pensante – espressione giustamente scelta per il titolo, comporterebbe poi di spiegare ad un inglese cos’è il thought thought, il pensiero pensato. Su ciò anche si basa la scelta saggia nel tradurre articoli dove la storia e l’ispirazione religiosa valgono a dipanare la difficoltà. Non è una pecca da poco l’argomentare in modo complesso, ma lo si perdona in filosofia, occorre però l’interpretazione; tanto più intendendo linguaggio come si deve dopo il Linguistic Turn – che è anche il modo in cui lo intende Gentile, non un semplice ‘linguaggio’ ma come il mondo dell’uomo: ciò che nel his usual abstruse style s’intende solo in alcuni scritti.

È una questione di retorica ma non solo, infatti: la difficoltà del linguaggio dipende dal voler argomentare una grande novità nel vecchio percorso hegeliano delle categorie. Ad esempio, si pensi al salto filosofico fatto da Collingwood in Speculum mentis. E non si pensi che parlare di Collingwood sia un andar fuori tema: il pregio del volume è proprio l’ottica di rifarsi al quadro del dialogo, interpretandolo, tra presente e passato, tra protagonista e sfondi. È quel che manca in Italia, nonostante gli studi siano attenti – non si può restare confinati a Croce o a Gentile, senza considerarli nell’attualità del dialogo coi tantissimi bravissimi filosofi ch’erano loro intorno. Nemmeno li si intende – e soprattutto si ricasca nella loro ottica rotta già da Scaravelli nel ’46 con la sua Critica del Capire. Si era però allora al tramonto dell’idealismo, che era sostituito dal marxismo filosofico: non ebbe nessun effetto sul chiarire la discussione, nonostante gli sforzi di Carlo Antoni: l’opera è amata da un ristretto pubblico di iniziati ed esaltatori (Mario Corsi, che ebbe il merito di ripubblicare e pubblicare i manoscritti, Raffaello Franchini, che ne scriveva e ne parlava agli allievi).

L’identità distinzione come dialettica di aut aut, ha intrappolato in una polemica senza fondamento filosofi nemici che avevano smesso di dialogare perché erano l’uno totalitario e l’altro liberale: disse Scaravelli, il problema è mal posto. Identità e distinzione sono la sistole e diastole del pensiero, pensare l’atto pensante significa circolarità tra i due poli, che non sono opposti ma l’itinerario del pensiero che percorre il labirinto itinerando.

Gentile definisce il tema del 900, la vita come teoria e pratica/prassi, che vuol dire capacità di evoluzione/progresso, sviluppo di storia: l’Atto Puro è il tutto in uno, il presente come esperienza viva del presente, del passato e del futuro – anche se quest’ultima parola non pronuncia mai, per via del Futurismo – Gentile non poteva parlarne senza equivoco; Prezzolini e Marinetti erano più famosi di lui. Ma pensare il divenire richiede un diverso linguaggio filosofico, perciò si abbandona il sistema, ma Gentile sa che il sistema è il mondo dell’uomo, l’ordine della mente è la sfida cui risponde l’uomo, nel linguaggio di Toynbee: di qui viene il Sistema di Logica, sul modello di Spaventa, il cui hegelismo già Croce aveva trovato invecchiato – più difficile di Hegel, aveva detto il traduttore dell’Enciclopedia di Hegel.

La lingua odierna del costruttivismo parla di ‘situazione’ – parola chiave oggi in tutte le culture; è lo stesso senso del logo concreto di Gentile, il divenire; ovviamente con tutte le differenze del caso, soprattutto in tema di convergenza di scienza e filosofia. Ma la vera differenza è nel passaggio dalla sintesi alla crasi, come spiegò qualche anno fa Franco Cambi: gli intrecci oggi non s’intendono come superamenti, la logica del divenire considera le intersezioni più delle conclusioni, i reticoli più dei sistemi. Ma questo è un altro discorso.

Il divenire è una scoperta nuova? Nella logica, dove per due millenni si è seguito Aristotele, la specializzazione basata su criteri base, per uscire dal caos della percezione – che è coscienza del divenire. L’erede di Aristotele, Teofrasto, era un biologo – logica scienze e filosofia hanno bisogno di punti fermi per fermare l’incomprensibile evolversi. Il fermo immagine consente ipotesi, la stasi è artefice di ordine – certo, non scambiandolo con l’eterno, ha detto la filosofia del divenire, ma nella logica genera la logica analitica che con l’analogica è appunto la sistole e diastole che si diceva. Il rapporto del sapere con la vita Giordano Bruno chiamava “la magia del due”, sulla base del rivoluzionario rapporto posto da Niccolò tra finito e infinito: prima e poi, lo si è chiamato non senza infiniti equivoci “dialettica”, la nuova logica che Hegel strutturava come Aristotele, mentre oggi si tende a recuperare il modello platonico.

