Mese: Ottobre 2016

Addio a Dario Fo: ‘Eterno Giullare’

di Anna Irene Cesarano

dario-foIn un sabato di pioggia, Milano con la sua Piazza Duomo rende omaggio ad un grande uomo, poliedrico ed eclettico, attore, drammaturgo, regista, scrittore, pittore, illustratore, scenografo, attivista italiano. Dario Fo è morto giovedì 13 ottobre 2016 a 90 anni all’Ospedale Luigi Sacco di Milano, dopo una vita di teatro, arte, poesia, e soprattutto impegno civile.

I funerali laici celebrati il 15 ottobre 2016 hanno visto centinaia di persone dare l’ultimo saluto, al grande letterato, riunitesi in cordoglio. La bara di Dario Fo intorno alle 11 è stata spostata dal “Piccolo Teatro Strehler” a Brera, a Piazza del Duomo, dove ha avuto luogo una cerimonia commemorativa, durante la quale hanno tenuto il loro discorso il figlio Jacopo Fo e Carlo Petrini, accompagnato dalla canzone Stringimi forte i polsi, canzone di Mina scritta da Dario Fo negli anni ’60. Presenti al funerale anche il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, e le prime cittadine di Roma e Torino, Virginia Raggi e Chiara Appendino.

Tante le manifestazioni di cordoglio politici, attori, scrittori, artisti di diversa vocazione scientifica che sui social network hanno espresso il loro dolore per la perdita di un artista a tutto tondo, tanto completo quanto fuori dagli schemi. C’è chi come Beppe Grillo ha detto: “Non era semplicemente un uomo libero, era la libertà incarnata”, parole che fanno capire la grande umanità e la voglia di operare a sostegno degli oppressi e dell’attivismo sociale di questo immenso uomo di cultura. Belle anche le parole su Facebook dello scrittore napoletano Roberto Saviano: “Non c’è intellettuale, poeta, scrittore, drammaturgo, attore cui io sia più legato che a Dario Fo. E gli sono debitore per l’appoggio e la protezione. Dario Fo e Franca Rame non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno e la loro vicinanza. Mi sono stati incondizionatamente vicini. Amici veri, famiglia che, nonostante la mancanza di assiduità, è sempre stata attenta a quello che mi accadeva. Sempre pronta, anche con un semplice sms, a dimostrarmi che non ero solo, che loro due c’erano. L’affetto disinteressato, quello che in cambio non vuole niente, quello fatto di poche parole, è quanto di più prezioso si possa incontrare nella vita. Il dolore che provo ora è grande e smisurata è la riconoscenza verso un genio vero, non solo del teatro e della letteratura, ma soprattutto della vita”.

Dario Fo nasce a Sangiano un paesino nel Varese, il 24 marzo 1926. Compie gli studi all’Accademia delle belle arti di Brera di Milano, inizia poi a lavorare per la Rai. Sposa nel 1954 Franca Rame, sua inseparabile compagna di vita e di battaglie sociali, ed è proprio insieme a lei che fonda la compagnia Dario Fo-Franca Rame, preparando una serie di pezzi per il varietà televisivo Canzonissima, censurato: perciò abbandonò il lavoro televisivo. Le sue commedie, infatti, sono animate da uno spirito critico verso, quello che chiamava, il teatro borghese, portando così l’arte e la rappresentazione in luoghi alternativi quali piazze, case del popolo, fabbriche. In questi luoghi egli poteva trovare un pubblico diverso da quello che generalmente frequentava i teatri e, cioè persone umili, oppressi, appartenenti alle classi meno abbienti, che erano esclusi da questa forma d’arte teatrale. Nel 1969 Fo ottiene un gran successo portando in scena la giullarata Mister Buffo, dove recita tutto da solo una rielaborazione di testi antichi che si riveleranno una satira divertente e pungente. Il suo stile anticonformista, anticlericale gli procura le inimicizie e le critiche di ampi strati della cultura e delle istituzioni italiane, infatti proprio attraverso la satira che riesce a esprimere il suo pensiero di opposizione verso ogni forma di potere costituito, il suo disappunto verso la banalità della morale comune e verso le istituzioni politiche, sociali, ecclesiastiche. Tutto questo fa di lui un intellettuale sui generis, fuori da ogni schema precostituito, scomodo, l’antitesi degli intellettuali organici tutti protesi verso il conservatorismo dell’egemonia culturale esistente. Nessuno fu risparmiato dalla satira di Fo, Chiesa, Burocrazia, Istituzioni, Politica, Morale. Ed è per questo che quando nel 1997 ricevé il Premio Nobel per la letteratura, gran parte della cultura italiana ed estera rimane attonita, più propensa alla candidatura di Mario Luzi. La motivazione dell’Accademia Svedese nella scelta di Fo per il Nobel, ben esemplifica ed esplicita l’intenso e importante lavoro intellettuale, oltreché umano di Dario Fo: “Perché seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. In pieno stile giullaresco, pronto il suo commento: “Alcuni amici miei, letterati, artisti famosi, intervistati da giornali e televisioni, hanno dichiarato: “Il premio più alto va dato senz’altro quest’anno ai Membri dell’Accademia svedese che hanno avuto il coraggio di assegnare il Nobel a un giullare! Eh sì, il Vostro è stato davvero un atto di coraggio che rasenta la provocazione”. E così vogliamo ricordarlo, il giullare degli oppressi!

