Mese: Novembre 2013

Semplificazione, sinergia, ottimizzazione, prossimità istituzionale La Politica di coesione secondo il Parlamento Europeo

di Mariano Bonavolontà

La Politica di coesione è, probabilmente, l’elemento programmatico comunitario che rende più tangibile la particolarissima dinamica istituzionale che lega l’Unione europea ai suoi Stati ed alle sue Regioni. Spesso si parla di Europa delle Regioni, per intendere anche questo meccanismo di continuo dialogo, seguendo una metafora mentale molto particolare, quella di un’unica, grande nazione suddivisa in regioni interne, legate in un’indissolubile liaison con il Centro.

Da un punto di vista teorico – istituzionale, questa razionalità della rete, come può essere definita, sottosta a numerosi processi organizzativi dell’Unione europea, sia dal punto di vista dell’organizzazione reticolare dei suoi strumenti politici e finanziari (ed in questa accezione, la Politica di Coesione può essere considerata anche come l’esempio più paradigmatico), sia a livello di organizzazione delle sue istituzioni (in questo caso, basti pensare alla fitta rete di Rappresentanze ed alla Rete Europe Direct). In altri termini, l’Unione europea ha dimostrato, anche e soprattutto con la Politica di Coesione, di carpire appieno le istanze del potere delle reti e del potere del sistema e delle masse critiche.

Scheletro di intervento comunitario nella vita delle regioni e dei cittadini, la Politica di Coesione raggruppa diverse tipologie di fondi, secondo metodologie e tecnicismi che, per la loro naturale e necessaria capillarità, a volte possono risultare arcani ma, lungi dall’essere un arcana imperii di machiavellica memoria, è proprio grazie a questo continuo lavorio di cesellatura e di tessitura dell’intricata trama di fondi che l’Unione garantisce un intervento pervasivo e permeante all’interno delle diverse realtà regionali.

La Politica di Coesione, così come molte altre frange finanziarie strategiche dell’UE, è dinanzi ad un forte shift, dato che la programmazione attuale, 2007/2013, si chiuderà tra poche decine di giorni e la nuova programmazione, la 2014/2020, sarà attiva dall’anno prossimo ed i cambiamenti nella sua architettura interna avranno un’influenza pervasiva nelle istituzioni nazionali, regionali e, dunque, sui cittadini ed è per questo che il Parlamento europeo ha dimostrato estrema attenzione per l’argomento “Politica di Coesione”.

Il 20 novembre 2013, come annuncia il comunicato stampa relativo[1], il Parlamento europeo ha approvato la nuova Politica di Coesione per il periodo 2014/2020, lasso temporale di centrale rilevanza, dopo un lungo negoziato con il Consiglio. L’influsso del Parlamento europeo è stato di rilevante: l’istituzione parlamentare europea, tra le diverse ratio che hanno sostenuto la sua azione, ha perseguito molteplici obiettivi, tra cui la volontà di ottenere finanziamenti per le regioni dell’Unione, per investire in progetti di sviluppo e giungere ad una maggiore equità e ad uno snellimento delle procedure burocratiche. Quest’ultimo aspetto, agli occhi del Parlamento europeo, è apparso più che necessario, considerata anche l’attuale crisi economica, per cui “Gli Stati membri e le regioni potranno concentrarsi maggiormente sull’impatto dei programmi e dei progetti e preoccuparsi meno dei tecnicismi amministrativi”, come ha dichiarato la presidente della commissione per lo sviluppo regionale e capo negoziatore del Parlamento sulla politica di coesione, Danuta Hübner (PPE, PL).