L’Atto Puro di Gentile è alla base di tutte queste dialettiche, il logo concreto stenta nel nuovo linguaggio: ma il metodo è solido, Gentile anche pone ben più di un mattone nell’edificio del nuovo: non a caso nell’81 feci il nome di Parmenide per spiegarne il persistente fascino anche negli allievi che lo criticano. Haddock e Wakefield rivendicano l’attualità di Gentile interpretandolo nei saggi che scrivono su di lui, ma già prima scegliendo quattro brani privi di quelle durezze del linguaggio: i due ultimi saggi del libro della Riforma della dialettica hegeliana del ’13 e la prolusione ai corsi di Pisa, storici, e poi un brano dei Discorsi di religione, ricco del linguaggio caldo e entusiasta così tipico di Gentile.

È proprio in questo ultimo saggio che Gentile dice con chiarezza il suo stesso problema: “modern philosophy, as pure idealism, is essentially an ethic”. È infatti il tema più discusso dai saggi: per ora sottolineo solo la mia opinione, che l’intrappolamento nel ‘linguaggio’ antiquato evitò a Gentile di essere pari alla sua stessa potenza di pensiero, ostacolandone l’intuizione. Il bellissimo discorso sulla religione svolge un’idea morale chiara e calda; sembra godere l’efficacia delle parabole e degli ottimi commenti religiosi – restando nella morale laica di cui oggi tanto lamentiamo il fallimento. È l’autofondamento che bene Ugo Spirito legò all’onnicentrismo di Ugo Spirito attraverso l’esaltazione della fede come speranza sincera e fiduciosa.

Ma la parabola si spegne  a pensarci, mentre diventa una lingua di fuoco quando c’è una religione che parla per immagini, che tiene conto della persona, che fa entrare chi ascolta in un discorso – non si fissa su concetti tanto eterei da perdere di senso. Meglio un esempio storico, un quadro, un teatro, per capire l’astrusità dell’autofondamento – occorre un’immagine per la poesia che si fonda solo in se stessa. La logica condanna questa etica come vuota, non si capisce perché si dovrebbe agire con sacrificio; sviluppare una regola di vita è meglio, perciò oggi Agamben e altri studiano il monachesimo come fonte di una legge che privilegia l’atto e costruisce su questo una morale più che solida. Un certosino filosofo era certo Gentile, come i suoi amici filosofi lo studio e la filologia erano la fatica che si fonda in se stessa: però non è questo che afferma Gentile quando parla di morale – fu molto più efficace Ugo Spirito parlando di onnicentrismo e spiegando perché le morali potessero essere tante ma ognuna capace di essere finita ed infinita insieme, e argomentò poi questo scrivendole, queste morali (La vita come ricerca, La Vita come arte, La Vita come Amore) : e fu un autore che pubblicava un bestseller all’anno: di filosofia!!

Gentile riedita la morale di Kant corretta dall’eticità hegeliana, le cui conclusioni sono la verità profonda di Pomponazzi: Praemium virtutis ipsamet virtus; di Socrate: Sapere di non sapere

Vero, ripensate nel pensiero pensante rivelano tutta la loro luce – ma la filosofia le conosce da tempo, ogni volta le attualizza per capirle, ma comunque restano vaghe, poco propulsive di speranza, non suggeriscono gioia né vittoria; è un ideale ascetico che è facile dubitare fosse quello degli autori – che non vissero da certosini.

Nulla di più si può chiedere alla morale? Ma certo non è così, il bellissimo formalismo della morale kantiana è universalmente oggetto di critica. L’uomo chiede di più a chi si dedica alla riflessione, la domanda della morale è di aiutare a capire il male nel mondo, la scelta tra le ipotesi, come orientare il proprio pensiero tra abitudini e rivoluzioni… non c’è tanta astrattezza nella vita, ci sono fatti concreti e tante soluzioni di fronte a cui l’uomo esita, vorrebbe conforto e si dedica alla morale.  L’abolizione del male, in senso socratico e poi kantiano, anch’essa presente nelle conclusioni del saggio gentiliano, certo non giova ad indirizzare la domanda dolente di chi volge lo sguardo alla morale per capire come fare, se decide di non lasciare andare le cose per il loro verso e di prendere parte ad un’azione della storia.

GF RECENSIONI Gily Giovanni Gentile, un autore contemporaneo (1)