Mese: Aprile 2016

Il mistero Ferrante. Il labirinto di un’identità nascosta.

di Anna Irene Cesarano

ferranteEscono in America le traduzione dei suoi libri e l’Hotel Romeo organizza a Napoli piccoli Tour sulle vie narrate dai suoi romanzi. La letteratura come occhio di bue turistico continua a funzionare.

E quante sono le storie di Napoli…

Continua il mistero sull’identità della scrittrice partenopea, che forse è uno scrittore, come molti hanno supposto. Chi si cela dietro Elena Ferrante? E perché avere successo e non prendersene il merito?

Questo non ci è dato sapere, ma quello che diamo per certo è che è diventato già un giallo letterario e che impazzano le ipotesi sulla identità della “scrittrice fantasma”, così come è stata definita da qualcuno. Fredda la smentita della storica Marcella Marmo, ordinaria di storia contemporanea all’Università di Napoli Federico. «La notorietà per meriti non propri non è mai gradevole. Ringrazio tutti quelli che hanno potuto pensare che io sia una felice scrittrice di best seller, ma come ho cercato invano già di dire nei giorni scorsi io non sono Elena Ferrante. Malgrado non abbia concesso possibilità di dubbio, la notizia che ci sia io dietro l’identità della Ferrante continua a circolare. Chiedo cortesemente alla stampa di archiviare il giallo letterario e di lasciarmi al mio lavoro di storica». Eppure il dantista e scrittore Marco Santagata ha fatto una vera e propria ricostruzione sul Corriere della Sera, trovando molte coincidenze tra la Marmo e la Ferrante, come ad esempio le ambientazioni o i dettagli linguistici. E che dire della rivelazione fatta proprio sul profilo facebook di Marco Santagata dalla figlia della Marmo, Arianna Sacerdoti, «Lo confesso: Elena Ferrante sono io. Le ambientazioni e i dettagli pisani sono frutto dei ricordi di mia madre, Marcella Marmo, mentre il resto (e la penna ‘letteraria’) sono miei». Bè anche in questo caso è possibile trovare delle assonanze forti tra le due donne, a cominciare dal fatto che la Sacerdoti sia una latinista, così come ad esempio il personaggio di Elena Greco in Storia del nuovo cognome che studia letteratura latina, o ancora per il fatto che la figlia di Marcella Marmo sia una poetessa, scrittrice, autrice di storie per bambini così come aveva fatto anche Elena Ferrante.

Ma in questo labirinto contorto anche altre ipotesi prendono corpo, trasformandosi in persone in carne e ossa. Come quelle che accreditano lo scrittore napoletano Domenico Starnone o sua moglie (Anita Raja) o ancora Goffredo Fofi, Francesco Piccolo nella persona di Elena Ferrante. Ovviamente tutte smentite, ma c’è già chi parla di geniale trovata commerciale, di libri addirittura studiati al tavolino per carpire l’immaginario e i lettori d’oltreoceano, o ancora di un team tecnico che si celerebbe dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante. Quel che è certo è che parlano i numeri! Ottocentomila copie vendute in Italia, al vertice delle classifiche americane con oltre un milione di copie vendute, in quella del New York Times vi rimane per 27 settimane!

La rivista Foreign Policy l’ha inserita tra i primi cento global thinker nella categoria Chronicler. In Spagna è famosissima, è alla nona edizione, scalando le vette in Catalogna, Australia, Francia, Cile, Norvegia, Inghilterra, Israele. E pensare che solo pochi letterati italiani hanno varcato i confini nazionali, è il caso di Calvino, Umberto Eco, Saviano, Fallaci, Calasso, Baricco, per citarne alcuni.

E allora invece di fermarsi al chiacchiericcio, al rumore, ai pettegolezzi e alle ipotesi sollevate per sapere chi è veramente Elena Ferrante, che vorrei aggiungere, da vent’anni cela la sua identità, quando nel 1992 scrisse L’amore molesto tradotto poi in film I giorni dell’abbandono. Io volgerei lo sguardo altrove, alle ragioni di tanto successo. Il suo romanzo-saga L’amica geniale, un ciclo di quattro volumi, diventerà una serie tv The Neapolitan Novels, prodotta da Fandango. Racconta di due amiche Lila e Lenù, due donne in conflitto, contrapposte seppur indispensabili l’una all’altra. Sullo sfondo della storia una Napoli caotica, descritta nei minimi particolari, la “napoletanità” come tratto caratteristico del mistero Ferrante. Quella “napoletanità” che da sempre attira e instilla il seme della curiosità negli stranieri, un misto di stereotipo e luoghi comuni. La Napoli dei ceti sociali più umili, i “guappi” del quartiere che non mancano mai in perfetto stile Soprano, il Vesuvio e il paesaggio che fanno da contorno ad un racconto lungo una vita tra due donne, la forza della sua evoluzione e l’inscenare l’amicizia femminile, saranno questi i motivi di un successo planetario? Oppure l’intensità della penna, la vividezza delle emozioni che suscita, le storie in cui tutti ci riconosciamo? O il mistero di una firma senza volto che alimenta un alone di magia e fascino?

