Mese: Febbraio 2014

L’Europa e le politiche di non-discriminazione: Evoluzione del sistema di tutele offerto dall’UE

di Mariarosalba Angrisani

Introduzione

Nel quadro del diritto dell’Unione Europea esiste un insieme di norme concernenti il divieto di discriminazione in una serie di diversi contesti. Le tutele fornite sono rintracciabili, come si vedrà, sia all’interno del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e in alcune disposizioni del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFUE), che in specifiche Direttive a tale scopo emanate[1]. Inoltre, analoghe forme di protezione sono presenti in numerose norme sancite dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali[2] (CEDU), emanata dal Consiglio d’Europa e inclusa nel sistema normativo europeo grazie alle innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona.

I. La Protezione offerta dal Consiglio d’Europa

La proibizione di pratiche discriminatorie all’interno della CEDU è garantita dall’articolo 14 della Convenzione[3], riguardante l’equo trattamento nel godimento degli altri diritti previsti dalla Convenzione. Il protocollo n. 12 del 2000[4], entrato in vigore il 1 aprile 2005, sebbene non sia stato ancora ratificato da tutti gli Stati Membri dell’UE[5], espande la portata del divieto di discriminazione garantendo un equo trattamento nel godimento di ogni tipologia di diritti (inclusi quelli previsti dal diritto nazionale). L’intento sotteso al contenuto di tale protocollo è quello di rafforzare la tutela da ogni forma di discriminazione, considerata il reale ostacolo alla piena tutela dei diritti dell’uomo.

Il principio di non-discriminazione costituisce, inoltre, oggetto di ulteriori documenti emanati dal Consiglio Europeo. In primo luogo, la Carta Sociale Europea, nella versione emendata del 1996, che include sia il diritto alle pari opportunità che quello a un equo trattamento in materia di assunzione e occupazione, proteggendo da forme di discriminazione orientate secondo il genere[6].

Una tutela addizionale contro diverse forme di discriminazione è fornita dalla Convenzione Quadro per la Protezione delle Minoranze Nazionali[7] e dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulle Azioni conto il Traffico di Esseri Umani[8]. Ancora, esiste un riferimento alla protezione contro la promozione di azioni discriminatorie anche nel Protocollo Addizionale alla Convenzione sulla Criminalità Informatica[9], relativo all’incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici.

Pertanto, appare evidente quanto la questione del divieto di discriminazione abbia influenzato la produzione normativa del Consiglio d’Europa, per il quale tale principio è rilevante al pari di ogni altra libertà fondamentale che, ontologicamente, necessita di adeguate tutele legislative.

II. L’Unione Europea, i diritti dell’uomo e il principio di non-discriminazione

Come noto, l’Unione Europea nasce come una semplice organizzazione intergovernativa articolata in tre “Comunità” stabilite a partire dal 1951[10] con l’obiettivo di realizzare il libero scambio e sancire forme di cooperazione in materia di sicurezza energetica tra i Paesi Membri. Scopo primario delle tre Comunità era dunque puramente economico e orientato allo sviluppo della libera circolazione di beni, persone, capitali e servizi, tralasciando intenzionalmente altri profili di tutela quali quelli ascrivibili ai diritti dell’uomo.

Nel corso della sua evoluzione l’Unione ha, di fatto, acquisito personalità giuridica separata da quella delle Comunità originariamente istituite, ed è ora composta da 28 Stati Membri. Al fine di garantire il medesimo livello di discrezionalità tra gli Stati Membri, il Trattato di Roma del 1957conteneva al suo interno una norma il cui disposto affermava il divieto di discriminazione sulla base del sesso in contesti occupazionali. Ciò avrebbe impedito a taluni Stati Membri di ottenere un vantaggio competitivo sugli altri offrendo compensi più bassi, ovvero condizioni lavorative meno favorevoli per le donne. Sebbene tale sistema normativo si sia considerevolmente evoluto al punto di prevedere profili di tutela riguardanti pensioni, maternità e regimi di previdenza sociale, fino al 2000 la legislazione sulla non-discriminazione all’interno dell’UE poteva applicarsi solo al contesto dell’impiego e della previdenza sociale e copriva esclusivamente il piano del genere.

