De Kerkhove e l’inconscio digitale

di Clementina Gily, Editoriale

Siamo tutti interconnessi, De Kerkhove lo dice da tempo. Ognuno se ne rende conto quando al bar vede quanti non si sottraggono a Whatsapp e digitano convulsamente. All’esame di maturità anche alcuni ragazzi hanno riconosciuto di amare fino ad un certo punto la grande novità della continua socializzazione virtuale. Pierre Levy definì intelligenza collettiva la rete della conoscenza; De Kerkhove definisce inconscio digitale il problema dell’interconnessione socio virtuale – e dice necessaria una nuova etica. Cosa può dire oggi Freud nel mondo in cui l’outing di ogni diversità è vanto e Wikileaks annulla il segreto di stato?

L’uomo d’oggi non ha più il privato, è tutto pubblico e pubblicato: un cambiamento epocale. De Kerkhove chiede un’educazione adeguata alla novità dei tempi, consapevole dei problemi della mente, non della sola tecnologia. Scrive il 28 giugno su “Repubblica”:  “Il problema principale non è legato all’uso etico delle tecnologie, benché questo sia senza dubbio preoccupante. Il problema fondamentale è che come al solito la tecnologia cambia l’etica personale. Attraverso le tecnologie, l’etica della persona ‘individuale’ diviene quella della persona ‘sociale’. Dobbiamo essere preparati , ricevere una corretta educazione e alfabetizzazione perché finora nessuno vieta nulla in Rete. In Rete non c’è un codice di convivenza civile. La mia ambizione di proporre gli elementi di un’etica della condivisione e di trasparenza è ormai indispensabile”.

Wolf non può che condividere: è il progetto OSCOM. Perché se i problemi sono molti e difficili da definire, ve ne sono di affrontabili, già analizzati dalla ricerca e dalla didattica: c’è solo ritardo nelle istituzioni a realizzare l’informatica formativa con opportune progettazioni.

I problemi della socializzazione virtuale, ha ragione De Kerkhove, non sono gli stessi di sempre, come Maurizio Ferraris prova a sostenere riandando ad Aristotele, alla socialità costitutiva dell’uomo; se è vero che è compito della filosofia rispondere, essa deve sapersi aprire al nuovo. L’uomo interconnesso è sociale in senso tribale (Maffesoli); è un uomo fortunatamente non nichilista, ma anche poco interessato alla civilizzazione, agli spazi giuridici, alla teoria dell’argomentazione. Ripensare l’etica e la formazione significa educare ognuno al riesame critico, la sola misura dell’equilibrio: il cambiamento portato dal nuovo medium, il social network, è radicale, se l’intimità è pubblica e l’io segreto che ambiva all’anello di Gige per superare la paura – non ha nemmeno più la voce.

Non ci si può più nascondere; la trasparenza istantanea della comunità virtuale annulla il privato e, insieme, la possibilità di meditare scelte morali controcorrente, di agire con l’autonomia della ragione. La morale del gruppo è l’unica legge riconosciuta, almeno a rigor di termini. “Un uomo connesso non è un uomo indipendente”, De Kerkhove parla di Io invaso, tra tanto parlare di privacy. Cade così lo spazio che il pensiero politico moderno ha tanto faticato a costruire, che il liberalismo ha cintato: il rispetto sociale e giuridico dello spazio individuale, dell’uomo in situazione, libero di scegliere. E’ in gioco la difesa dai regimi autoritari e dall’intolleranza, la libertà della scelta morale vacilla, annullata come fattore di riconoscimento. Resta legata alle credenze tradizionali, il che rende vieppiù necessaria la formazione dei giovani alla nuova morale, per innovare senza perdere il lume delle conquiste realizzate.

In rete fin dall’inizio si è posto il problema dell’individuo, legato alla costruzione di avatar e nickname alterati; il salto qui è diverso, la socializzazione spontanea espone ambizioni, antipatie e fobie di ognuno – espone, non media: il rapporto col mondo è più scoperto di quanto sia mai stato nei rapporti familiari meglio costruiti.

La dimensione dell’inconscio sta in questo nuovo luogo, dice De Kerkhove: se Freud la descrisse come spiegazione della difficile normalità, individuandone i modi; oggi tutto cambia per la sua condivisione, che la rafforza e potenzia. I desideri astratti non sono “immediatamente controllabili” per la grande confusione di razionale e affettivo, una convergenza non più corretta dai limiti del reale: ogni possibilità è un’alternativa da considerare e percorrere. Diventa così difficile delineare ipotesi di equilibrio tra istinti e scelte meditate e l’inconscio sfugge al soggetto operante per diventare oggetto di una condivisione che rende vaga la responsabilità morale di saper argomentare e rispondere, di riuscire a comportarsi con civiltà senza sopraffazioni. Nel sapere tribale la morale del gruppo s’impone sulla libera scelta – se si sente parlare un fanatico, s’intende subito la differenza dalla nostra civiltà, incline alla riflessione, al perdono, alla convivenza civile.

Come dice De Kerkhove, è una questione di regole, nessuno vieta nulla alla rete; esse perciò vanno discusse ed imposte dal basso, ed è necessario progettare l’azione capillare della scuola.

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