Metrò dell’arte: transavanguardia e critica creativa (4)

di Alessia Paribello

Stazione Salvator Rosa: Mimmo Paladino, Senza titolo 2002; Guglia policroma, Atelier Mendini

Napoli oggi possiede l’unico museo d’arte contemporanea con pubblico garantito, a milioni, e a un costo sostanzialmente nullo[1] ( Philippe Daverio)

Verso la fine degli anni Settanta si viene a delineare un nuovo modo di fare arte, rappresentata per lo più da personaggi volti ad un notevole cambiamento rispetto alle correnti artistiche già presenti.

Non si tratta di un mero ritorno al passato né un’anticipazione di ciò che sarebbero state le correnti future, la parola chiave da adottare è “attraversamento”, come suggerisce il termine “trans – avanguardia”. Questa parola, coniata per alcuni artisti italiani dal critico Achille Bonito Oliva e ufficialmente lanciata dalle pagine di “Flash Art” nel 1979, indica opere al di fuori della logica delle avanguardie dei decenni precedenti, che si pongono in un’ottica di de-ideologizzazione dell’arte. Achille Bonito Oliva spiega come, fino a quel momento, l’arte abbia attraversato un periodo di “nomadismo”, in cui artisti “ciechi – vedenti ruotano la coda intorno al piacere di un’arte che non si esprime davanti a niente, nemmeno davanti alla storia”.[2] Negli anni ’60 l’arte aveva una connotazione moralistica anche quando non sembrava esserci una esplicita morale. Ogni avanguardia aveva una sua ragion d’esistere e soprattutto operava in schemi culturali caratterizzati da una tendenza idealistica che configurava lo sviluppo dell’arte come processo lineare ed evolutivo.

La body art, invece, pone il corpo al centro dell’attenzione. Il corpo come strumento pittorico ma anche come oggetto su cui sperimentare soluzioni nuove e diverse, una nuova materia. E’ un modo per affermare la molteplicità delle espressioni corporee, infinite, significative. L’artista cerca e trova un modo per entrare nell’arte in modo diretto producendo un’esperienza individuale che sia il più possibile autentica e spontanea.

La video arte, movimento d’avanguardia nato nel ’63, si muove in antitesi al dilagare dei mass media, attuando una critica forte soprattutto nei riguardi del mezzo televisivo. La televisione produce immagini elettroniche per milioni di spettatori, gli artisti producono immagini non riproducibili e uniche. E’ per questo che tornano ad impossessarsi di questi mezzi per creare un nuovo universo visivo, numerosi sono i lavori che vedono l’assemblaggio di monitor, suoni, immagini, parole e oggetti.

La land art invece non ha una scuola di pensiero ben definita, la traccia da seguire nella comprensione di questo movimento è lo stretto legame tra uomo e terra, terra intesa come ambiente, territorio, natura in tutte le sue manifestazioni. Così, grazie al progetto di Walter De Maria, quattrocento aste d’acciaio inox sono state piantate verticalmente nel New Mexico così da diventare un enorme campo di parafulmini. In questo caso si tende a trasformare un evento atmosferico in una grande esperienza artistica ( Walter De Maria, The Lightning Field, 1977) o alcuni luoghi o monumenti d’Europa vengono “impacchettati” da Christo, attuando opere che sembrano impossibili. ( Christo, Wrapped Coast, Little Bay, Australia, 1968 – 1969).

Potremmo citare anche l’Arte concettuale, movimento nato a partire dal 1965, il cui scopo è quello di porre al centro dell’attenzione il concetto, ovvero l’idea progettuale, escludendo tutto ciò che c’è intorno, finanche l’aspetto esecutivo e la materialità dell’opera.

Achille Bonito Oliva parla di darwinismo linguistico, di una evoluzione dell’arte da una concezione chiusa nel solco della continuità, di intenti, di visioni, di impegno collettivo alle neoavanguardie – caratterizzate dall’essere poco private, poco espressive del singolo, in particolare negli anni sessanta la creatività artistica andava alla spersonalizzazione in nome del primato del politico. La trans-avanguardia propone il ritorno all’introspezione psicologica, all’espressione emotiva del singolo artista, permette ad ognuno l’espressione del sé, come il movimento espressionista cui si rifà in larga parte.

“L’ideologismo del poverismo e la tautologia dell’Arte concettuale trovano un superamento in un nuovo atteggiamento che non predica alcun primato se non quello dell’arte e della fragranza dell’opera che ritrova il piacere della propria esibizione, del proprio spessore, della materia della pittura finalmente non più mortificata da incombenze ideologiche e da arrovellamenti puramente intellettuali. L’arte riscopre la sorpresa di un’attività creativa all’infinito, aperta anche al piacere delle proprie pulsioni, di un’esistenza caratterizzata da mille possibilità, dalla figura all’immagine astratta, dalla folgorazione dell’idea al morbido spessore della materia, che si attraversano e colano contemporaneamente nell’istantaneità dell’opera, assorta e sospesa nel suo donarsi generosamente come visione”.[3]C’è anche chi, riferendosi a questo movimento, parla di “nomadismo linguistico” riferendosi non solo a una sorta di rimeditazione della storia dell’arte, una manipolazione, secondo cui si inizia a confondere e combinare diversi modi stilistici ma anche ai viaggi effettuati dagli artisti nel corso della loro vita, che permettono loro di contaminare più linguaggi nelle loro opere.


[1] P. DAVERIO, Bella Napoli! Sei sulla scala mobile e contempli un’istallazione di Kounellis. Aspetti a una fermata e ti perdi in un’opera di Pistoletto. Invito d’autore a scoprire (per chi non c’è stato) il metrò più creativo d’Europa,

 in « Marieclaire», del 1 Ottobre 2004, pp 164 – 167

[2] A. BONITO OLIVA, Le arti dell’arte  in Transavanguardia, collana Art Dossier, EDIT. GIUNTI pag. 5

[3] A. BONITO OLIVA, « le arti dell’arte » in Transavanguardia, collana Art Dossier, EDIT. GIUNTI pag. 12


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