Tuttavia, durante gli anni ’90 una significativa attività di lobbying portata avanti da gruppi di pubblico interesse ha richiesto (e in seguito ottenuto) che istituti di proibizione di forme di discriminazione sancite dal diritto europeo fossero estesi ad aree quali razza ed etnia, orientamento sessuale, credo religioso, età e disabilità. Conseguentemente, il disposto del Trattato sulla Comunità Europea è stato emendato sì da attribuire alla Comunità competenza legislativa in suddetti abiti.

Nel 2000 furono, infatti, adottate due direttive: i. la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e che prevede il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale; e ii. la Direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, non soltanto riguardo alle modalità di assunzione e impiego, ma anche riguardo all’accesso a un sistema di welfare e di sicurezza previdenziale, e a beni e servizi in genere.

Tali strumenti hanno rappresentato un significativo ampliamento della portata della legislazione volta a tutelare il principio di non discriminazione prodotta dall’Unione, la quale riconosceva che per permettere agli individui di raggiungere il pieno potenziale sul mercato dell’impiego era essenziale garantire loro un equo accesso ad altri servizi concernenti la salute, la formazione e facilitazioni sulle abitazioni. Pertanto, nel 2004 fu emanata la Direttiva 2004/113/CE del Consiglio del 13 dicembre 2004 che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura ampliando, conseguentemente, la portata di azioni discriminatorie sul piano del genere anche all’area dei beni e dei servizi potenzialmente fruibili.

Appare opportuno evidenziare, tuttavia, che la tutela riferita alla parità di genere non collima pienamente con l’ambito di protezione offerto dalla Direttiva 2000/43/CE sulla parità di trattamento tra persone indipendentemente da razza o etnia poiché la citata Direttiva 2004/113 garantisce unicamente un equo trattamento in relazione alla previdenza sociale e non già alla più completa offerta del sistema di welfare nella sua totalità, comprendente, ad esempio, l’assistenza ed eventuale copertura sanitaria, nonché l’accesso alla formazione.

In considerazione del fatto che situazioni potenzialmente discriminatorie dovute all’orientamento sessuale, al credo religioso, a un’eventuale disabilità o all’età abbiano trovato tutela esclusivamente in ambito lavorativo, nel 2008 è stata avanzata una proposta definita Direttiva sulla Parità di Trattamento (anche nota come Horizontal Directive) al fine di estendere la protezione da atteggiamenti discriminatori anche all’ambito di accesso a beni e servizi. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, invero, a distanza di quasi sei anni tale proposta non è stata ancora tramutata in uno strumento giuridico vincolante.

III. La Proposta di una “Horizontal Directive”

Nel 2008 la Commissione Europea ha formulato una proposta di Direttiva[11] concernente la parità di trattamento al fine di armonizzare le disposizioni di tutela nei confronti delle categorie che maggiormente necessitano di protezione poiché, come si è detto, uno studio dettagliato sulla legislazione prodotta in seno all’Unione Europea ha rivelato che pratiche discriminatorie continuano ad essere attuate nonostante il quadro legislativo già in vigore e che le tipologie di protezione offerte non ricomprendo ancora tutte le fattispecie in cui sia necessario un trattamento paritario ed equo. Pertanto, a seguito di un periodo di consultazioni, la proposta in questione è stata formulata il 2 luglio del 2008[12] dinanzi al Parlamento europeo e discussa nel Consiglio Europeo del 2 ottobre 2008[13]., in occasione del quale è stato dato l’assenso al proseguimento dei lavori sul testo della Direttiva Inoltre, il 14 gennaio 2009 il Comitato Economico e Sociale Europeo ha emesso un parere sul contenuto della bozza della Direttiva che accoglie pienamente la proposta, enumerando, però, i punti da chiarire[14].

