Stan Lee e la nuova mitologia dei media

di Vincenzo Curion

IL 2018 sarà ricordato da tutti gli amanti del fumetto supereroistico come l’Annus Horribilis. Il 27 giugno è morto Stephen “Steve” Ditko, disegnatore e co-creatore di Spiderman e ideatore del Dr. Strange. Suoi i primi disegni che hanno portato l’Uomo ragno a essere un’icona dei comics, caratterizzando un personaggio che, diversamente, non sarebbe riuscito a prendere vita. Ma la notizia ancora più terribile e che farà ricordare il 12 novembre 2018, come il lunedì nero della Storia del fumetto supereroistico viene battuta in serata. Le agenzie comunicano ciò che nessun fan mai avrebbe voluto sentire. Stanley Martin Lieber, per tutti Stan Lee, è purtroppo scomparso.

Malgrado i 95 anni di età, portati egregiamente e vissuti tutti quanti con grande energia ed entusiasmo, -tant’è che uno dei soprannomi che la stampa mondiale gli ha affibbiato è “The Smiling” il sorridente-, nessuno delle decine di milioni di fan, sparsi in tutto il mondo, avrebbe voluto che arrivasse il momento di questa dipartita. Scrittore, sceneggiatore, fumettista, editore, produttore cinematografico e televisivo. Aldilà dei ruoli e degli incarichi ricoperti, Stan è stato uno dei padri di un genere di fumetto che ancora oggi rappresenta un riferimento per tutte le generazioni dai settant’anni in giù. 

Figlio di due immigrati ebrei di origini romene, Stanley nasce a New York e inizia la sua gavetta da ragazzo presso la Timely Comics in qualità di addetto alle copie per Martin Goodman, editore statunitense di pulp magazine, riviste d’avventura, libri tascabili e fumetti. L’inizio come fattorino segna l’avvio del sodalizio tra Stanley e l’azienda che successivamente diventerà Marvel Comics e che lui saprà trasformare, da una realtà medio grande, in un marchio mondiale, che tutti conoscono e riconoscono. Al punto che, quando nell’Agosto 2009 la The Walt Disney Company acquisisce la Marvel Entertainment Inc, la casa che detiene i diritti di Topolino e Paperino sborsa ben quattro miliardi di dollari per potersi accaparrare, tra le altre, le storie di Spider Man, dei Fantastici Quattro, degli X Men. Tutti personaggi nati dall’intelligenza visionaria di Stanley o Stan Lee, lo pseudonimo con cui firma la sua prima storia, sulla testata che pubblica anche Capitan America, altro eroe della Casa delle Idee che, seppur non nato dall’immaginazione di Stan Lee, beneficerà delle sue attenzioni, riuscendo a diventare un’icona a stelle e strisce, amata in tutto il mondo. In occasione di quell’acquisto, Robert A. Iger, allora presidente e capo esecutivo di Walt Disney Company ebbe modo di commentare: “Questa transazione combina la forza globale del marchio Marvel, con i suoi oltre cinquemila personaggi, tra cui gli universalmente riconosciuti Iron Man, Spider Man, I Fantastici Quattro e Thor, con i talenti creativi di Disney. Crediamo che l’aggiunta di Marvel al portfolio di Disney costituisca una significativa opportunità per una crescita su lungo termine e la creazione di valore”.

Già a 17 anni è sceneggiatore di storie complete, diventando il più giovane editor nel campo e dopo avere preso parte alla Seconda Guerra Mondiale come membro dell’esercito americano, Stan torna a lavorare nel mondo dei fumetti. Sono gli anni cinquanta ed il genere, che si è consolidato negli anni trenta, -Superman e Batman della casa editrice DC Comics, acerrima rivale della Marvel sono rispettivamente del 1938 e del 1939-, vive il termine di un periodo d’oro, con personaggi che testimoniano la voglia di normalità di una Nazione, dopo gli anni bui della Seconda Guerra mondiale. Per le strisce della Timely Comics, poi Marvel Comics, Capitan America, che è stata una delle mascotte dell’esercito USA, si trova ancora a combattere con il Teschio Rosso e con figure che rimandano alle gerarchie naziste, ma gradatamente la sua popolarità sta venendo meno. Le storie si spostano dalle battaglie sui campi di guerra agli spazi metropolitani e le vendite non possono che segnalare questa condizione di impasse. A fine anni cinquanta la Marvel sembra essere votata ad un lento inesorabile declino quand’ecco che a Stan viene data la possibilità di creare nuovi personaggi.