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Dario Fo con Roberto Saviano. Il quadro che Dario Fo dipinse per Saviano

P.S. nelle foto, un quadro che Dario dipinse per me. Mi ci riconosco. Mi ha ritratto pensoso, ma immerso nei colori e… senza scorta.

 

 

 

 

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Torniamo ad Altiero Spinelli

di Francesco GUI

convegno-spinelliNella concezione di Altiero Spinelli maturata in un decennio di riflessioni filosofiche carcerarie, il federalismo consisteva essenzialmente in un’innovazione creativa dell’intelletto mediante il quale l’umanità passava da una civilizzazione ormai esaurita (quella dello stato nazionale sovrano) ad una nuova e più libera, fondata sulla sovra nazionalità. Trattandosi di un prodotto dell’intelletto, non di una diversa fase dello spirito, deterministicamente trasmigrante da un momento all’altro, la nuova stagione della civiltà umana richiedeva di essere instaurata attraverso una precisa soluzione istituzionale, quella appunto federale, mutuata dal modello americano. Senza una rigorosa applicazione dello strumento ‘hamiltoniano’, ogni aspirazione al superamento dello stato di guerra permanente fra gli stati e di povertà di massa delle popolazioni, restava pura velleità.

Di qui la meticolosa, quasi ossessiva attenzione di Spinelli per la cesura istituzionale fra il prima e il dopo, da realizzare, se possibile, attraverso un momento costituente, che all’inizio doveva essere addirittura ‘leninista’ e rivoluzionario.

Al di là di alcuni accenti superomistici e di un’istintiva concretezza machiavelliana, il nostro era anche consapevole che la prospettiva federalista costituiva il punto d’incontro fra le componenti progressive del suo tempo: vale a dire l’internazionalismo socialista democratico, l’universalismo cristiano che avesse abbandonato lo spirito di crociata e le correnti di pensiero liberal-democratico non soggiogate dal mito dello stato nazionale. Il federalismo, fondato sull’idea della pace permanente e della pace istituzionale, poteva costituire insomma il comune terreno di convivenza fra componenti diverse in vista di una più alta civilizzazione.

L’impegno de “Gli Stati Uniti d’Europa”[1] è di tenere viva la sostanza intellettuale e politica del Manifesto di Ventotene , in una fase parecchio nebulosa, in cui l’incertezza sui confini dell’Unione (vedi la questione turca) o l’attesa dell’esito dei referendum sulla costituzione (assolutamente cruciale quello francese di primavera), insieme con gli sbandamenti sulla questione irakena e sulla politica estera dell’Unione, determinano un rilancio delle iniziative nazionali e delle contrapposizioni all’interno degli stati, in assenza peraltro di chiare direttrici di azione e di attendibili soluzioni economico-sociali.

In definitiva, appare indispensabile mantenere salda la coesione di fondo, magari accantonando attriti di importanza secondaria, fra le componenti politiche legate agli obbiettivi tracciati dai padri fondatori (che in Italia sono chiamate a difendere anche la costituzione repubblicana). Al tempo stesso, nelle scelte politiche dell’Unione, il giudizio deve continuare a fondarsi sul préalable (preliminare) istituzionale, da suggerire anche al resto del mondo, vicini dell’Europa compresi. Malgrado le disillusioni e le smentite del quotidiano, l’impegno federalista è un impegno di civiltà, è un fattore identitario, è un legame forte fra credenti e non credenti. È il nord magnetico in questi difficili frangenti.

[1] Rivista pubblicata sino al 1939 dal 1867 dalla Lega internazionale della pace e della libertà al Congresso della pace di Ginevra sotto la presidenza di Giuseppe Garibaldi col patrocinio di Victor Hugo e alla presenza di Bakunin, continuata da Charles Lemonnier rivendicando libertà per le donne e i sindacati, il suffragio universale, la costituzione armate e tribunali comuni, l’abolizione della pena di morte. “Critica liberale” la rieditò nel 2004.

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