Il Parlamento Europeo ha, quindi, approvato la proposta di Direttiva il 2 aprile 2009 apportando alcuni emendamenti tra i quali rilevano i seguenti[15]:

  • l’aggiunta di categorie di discriminazioni multiple che includano razza e genere;
  • l’inserimento di una definizione di disabilità in linea con il dettato della Convenzione dell’ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità;
  • l’introduzione di ulteriori fattispecie discriminatorie riconducibili al rifiuto di trattamento medico in base all’età, alla mancata concessione di un cane guida, alla discriminazione dovuta alla partecipazione a determinate associazioni o basata su presupposti infondati;
  • l’estensione di misure ragionevoli di accesso per le persone disabili;
  • l’aggiunta dell’obbligo di proporre attivamente la parità;
  • l’inclusione delle modalità di occupazione all’interno delle competenze del comitato designato per le pari opportunità.

Attualmente, la proposta è ancora in fieri, in quanto ulteriore approfondimento si è reso necessario in merito all’ambito di ragionevole collocamento delle persone con disabilità, come  segnalato nel Report del 2011[16] e nell’ultima relazione annuale risalente al 23 ottobre 2013[17].

V. Conclusioni

Da quanto sinora emerso, la legislazione dell’Unione Europea in materia di non-discriminazione opera attraverso una serie di Direttive del Consiglio dell’Unione che forniscono livelli variabili di tutela contro modalità discriminatorie sia dirette che indirette, nonché contro aggressioni sul piano razziale, etnico, di genere, religione o credo, età od orientamento sessuale. Ciò nonostante, queste Direttive continuano a offrire standard di protezione su livelli di parità troppo diversi e non omogenei. Per ovviare a ciò le direttive concernenti il principio di non-discriminazione sono state indirizzate verso un’operazione di armonizzazione così che le molteplici fattispecie esistenti possano essere tutelate col medesimo standard egualitario.  La più recente di tali direttive, precedentemente descritta, è la c.d. Horizontal Directive che propone di offrire le medesime garanzie di trattamento paritario in molteplici ambiti.

Ogni presidenza del Parlamento Europeo si è concentrata su determinati aspetti della bozza di Direttiva, ma il calendario per l’introduzione del contenuto completo del testo finale non è stato ancora definito.

Infine, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009 ha apportato un’altra innovazione sostanziale nel senso di conferire forza giuridica vincolante alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europa, con la conseguenza di obbligare al rispetto delle disposizioni in essa contenute anche gli Stati Membri, sebbene soltanto nella circostanza in cui debbano applicare il diritto europeo. Espresso divieto di azioni discriminatorie in diversi ambiti è formulato nell’articolo 21 della Carta[18]: tale disposizione consente agli individui di impugnare la legislazione europea o nazionale (che applichi il diritto europeo) qualora da tali atti si evinca il mancato rispetto di suddetto divieto.

 


[1] Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro e le successive modifiche apportate dalla Direttiva 2002/73/CE e dalla Direttiva 2006/54/CE che abroga la Direttiva 76/2087/CEE al 14.8.2009; Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; Direttiva 2000/78/EC del Consiglio del 27 novembre 2001 relativa alla creazione di un quadro generale a favore della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro.

[2] Firmata a Roma il 4 novembre 1950.

[3] Che così recita: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.

[4] Il Protocollo n. 12 fornisce una protezione generale in merito alle pratiche discriminatorie, mentre il disposto dell’articolo 4 della CEDU ha portata più limitata poiché contempla unicamente i casi di discriminazione che intervengono nel godimento di alcuni diritti garantiti dalla Convenzione stessa. Scopo del Protocollo è proprio quello di rimuovere tali limitazioni per garantire che nessuno possa essere discriminato in alcun caso dalla pubblica autorità.

[5] Il numero aggiornato dei Paesi Membri dell’UE che hanno ratificato il protocollo 12 può essere controllato alla seguente pagina web:

www.conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=177&CM=7&DF=16/07/2010&CL=ENG.

[6] Si vedano gli articoli 20 ed E nella parte V della Carta Sociale Europea.

