Il Vento

di Viviana Reda

Dopo le scosse telluriche, incruente ma costanti, dopo l’ultimo affannoso borborigma terrestre che l’esimio Mercalli amò definire molto lontano da un prurito, allora venne il vento.

Non uno qualsiasi, ma tutto insieme, ammassandosi in violenti turbini e raffiche dolorose, scotendo le case e i dorsi fin nelle fondamenta, piegando e spezzando le cime frondose di cavi e luminarie delle strade. Gente a frotte veniva spazzata via o restava stordita tra le fila dei discorsi e dei regali che si sporgevano inquieti dai graziosi pacchetti. Noncurante del Natale ogni albero o presepio fu sollevato in aria e fatto roteare in un’ultima danza.

Venne il vento, a segnare la fine del silenzio del cielo, a svelare l’assenza del Dio del diluvio per sfogare l’assolutezza del Pandemonio. Il lungo viaggio del vento nelle lontane galassie sembrava giunto al termine.

Calatosi in tutta la sua disumana corporeità spazzava via ogni cosa lasciando dietro di sé il più perfetto disordine. Nulla appariva ormai fuori dal suo implacabile soffio. La sua voce possente aveva divorato ogni cosa, vuotato ogn’irrealtà. Scomparsa ogni idolatria di felicità, compariva al fine il deserto.

Polvere accidiosa piombava lentamente, permeava e agglutinava, si faceva roccia e materia, poi scompariva disperdendosi.

Inaspettato e incontrollabile il vento svelava il mistero del tempo celato in un’antica clessidra costruita negli avi trascorsi, ottenebrò luce e ombra. Il mondo sembrò fermarsi, la terra farsi piatta, scomparve il punto focale e la sua prospettiva, il centro roteò su sé stesso e sprofondò per sempre.

Nel deserto partorito alla fine del mondo restano ora solo le rovine nascoste nel vento. Solo il vento culla oramai il deserto, unico scenario che, costruttore di rovine, immaginai per la fine del mondo.

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