Tra le altre caratteristiche della nuova Politica di Coesione spiccano la necessità di sviluppare una massa critica nella concentrazione strategica degli sforzi calibrati su Europa 2020 e la creazione di regole comuni, facendo ruotare attorno ad un “Quadro Strategico Comune” i cinque grandi fondi. Tra questi ultimi, il Parlamento ha posto significativamente l’accento sul Fondo Sociale Europeo (FSE), che può essere considerato come uno dei fondi “cardinali” nonché, probabilmente, uno dei più “antichi” nella programmazione comunitaria. Sempre il comunicato spiega infatti che il FSE è stato inteso anche come strumento strategico per combattere la povertà e la disoccupazione ed i deputati hanno dunque ricalcato la necessità di garantire almeno il 20% delle risorse del FSE in ogni Stato membro destinate a queste due tematiche; in aggiunta, sul fronte dei giovani e del lavoro, almeno 3 miliardi di euro dei finanziamenti del FSE sarà destinato all’iniziativa per l’occupazione giovanile.

Simbolicamente, la Politica di Coesione può essere intesa anche come strumento di vicinanza dell’Unione europea nei confronti degli Stati membri, sino ai livelli istituzionali su scala più locale; grazie a questa impalcatura, l’Unione, da sempre, riesce ad irrorare con una moltitudine di rivoli, i diversi territori del grande apparato comunitario, calibrando risorse, priorità e strategie sulle diverse necessità locali.

Con la Politica di Coesione, l’Unione europea è ancor più vicina, dunque, ai suoi cittadini ed alle loro istituzioni di prossimità e questa sembra essere stata una delle ragioni che hanno spronato il Parlamento a giungere ad un tale impegno che potrà ulteriormente essere avvalorato dalla partecipazione dei cittadini alle nuove elezioni che si terranno nel maggio 2014, perché solo facendosi rappresentare nel cuore dell’Europa, anche il più (geograficamente) lontano cittadino potrà beneficiare di una sua rappresentanza e della salvaguardia delle sue priorità.

 

 

Con la cultura si mangia: la lezione dell’UE

di Mariano Bonavolontà

In base al recente Eurobarometro Standard 79 – Primavera, la cultura rappresenta l’elemento aggregante del sentimento di appartenenza europea[1]. La cultura, più dell’economia, della storia, delle lingue, degli sport, dei valori, della legislazione, della geografia e di tutte le altre opzioni che la popolazione di riferimento ha ricevuto come scelta nell’inchiesta, è considerata come il cemento che permette di creare un sentimento identitario dalla maggior parte dei cittadini europei.

Fiumi di inchiostro hanno popolato insigni saggi di matrice economica, antropologica, sociologica, linguistica, politologica, filosofica nel tentativo di gettare luce su questa nebulosa, la cultura europea, dai confini gassosi ed indefiniti ma dall’impatto estremamente potente.

È innegabile che sussista un fil rouge che percorre, come quello di Arianna nel mitico labirinto, il piccolo vecchio continente, sfrecciando attorno alle città d’arte e cultura millenarie, congiungendo, a volte in maniera tangibile, altre volte in maniera intangibile, lembi di territorio che procedono dalle sponde dell’Atlantico sino ai confini con il magico oriente.

È inequivocabile il cortocircuito creativo che sprigiona dall’incontro di culture provenienti da ceppi diversi, eppure così legate da un comune passato. Da Roma, ad esempio, è possibile far partire un centro di irradiamento di queste fondamenta culturali le cui eco, per nulla impolverate dai millenni trascorsi, possono ancora essere ascoltate, seppur con qualche difficoltà, dato l’odierno frastuono.

In tempi dove il falcidio della cultura è più regolare e repentino della mietitura del grano, specie in alcuni paesi tra cui l’Italia, l’Europa risponde a questa triste e miope tendenza con il Programma “Europa Creativa”, proposto dalla Commissione europea nel novembre 2011 che mira ad un incremento degli attuali margini di spesa dei programmi in questo settore, principalmente MEDIA e CULTURA.

Secondo i dati forniti dalla Commissione europea[2], in Europa il settore riferito all’ambito culturale e creativo contribuisce al 4.5% del PIL europeo, dando occupazione a 8.5 milioni di persone.