[7] Cfr. gli articoli 4, 6(2) e 9 della Convenzione Quadro per la Protezione delle Minoranze Nazionali.

[8] Cfr. l’ articolo 2(1) della Convezione del Consiglio d’ Europa sulle Azioni Contro il Traffico di Esseri Umani.

[9] Protocollo addizionale alla Convenzione STCE n°189, del 28.01.20103, entrato in vigore il 1.03.2006.

[10] Più precisamente, il Trattato Istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) è stato firmato il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore nel 1952, mentre il Trattato di Roma, istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom) è stato firmato il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore nel 1958.

[11] Cfr. Commission of the European Communities, Commission Staff Working Document Accompanying the Proposal for a Council Directive on Implementing Equal Treatment Between Persons Irrespective of Religion or Belief, Disability, Age or Sexual Orientation, SEC (2180) 2008 2.7.2008: http://register.consilium.europa.eu/pdf/en/08/st11/st11531-ad01.en08.pdf.

[12] Si veda il documento: Draft Directive and Explanatory Memorandum COM (2008) 426 2.7.2008 al seguente link: http://eur- lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0426:FIN:EN:PDF.

[13] Il cui documento relativo è il seguente: 2893rd Council meeting on employment, social policy, health and consumer affairs, Luxembourg, 2 ottobre 2008:

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=PRES/08/271&format=HTML&aged=0&lg=en&guiLanguage=e.

[14] Si veda il seguente documento: Opinion of the European Economic and Social Committee on the proposal for a Council directive on implementing the principle of equal treatment between persons irrespective of religion or belief, disability, age and sexual orientation, SOC/326 14 gennaio 2009, alla pagina: http://eescopinions.eesc.europa.eu/eescopiniondocument.aspx?language=en&docnr=49&year=2009.

[15] European Parliament legislative resolution of 2 April 2009 on the proposal for a Council directive on implementing the principle of equal treatment between persons irrespective of religion or belief, disability, age or sexual orientation P6_TA(2009)0211, disponibile a questa pagina web:

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P6-TA-2009- 0211+0+DOC+PDF+V0//EN.

[16] Il testo integrale è il seguente: Proposal for a Council Directive on implementing the principle of equal treatment between persons irrespective of religion or belief, disability, age or sexual orientation – Progress Report 10615/11 1 giugno 2011, consultabile alla pagina: http://register.consilium.europa.eu/pdf/en/11/st10/st10615.en11.pdf.

[18]  Il cui comma 1 dispone quanto segue: “E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

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Europa, sinonimo di Bellezza

La bellezza come base e contenuto per una nuova comunicazione dell’UE


di Mariano Bonavolontà, Editoriale

a un punto di vista epistemologico, la parola “Europa” suscita continuamente spunti di riflessione nelle più disparate discipline come altri pochi lemmi. “Europa” sprona gli studiosi di comunicazione ad approfondire le dinamiche con le quali il continente e l’UE si comunicano o vengono comunicati, i linguisti approfondiscono il crogiolo multilingue, i latinisti vedono in Roma la base della propria scienza, gli storici possono affondare a piene mani nelle millenarie vicissitudini storiche di quello che, non a caso, è chiamato “Vecchio continente” e gli storici dell’arte hanno solo l’imbarazzo della scelta.

Parlare di stile di vita europeo implica, innanzitutto, una riflessione di carattere estetico, nel senso tecnico del termine, ovvero della percezione delle emozioni e nel senso lato del termine, ovvero della perfezione e della bellezza.

