Atlantide

di Viviana Reda

Negli abissi più profondi sommersi dalle acque giace il relitto di un antico cargo. Dagli oblò s’indovinano le vite passate, le dure mani dei marinai, i nodi delle dita dei mozzi, i rari sorrisi salati del capitano, le donnacce, la bonaccia, ma ciò che si vede è solo un’immagine mobile ed acquosa dei loro destini. Oggetti indefiniti affollano i numerosi livelli della nave, amuleti orientali, colori e spezie sconosciute, inchiostri e carte, tele e strumenti musicali, e giochi costruiti dalla ciurma nei momenti di noia.

Chissà dove andava il cargo, difficile è capirlo dalle mappe accurate e minuziose che il nostromo costruì con attenzione meticolosa, difficile è distinguere il disegno originario nella molteplicità delle indicazioni. Alcune, meraviglie di colore, distinguono accuratamente strade e selciati, palazzi e moschee, tutto variopinto e sgargiante come il sole brillante che acceca le prime ore del giorno.

Ogni particolare sembra indicare un segreto misterioso nascosto nelle pieghe del blu cobalto, ogni segno, ogni tratto vuole alludere a tesori visti e dimenticati, a vite imprigionate nel tempo e catturate dallo sguardo.

Altre mappe invece sono tristi e nere, cupa dimora di sfumature infinite che si cancellano l’una nell’altra indicando i contrapposti percorsi della fuliggine. Uomini tetri e scuri si nascondono nelle volute dei segni, nei duri tratti del carbone come segno di ogni paura, di ogni abbandono, di ogni dolore indescrivibile ed eterno.

Ma, per un apparente sortilegio, ogni singola carta porta in sé una indecifrabile assenza, come se ognuna nascondesse la sua origine, la sua misteriosa provenienza. Perciò è oscuro il significato delle mappe, né si intende quale sia stata l’ispirazione dei giochi, quali i paesi visti, quali le vite vissute.

Così la stiva, con le sue mappe, è l’Atlantide sommersa d’ogni visione perduta. Quadri e spartiti mai nati trovano qui un limbo felice, tra le ombre della vita, tra i fantasmi della notte, tra i sogni dei marinai che ancora navigano sul fondo del mare.

Un ricordo, un’immagine che non si trattiene nel mondo, fugge via e giunge volando all’oceano e poi ancora lo attraversa lì dove anche il mare finisce e sprofonda in se stesso, perdendosi. All’incrocio d’ogni rotta cade ogni sogno disperso, nell’oscura fessura ai confini del mondo, e giunge fin qui al cargo sommerso. Capitano e marinai son vivi anch’essi, qui, nel tempo fuori dal tempo, come ombre o eco di visioni perdute un giorno e dimenticate. Il diario di bordo segnala accuratamente ogni nuova meraviglia che arriva qui perdendosi per sempre.

Dagli oblò s’indovina ben poco, forse si può intravedere la mia sagoma nera ricurva ancora sulle carte, ombra di fumo nel mare di tutte le rotte.

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