Il reduce, cresciuto nelle fila di quella che poi sarà “la Casa delle Idee” pensa di rimaneggiare il genere supereroistico consolidatosi negli anni quaranta, introducendo quattro personaggi nuovi di zecca, che siano sì dotati di poteri fantascientifici ma loro malgrado. Con la nascita dei Fantastici Quattro, nel novembre del 1961, Stan Lee introduce la formula del “supereroe con super-problemi”, una formula che fa breccia nel cuore dei lettori e che porta i personaggi di carta ad essere più apprezzati dal pubblico di tutte le età. I quattro personaggi, durante un viaggio sperimentale, sono investiti da raggi cosmici che ne alterano le caratteristiche fisiche trasformandoli in mutanti. Per la natura dei loro poteri, -Reed Richards è in grado di allungarsi a dismisura, Susan Storm può rendersi invisibile e creare campi di energia con la forza del pensiero, Jonathan “Jonny” Storm può trasformarsi in una torcia umana dotata di poteri pirocinetici, Ben Grimm è invece trasformato in un gigante di roccia arancione-, non viene offerta loro la possibilità di un alterego. Questo fatto segna la discontinuità con tutta una serie di personaggi precedenti e nel contempo permette agli sceneggiatori di lavorare sulla psiche dei personaggi: i poteri sono o non sono un vantaggio? Sono da usare per il bene o invece sono alla stregua di una lettera scarlatta cucita addosso? Più volte nelle storie Ben Grimm, soprannominato la Cosa, desidererà scappare dalla propria pelle di roccia che lo rende pressoché invulnerabile ma che lo isola dal resto del mondo impedendogli di vivere una vita normale. Più volte Reed, Mr. Fantastic, capo della squadra, vivrà il disagio di sentirsi responsabile per la condizione dell’amico e di tutti gli altri membri del gruppo. Grazie al successo di questo quartetto, che negli anni si trasformerà in una vera e propria famiglia, grazie al matrimonio tra Reed Richards e Susan Storm, Stan Lee acquista fiducia nelle proprie capacità e nella qualità delle proprie storie iniziando a proporre tutta una serie di personaggi che affiancheranno o intrecceranno le proprie storie editoriali con i quattro.

Nel 1962 nascono Spider Man e Hulk, rispettivamente, il super alter ego del giovane studente nerd orfano di entrambe i genitori Peter Parker e dello scienziato nucleare Bruce Banner, contaminato dalle radiazioni gamma per salvare un ragazzo durante un esperimento. Se per il secondo è palese il riferimento a “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” di Stevenson –Banner è l’emblema della mente completamente votata alla scienza mentre il suo alter ego verde è pura forza muscolare primordiale e distruttiva-, è il primo, l’Uomo ragno, a scalare –è proprio il caso di dirlo- le vette della popolarità mondiale con delle storie in cui, qualunque adolescente e giovane adulto può riconoscersi.

Il senso dell’incertezza sulle proprie origini, la difficoltà di un’adolescenza votata allo studio quando tutti stravedono per lo sport, il talento non riconosciuto. Proprio in una delle sue primissime storie si consolida un principio che accompagnerà “l’arrampicamuri” per tutta la sua storia editoriale: “da un grande potere discendono grandi responsabilità”. È una frase che Zio Ben, l’amato zio di Peter gli ripete e che lui farà propria non sottraendosi mai ad intervenire anche quando i nemici da combattere sembrano essere enormemente più forti e più potenti di lui che si lancia in acrobazie tra i grattacieli di New York armato di calzamaglia, lancia-tele e senso di ragno. Anche nelle storie dell’Uomo ragno, ritorna il senso del trovare un significato al proprio super potere. Nella prima storia, l’Uomo ragno-Peter Parker da poco punto dal ragno radioattivo che gli conferirà i super poteri, si lascia scappare un ladro che poi ucciderà zio Ben, facendo sprofondare Peter in un profondo dolore proprio perché avendo potuto non era in precedenza intervenuto per fermare il ladro. Ma è proprio dal dolore che Peter saprà rialzarsi per intraprendere la propria battaglia contro il male, alternando grandi lotte con i problemi quotidiani di uno studente di liceo squattrinato e inviso ai compagni.

Appena un anno dopo, nel 1963, Stan Lee con il disegnatore Kirby porta alle stampe le storie del il genio miliardario playboy Tony Stark alter ego di Iron Man (1963). Impeccabile nel doppio petto, imbattibile nell’armatura che è costretto a indossare per restare in vita, dopo le ferite riportate al cuore, nelle primissime storie Tony Stark è spesso costretto a fermarsi per ricaricare dalla rete elettrica la piastra dell’armatura che gli consente di non morire.

Sempre nel 1963 Stan Lee con Ditko introduce il Dottor Strange (1963), per poi passare alla creazione degli X-Men, con Kirby, altra grandissima intelligenza visionaria. Ancora un anno dopo, nel 1964 Stan Lee, con l’aiuto del disegnatore Bill Everett, creerà il personaggio dell’avvocato cieco Matt Murdock. Questi, dismessi i completi indossati di giorno e lasciate le aule di tribunale, indossa di notte il costume del vigilante Daredevil. Dotato di un senso radar e con i quattro sensi rimastigli potenziati dalla contaminazione radioattiva che lo ha reso cieco, Daredevil è l’acrobatico vigilante del quartiere Hell’s Kitchen. Il gioco di parole –Daredevil significa scavezzacollo- ed il costume dotato di corna come quelle di un diavolo hanno fatto sì che il nome del personaggio si tramutasse in Devil.