La morte dell’autore decreta il successo dell’opera! Si pensi agli artisti di tutti i tempi, in qualsiasi campo di produzione di immaginario collettivo, dagli impressionisti, il caso di Monet, Cezanne, allo stesso Van Gogh che in vita era considerato un povero pazzo, e sappiamo tutti la fortuna che ha riscosso appena morto.

E secondo voi se Marylin Monroe non fosse morta circondata da un alone di mistero sarebbe ancora oggi il mito universale di tutti i tempi? O avrebbe conosciuto il declino di Brigitte Bardot?

Sembra paradossale ma è così, appena muore un artista si insinua una curiosità morbosa per quello che ha fatto, per quello che è stato, per le sue opere. Ecco la corsa dei critici, tutti ad esaminarle, giudicarle, rivalutarle.

Ecco il fascino della morte/scomparsa, anche se metaforica, come nel caso della Ferrante.

Naturalmente questo fascino è supportato e alimentato da un grande talento narrativo!

W narrazioni Cesarano Il mistero Ferrante. Il labirinto di un’identità nascosta

Geriatric Doping

di Vincenzo Giarritiello

dopingConfesso che non mi ha stupito affatto la notizia della positività al controllo antidoping del settantanovenne Giorgio Maria Bortolozzi, tre titoli mondiali master tra salto lungo e triplo. Solo chi non bazzica il mondo degli amatori può non immaginare il giro di sostanze dopanti che circola nello sport. E soprattutto quanti “insospettabili” per via della loro veneranda età, ma non solo per l’età, ne fanno uso semplicemente per arrivare al traguardo prima del compagno di squadra.

Già da prima che iniziassi a gareggiare a livello agonistico indossando la maglia di un team podistico, ossia quando correvo solo per il gusto di fare attività sportiva al fine di tenermi in forma, seppure di sfuggita, mi giungevano all’orecchio voci dell’esistenza di un giro di doping nell’ambiente dei runners da far rabbrividire; di farmacie, pare anche note, che fornivano abusivamente a costi stratosferici a chiunque vi si rivolgesse sostanze proibite e, soprattutto, pericolose per la salute, le quali, una volte assunte, erano in grado di aumentare in maniera esponenziale le prestazioni di una atleta a qualsiasi età.

Fino a quando a mia volta non mi sono trovato a far parte dell’ambiente, per me quelle voci restavano tali. Anzi, ogni volta che me ne giungeva qualcuna, forte cresceva in me il dubbio che essa non fosse altro che una diceria divulgata da qualche perdente per infangare un proprio coetaneo o addirittura chi, pur essendo più anziano, in gara gli arrivava abbondantemente avanti al traguardo. Il sospetto che nell’ambiente qualcosa non funzionasse mi colse quando, partecipando a una delle mie prime gare, mi vidi superato senza alcun affanno da gente che, se non aveva addirittura il doppio dei miei anni, era molto più anziana di me di un bel po’ d’anni. Tuttavia, poiché all’epoca ero convinto che nessuno sarebbe stato tanto folle da mettere a rischio la propria salute assumendo sostanze proibite solo per arrivare di qualche posizione al traguardo prima degli altri, mi dicevo che quella invidiabile condizione fisica a scapito dell’età era conseguenza di duri allenamenti e di una vita sana che curava in maniera certosina l’alimentazione.

E seppure gli organi di informazione periodicamente riportassero notizie inerenti un consistente giro di doping tra quanti praticavano a livello amatoriale il culturismo e il ciclismo, riflettendo in quel modo in maniera speculare quanto avveniva a livello professionistico in quelle stesse discipline, nella mia ingenuità da neofita pensavo che il mondo del podismo, almeno a livello amatoriale, fosse immune da certe nefandezze. Un’oasi di purezza!

Sbagliavo. Se per un attimo avessi avuto il buon senso di considerare i diversi casi di doping che da sempre si registravano nell’atletica – non solo riguardanti gli atleti dell’est europeo sottoposti a bombardamenti ormonali dalle proprie federazioni per risultare vincenti in quanto, all’epoca della guerra fredda tra USA e URSS, nella potenza sportiva si rifletteva quelle politica di una nazione e di un’ideologia e attraverso i successi nello sporto si puntava a far presa sulle masse – avrei dovuto immaginare che anche a livello amatoriale l’atletica, in particolare il podismo, non poteva risultare esente da quella cattiva abitudine.

Ma che superata una certa fascia di età in cui all’agonismo dovrebbe anteporsi il gusto dello stare bene fisicamente e del divertimento, ci potessero essere persone, anche molto in là con gli anni, disposte a doparsi pur di primeggiare a ogni costo sugli altri, francamente non lo avrei mai pensato.

Da quando ho iniziato a gareggiare, e dunque a conoscere meglio l’ambiente dei runners, il piacere di correre spesso è sopraffatto dal disgusto alimentato dall’apprendere di persone che si doperebbero solo per arrivare davanti ai propri compagni di squadra. Gente di una certa età, alcune poco meno che coetanee di Bortolozzi, che non avrebbero alcun problema a assumere sostanze proibite per sentirsi a loro modo dei campioni.

Un nonno dovrebbe fungere da guida per i propri nipoti. Che esempio può dare se si dopa per primeggiare in una gara? Che favola può raccontare loro se non quella del rospo che si gonfia d’aria fino a scoppiare pur di assomigliare a un toro?

W MM Giarritiello Geriatric doping