Dal primo punto di vista, in effetti, il termine “Europa” appare contraddittorio, in quanto traina a sé un vasto carico emozionale bipolare o, addirittura, tripolare, scisso tra europeisti, euroscettici ed una fascia della popolazione che ristagna nella mancanza di opinione, a causa, spesso, di informazione distorta oppure mancanza di informazione. Non è possibile additare al semplice distaccamento delle diverse generazioni quest’ultimo sentimento di non interesse per una realtà così importante quale l’Unione europea, in quanto il sentimento europeista, specialmente in Italia, appare autogestito ed autogenerato, ovvero nato dalla spontanea volontà dei singoli e non guidato, alimentato, dalla corretta e pervasiva comunicazione che, invece, è necessaria in questi casi. In altri termini, la comunicazione tradizionale, che ancora riveste un ruolo primario non solo per le generazioni non giovanissime, non genera sufficiente dibattito per orientare una presa di posizione, accentua un sentimento euroscettico con spiegazioni resa dai politici sui media, che vedono l’UE come capro espiatorio di problematiche, in una dimensione semplicistica nella quale l’UE, dal canto suo, soffre di mancanza di voce all’interno dei media tradizionali.

Ovviamente, in questa sede non si sposa assolutamente l’idea della necessità di una cieca e mera propaganda pro-Europa, né l’idea della necessità di guidare verso un sentimento europeistico semplicemente attraverso una semplice promozione in risposta ai moti di comunicazione anti-Europa, così facendo, non si arriverebbe al risultato sperato di una piena consapevolezza dell’importantissimo ruolo dell’UE nella vita quotidiana, bensì è necessaria una dialettica tra le diverse posizioni e tra queste ultime e le istituzioni comunitarie, per una sedimentazione della consapevolezza europea in ogni cittadino europeo: una opinione identica ed eterodotta è artificiale.

In questo senso, l’UE si è mossa, da tempo, in maniera corretta, attraverso determinate operazioni di comunicazione: in primis i dialoghi con i cittadini durante l’Anno europeo a loro dedicato, attraverso le chat on line, attraverso eventi e campagne di ascolto.

L’altro punto di vista si riferisce invece al concetto di bellezza dell’Europa che può diventare una base per la comunicazione: la bellezza come fil rouge dello stile di vita europeo.

Nelle diverse campagne di comunicazione dell’Europa sul patrimonio artistico, naturalistico e culturale, quello che spicca è la ricchezza declinata alla immensa diversità europea. L’Europa abbraccia tutti i periodi storico-artistici che sono la cornice delle sue città, con particolare riferimento ad alcune città come Roma, Parigi, Bruxelles e molte altre, veri e propri musei a cielo aperto, che contribuiscono a rendere l’Europa la prima meta turistica al mondo.

La bellezza gioca un ruolo fondamentale nell’immagine di Europa, molto influente sull’immaginario collettivo europeo e soprattutto, extraeuropeo. Non è un caso che le pellicole che si focalizzano su di esso suscitano sempre un grande fascino, una irresistibile attrazione nel pubblico non europeo, non abituato, fondamentalmente, ad essere continuamente circondato dalla bellezza storica. Non bisogna sottovalutare la relatività della popolazione europea nei confronti di quella globale, sarebbe possibile parlare di una vera e propria necessità di bellezza estetica nella vita di ogni persona nella ipotetica piramide di Maslow, bisogno che verrebbe completamente colmato dal patrimonio europeo.

La retorica della bellezza è un’ottima chiave per rispondere con una forte e decisa dolcezza alle forze euroscettiche, antieuropeistiche, nazionalistiche. Si badi bene: non si tratta di rispolverare idee estetiche idealiste ottocentesche, né di imporre una sorta di continua sindrome di Stendhal. Parlare di retorica della bellezza, oggi, applicata all’Europa, implica una ben definita ottica pratica e pragmatica che declina contenuti imprenditoriali turistici, le attrattive delle bellezze naturalistiche dell’Europa, il grande romanzo storico tessuto dai secoli nel Vecchio Continente, senza mancare i contenuti scientifici e la profonda tradizione speculativa delle grandi università europee.

Sembra, dunque, che la bellezza, intesa in questa accezione, possa abbracciare diversi ambiti strategici per riformulare e riorientare il sentimento di appartenenza all’Unione europea.

