Storia della Turchia Repubblicana (1)

di Francesco Villano

La repubblica di Turchia è costituita dalla penisola anatolica (la parte asiatica—756.236 Kmq), e dalla Tracia orientale (la parte europea—23.764 Kmq). Le due zone sono divise dagli stretti del Bosforo e dei Dardanelli oltre che dal mar di Marmara. La popolazione è di circa 80 milioni di abitanti (13.650.000 nel 1927). L’86% dei residenti è turco, a cui si affianca la comunità curda (tra i 10 e i venti milioni).La speranza di vita è di circa 72 anni e l’analfabetismo è fermo a circa il 15%, della popolazione. La zona del paese più densamente popolata è quella di Istanbul. Negli anni cinquanta contava circa 900.000 abitanti; oggi ne conta circa 12.000.000. Il termine Turchia deriva dalla parola turk (termine che rinvia al concetto di forza), con cui arabi e persiani designavano vari gruppi dell’Asia centrale intorno al X sec. d.C. In realtà queste popolazioni comprendevano un vasto e articolato ceppo noto con il nome di turcomanno. Queste popolazioni, ad un certo punto e per vari motivi, iniziarono a spostarsi verso occidente dalla natia zona dei monti Altai in Mongolia, le montagne dove vivono i lupi grigi (animali diventati simbolo dell’estremismo nazionalista turco). Intorno all’VIII secolo iniziano ad islamizzarsi; la conversione all’islam non avvenne – e questo è molto importante per gli sviluppi successivi – a causa di una conquista militare araba, ma a causa di predicatori itineranti che convertirono le tribù turche mentre si spostavano verso Occidente. Con la dinastia dei Selgiuchidi, nell’XII secolo, si radica l’ortodossia sunnita e si afferma la supremazia turca su quella araba. Nel 1299, nell’Anatolia occidentale, si rende completamente indipendente dai Selgiuchidi una nuova dinastia, quella degli ottomani, dal nome del suo fondatore, il re Osman (Othman in arabo). In seguito il re prese il titolo di sultano così da diventare il capo temporale di tutti i musulmani; quando in seguito si appropriò del ruolo di Califfo ne divenne anche il capo spirituale. Nel 1453 Mehmet II conquista Costantinopoli. Dopo questa data la storia dell’impero ottomano può essere divisa in tre periodi: 1) espansionistico, fino alla morte di Solimano in Magnifico nel 1566; 2) di equilibrio, fino al fallimento della seconda spedizione contro Vienna nel 1683; 3) di decadenza, dal 1683 alla deposizione dell’ultimo sultano Mehmet VI nel 1922.