Il tema dell’incremento degli investimenti nei campi culturali è una costante, a dir il vero, delle politiche europee, come dimostra l’Impact Assessment del Programma Europa Creativa[3], con un continuo climax di programmi nelle diverse programmazioni: si sono alternati Kaleidoscope, Ariane, Raphael, Cultura 2000, Bodies active at European level in the field of culture e Cultura 2007/2013.

Il panorama di azione di questo mare magnum di interventi nel settore ha avuto un forte impatto a livello economico, produttivo, simbolico; ha sviluppato azioni nei più disparati campi, dal cinema al patrimonio culturale, dalle lingue ai festival, sostenendo, drenando, dando linfa vitale alla cultura.

Da un punto di vista teorico, è possibile inferire, inoltre, che l’UE ha un approccio pragmatico, lucido e manageriale al prodotto culturale: ben conscia delle attuali difficoltà economiche, della centralità nella vita dei cittadini giocata dal prodotto culturale, del ruolo non accessorio della cultura nella vita civile del prodotto culturale, l’UE adotta strategie per dar la possibilità ai prodotti “dell’industria culturale” di svilupparsi.

Il 5 novembre, la Commissione CULTURA del Parlamento europeo ha votato su due grandi programmazioni multi annuali quali l’ERASMUS + ed EUROPA CREATIVA[4] in attesa del voto in plenaria di novembre.

All’interno dei negoziati, in particolare, è emerso che[5] i membri del Parlamento europeo hanno puntato i riflettori, tra le diverse questioni, anche sull’importanza del doppiaggio, dei sottotitoli e delle audiodescrizioni dei film europei: questi possono essere intesi come strumenti centrali e chiavi di volta per poter facilitare al massimo la distribuzione dei film europei, step strategico nella filiera produttiva del mondo cinematografico. Inoltre, il Parlamento ha dato la possibilità all’Unione europea di continuare ad essere parte integrante dell’Osservatorio Audiovisivo Europeo, grande camera di compensazione e di registrazione dei dati dei prodotti culturali.

Il 19 novembre, in un comunicato stampa[6], la Commissione ha espresso il suo plauso al Parlamento europeo per l’approvazione di quest’ultimo del programma Europa Creativa.

Ecco qualche numero per avere il polso dell’importanza di questa nuova programmazione: il bilancio sarà di 1,46 miliardi di euro, ovvero il 9% in più se comparato con gli attuali livelli; tra i beneficiari stimati, si calcola che Europa Creativa aiuterà 250 000 artisti ed operatori culturali, 2 000 cinema, 800 film e 4 500 traduzioni; a ciò bisogna anche aggiungere l’introduzione del nuovo strumento di garanzia finanziaria che permetterà alle PMI che operano nel settore culturale e creativo di accedere a prestiti bancari per un totale di 750 milioni di euro. Quest’ultimo strumento è stato messo in risalto anche da un comunicato stampa[7] del Parlamento, rilasciato lo stesso giorno: grazie a questa introduzione, gli operatori dei settori creativi e culturali, tutti i potenziali player di progetti in questi settori, dai videogiochi al teatro sino alla street art, avranno la possibilità di accedere a strumenti finanziari da parte delle banche europee, dalle quali potranno ottenere dei prestiti che potranno essere parzialmente garantiti dal Programma.

Ora si rimane in attesa della adozione definitiva da parte del Consiglio, dopo la quale il Programma entrerà in azione a partire da gennaio 2014.

Con questi sforzi, il Parlamento ha dato nuova riprova dell’importanza delle sue strategie istituzionali nel campo della cultura, mantenendosi aderente alla sua essenza di grande specchio della cittadinanza europea.

Si rimane ancora in attesa della definizione finale del Programma Europa Creativa anche se le fondamenta sono state gettate: solide basi sulle quali l’Europa potrà continuare a produrre cultura, unico strumento in grado di poter rinsaldare, nel breve, nel medio e nel lungo termine, la cittadinanza europea che potrà continuare a beneficiare dell’influsso del Parlamento europeo partecipando alle prossime elezioni del 2014: un momento di elevata civiltà e, dunque, di cultura.