Dal punto di vista comunicativo: il panorama della comunicazione sull‘Unione europea non sfrutta, quasi mai, il patrimonio estetico a disposizione. Le indagini specifiche dell’Eurobarometro stabiliscono a più riprese come nel bacino mediatico confluiscano pochi messaggi dedicati alle accezioni virtuose dell’Europa, annegati nel disinteresse o, peggio, nelle acque di scarico delle responsabilità politiche, stigmatizzando l’UE come impositrice di scelte ardue e difficili, di cui la classe politica nazionale non ha colpa. La responsabilità di questa dinamica, particolarmente visibile in Italia, non è attribuibile esclusivamente ai media tradizionali, perché questi ultimi devono sottostare alle logiche di mercato, emettendo prodotti mediali che intercettano gli interessi di fruitori evidentemente poco sensibili alle dinamiche comunitarie. È dunque una sorta di sistema che si autoalimenta che può essere spezzato con la retorica della bellezza.

Quest’ultima può essere considerata, senza timore d’errore uno dei diversi fili che intrecciano lo stile di vita europeo. L’idea della bellezza, del patrimonio culturale materiale che rispecchia una comune identità culturale immateriale, del patrimonio immateriale che  è sinonimo di basi sottese materiali alla cultura, è una strategia di comunicazione basata sui contenuti. L’Eurobarometro standard 79[1] Primavera sulla cittadinanza europea ha dimostrato come il concetto di cultura sia il cemento che, nella opinione media europea, possa essere alla base dell’identità europea.

Questo discorso è valido su diverse scale territoriali e dunque una comunicazione sullo stile di vita europeo può essere declinato nella dimensione partenopea, italiana ed europea.

Sfruttare l’idea di bellezza intesa in questo senso lato significa anche andare ad agire, a livello di comunicazione, sull’inconscio collettivo di immagini, stili e valori che ruotano attorno all’Europa, attecchendo sia nel popolo europeo che al suo esterno, seguendo un processo di associazione semantica simile a quello sfruttato dal settore privato in alcuni ambiti come, ad esempio, il Made in Italy, il Made in France e così via. Basti leggere, ad esempio, i romanzi russi, di come da Mosca o San Pietroburgo venivano viste le città europee; basti guardare film recenti americani, altro esempio, e di come sono rivisitate le attuali bellezze europee, come “Mangia, prega, ama” o “To Rome sito love”.

Soprattutto oltreoceano, le immagini italiane, ad esempio, sembrano ancora essere cristallizzate e raccontano il Bel Paese come crogiolo di buon vivere, buona cucina, arte ed artigianato. Si potrebbe tentare, a livello di comunicazione, di trasferire il medesimo processo, il medesimo metamodello, anche all’intera Unione europea. È dunque necessario identificare in primis i contenuti trasversali, tangibili ma anche abbastanza flessibili da essere adattati all’intera Unione, per poter poi applicarli all’interezza del suo unicum.

Un tentativo di successo, è già stato sperimentato con la campagna “Europe, whenever you are ready”, che può essere il giusto punto di partenza dal quale iniziare il cammino della comunicazione della bellezza.

Si potrebbe obiettare che una siffatta comunicazione possa parere anacronistica, passatista, ingenua e naïf. Tre sono le risposte a questa ipotetica obiezione. Innanzitutto, comunicare l’Unione europea significa anche trasmetterne i valori i quali, a loro volta, sono connessi, indissolubilmente, alla sua intrinseca bellezza. In secondo luogo, bisogna evitare di guardare con ribrezzo strategie di comunicazione che sembrano non innovative, ancorate al passato, perché una forzata e continua proiezione verso il “nuovo a tutti i costi” rischia di portare ad una comunicazione vuota. In terzo luogo, comunicare solo una realtà fatta di numeri, percentuali, dichiarazioni politiche, è solo un’illusione di veridicità: la realtà è anche sogno, limite a cui tendere, ideale e bellezza la quale, come Dostoevskij scriveva, salverà il mondo.

 


[1] Eurobarometro standard 79 – Primavera , pag. 32

W epe editoriale Bonavolonta Europa, sinonimo di Bellezza