Ancora una volta, il talento di Stan Lee e la formula del “supereroe con super problemi” va a segno. Come Peter Parker vive il dramma di dover nascondere la sua identità di super eroe e la condizione di orfano con la zia May unica sua parente per altro contestatrice dell’Uomo ragno, così Matt Murdock vive la sua condizione di cecità acquisita proprio con i super sensi, e di solitudine in una città segnata dalla presenza di una straordinaria mente criminale, Wilson Fisk, Kingpin, che più di una volta mette in seria difficoltà il Diavolo rosso.

Riguardo a Matt Murdock-Daredevil, Roy Thomas, autore di “Stan Lee’s Amazing Marvel Interview!”(agosto 2011. Alter ego. Raleigh, North Carolina: TwoMorrows Publishing,104) ha rivelato che” L’unica cosa che preoccupava di Daredevil è se i ciechi sarebbero stati offesi, perché stavamo esagerando così tanto ciò che una persona cieca può fare, perché avrebbero potuto sentirlo come un personaggio ridicolo”. “Ma dopo che i libri furono pubblicati”, ha ricordato Stan Lee nella sua intervista, “iniziammo a ricevere lettere da enti di beneficenza per non vedenti, come il the Lighthouse for the Blind in New York. Lettere che dicevano: “Abbiamo letto queste storie alla gente qui e loro le adorano, e sono così contenti che tu abbia un supereroe che è senza vista”. “E, oh ​​ragazzo, mi hai fatto sentire bene!”.

Aldilà della sfilza dei personaggi, Lee e la Marvel tutta si distinguono per la complessità degli intrecci delle storie. Per la complessità dei personaggi e per quel sapiente mix di scienza, fantascienza, psicologia e anche di “denuncia sociale” che hanno alimentato la produzione di tante strisce. All’indomani del crollo delle torri gemelle sono gli Avengers, “il più potente gruppo di eroi”, capace di fronteggiare “minacce che nessun eroe da solo potrebbe fronteggiare” ad intervenire sulla scena di Ground zero per affiancare le squadre dei soccorritori in un album che segnò per molti il passaggio all’età matura di questo mezzo espressivo popolare. Ma è solo un esempio di tante altre storie perché l’universo Marvel tutto ha dimostrato, nei decenni, di saper anticipare tematiche e temi universali anche di scottante attualità. I mutanti presenti nelle storie sono la trasposizione dei diversi e gli episodi di razzismo ed il censimento che l’amministrazione impone a questa fetta di popolazione, rimanda alla schedatura ed al riconoscimento che sono stati drammaticamente perpetrati ai danni di popolazioni sotto questo o quel regime in giro per il Mondo. Il difficile rapporto tra uomo ed il proprio dovere, tra il vivere ed il sostenere un impegno verso i deboli e gli indifesi ha rappresentato un altro argomento al centro di storie molto dense di significati. Qual è il reale bilancio tra lavoro e affetti che è alla base del senso della vita? In proposito Reed Richards si trova a doversi interrogare fino a che punto può spingersi nel proprio impegno senza rovinare il rapporto con la famiglia che ha costruito con Sue. Che dire poi del complesso e articolato rapporto tra uomo e macchina? Tony Stark che, nelle vesti di Iron Man ha incredibili poteri, è comunque prigioniero della propria armatura, al pari di qualunque altro umano che sia costretto dalla disabilità a servirsi di apparati salvavita. Nelle storie a fumetti degli Avengers, il potente gruppo di supereroi è costretto a fronteggiare Ultron, una macchina senziente completamente fuori controllo che vorrebbe avere controllo supremo. Ciò per certi versi spinge il lettore ad una riflessione, sia pure frammentata, incompleta e fantasmagorica su quale ruolo voglia interpretare: quello di servo della macchina o di gestore della macchina.

Accomiatandosi dal brillante sceneggiatore, che ha saputo tra l’altro introdurre un modo particolare di produrre il fumetto, resta il convincimento che il suo successo sia stato meritatissimo, perché frutto di una brillante fantasia e di una elevata sensibilità coniugata con il genio e la bravura di grandi illustratori e disegnatori. Aldilà della semplicità del mezzo, anche al netto della pervasività del marketing e del merchandising che hanno avuto un indiscusso peso nel diffondere l’opera, la qualità dei messaggi, la resa visiva dei mezzi, quel “saper vedere un’opportunità di comunicazione enorme in un riquadro illustrato di pochi centimetri” sono state sicuramente l’elemento vincente che colloca l’opera di Stan Lee e della Marvel tutta in un ipotetico empireo dell’arte popolare a cavallo tra il ventesimo e ventunesimo secolo.

GF Curion Stan Lee e la nuova mitologia dei media