Dalle Tanzimat alla Repubblica

Quando parliamo della repubblica turca dobbiamo tener presente che non siamo in presenza di una ex colonia di una qualche grande potenza europea, ma di un paese che era una parte di un potente impero. Come detto sopra questo potente impero (“l’uomo malato d’Europa”, secondo un’espressione attribuita allo zar di Russia Nicola I) aveva iniziato a percorrere il viale del tramonto già dal 1683. Per tentare di arrestare questo processo dalle molteplici cause i sultani, sin dall’inizio del diciottesimo secolo, iniziano a guardare ai progressi che la modernizzazione aveva portato all’Europa e intraprendono un graduale percorso di riforme che troverà, durante il diciannovesimo secolo (1839) la propria concretizzazione con le Tanzimat (“riorganizzazioni”), ribadite ed estese dal decreto del 1856. Non a caso si fece ricorso al termine ”riorganizzazione”, poiché l’uso di una parola che esprimesse chiaramente e apertamente l’idea di novità, di riforma, di rivoluzione, sia pure dall’alto, non sarebbe stata tollerata dai guardiani dell’ortodossia e del conservatorismo islamico e dalle masse ignoranti da essi fanatizzate. Con le Tanzimat furono abolite le discriminazioni giuridiche; tutti i sudditi di qualunque religione avrebbero condiviso una paritetica cittadinanza ottomana; anche se ormai alle varie minoranze anche queste aperture non andavano più bene. Esse infatti erano più pronte rispetto alla maggioranza musulmana ad evolversi in rapporto a quanto arrivava dall’Occidente. La regione balcanica si stava lentamente ma completamente staccandosi dall’impero e le stesse minoranze cristiane di Istanbul e dell’Anatolia, o almeno le loro classi dirigenti, sentivano di poter aspirare ad un completo ribaltamento dei rapporti di potere con la componente musulmana, dato l’evidente divario economico e sociologico. Nel 1876, a compimento del percorso delle Tanzimat e sotto la spinta delle idee del movimento dei Giovani ottomani (sorto nel 1865) fu promulgata la Costituzione, e il 19 marzo del 1877 ci fu la prima riunione parlamentare. Appena due anni dopo (14 febbraio 1878), a causa delle conseguenze di una dura disfatta militare con la Russia (Serbia e Romania divennero indipendenti; la Bulgaria ottenne una notevole autonomia; la Bosnia ed Erzegovina passarono sotto il controllo dell’Austria) il sultano Abdulhamit II la sospese. Il sovrano comunque non poteva più tornare al periodo precedente le riforme perché alcuni dei loro effetti erano impossibili da cancellare. Così durante tutto il suo regno si rafforzarono i legami con l’Europa (addestramento dell’esercito; riforme nel campo dell’istruzione; aperture di molte scuole di missionari; sviluppo della stampa anche se in presenza della censura; sviluppo delle ferrovie e della telegrafia) anche se si andò ad instaurare un regime sempre più autocratico. Altro aspetto del suo regno fu quello di essersi probabilmente reso conto che l’impero in un prossimo futuro era destinato a limitarsi alla sola Anatolia (Anadolu in turco). Per iniziare a fondere questo nucleo centrale e a proteggerlo da una periferia che raggruppava le popolazioni musulmane non turche dell’impero (curdi e arabi) e gli armeni di religione cristiana, reinventando così l’Anatolia come turca e musulmana, iniziò a discriminare chi era diverso: i massacri del 1894-1896, che fecero circa 100.000 vittime (altre fonti riportano 250.000) fra la popolazione armena, quindi non turca ma neanche musulmana, ne furono la prima tragica concretizzazione. Il sultano non istigò questi massacri, ma fece poco o nulla per impedirli. Frattanto e all’interno della nuova élite militare e civile nata con le riforme iniziò ad organizzarsi,dal 1889, un’opposizione al sultano che prese il nome di Giovani turchi. Il movimento, che si riteneva erede dei Giovani ottomani, si organizzò nel Comitato unione e progresso (CUP). Composto prevalentemente da ufficiali dell’esercito, sotto la guida di Enver Bey, si rifaceva ad idee libertarie e socialiste ed era anche collegata alla massoneria attraverso suoi affiliati europei. Sul piano teorico si richiamava al panturanesimo o panturchismo (unione di tutti i popoli affini dal punto di vista etnico-linguistico, dall’adriatico all’Asia centrale—Ergenekon è il nome della culla mitica della nazione), mentre sul piano istituzionale chiedevano il ritorno alla Costituzione del 1876. Il 23 luglio 1908 Enver intimò al sultano il ripristino della Costituzione. Il giorno seguente il sultano cedette e in ottemperanza ai dettami della Carta furono indette le elezioni politiche generali. Contemporaneamente tutto il paese fu attraversato da un grande entusiasmo e da una febbre di libertà, uguaglianza, fraternità e giustizia; in seguito si organizzarono i primi sindacati e si organizzarono i primi scioperi della storia ottomana. La prima Camera elettiva fu solennemente convocata il 4 dicembre del 1908. Durante quel periodo sembrava che l’obiettivo di unire la grandezza imperiale alla costituzionalizzazione del potere fosse stato raggiunto, ma alcuni mesi dopo una rivolta degli studenti di teologia di Istanbul che rivendicavano il ritorno alla legge coranica mostrò come fosse estremamente difficile coniugare tradizionalismo e costituzionalismo. C’è anche da dire che i devoti musulmani erano inorriditi dal positivismo e dall’agnosticismo, quando non aperto ateismo, degli unionisti, e più concretamente gli studenti delle scuole religiose protestavano per il fatto di non essere più esentati dal servizio militare. La rivolta fu domata da Enver con l’ausilio delle forze armate inviate ad Istanbul dalla sede del Comitato a Salonicco. La vendetta fu spietata. Questo avvenimento rappresentò un grave trauma per gli unionisti e per lo stesso futuro potere kemalista, che lo considerò come la prima manifestazione organizzata dell’islamismo reazionario. In effetti questa vicenda è paradigmatica dell’incapacità che ha avuto, chi si è trovato al vertice del potere da quel momento in poi, a gestire il dissenso, che è stato sempre duramente e talvolta spietatamente represso. Solo in epoca recente gli avvenimenti hanno iniziato a prendere una piega affatto diversa, ma non siamo ancora in presenza di un sistema che riesce a risolvere le proprie conflittualità in modo pienamente democratico, anche se grandi passi in avanti sono stati fatti. Nel corso degli anni seguenti vari accadimenti condussero l’impero ottomano verso una lenta ma inesorabile deriva autoritaria che sfociò nel triumvirato militare di Enver, Cemal e Talat. Questo esito tradiva completamente le premesse che avevano portato all’affermazione degli unionisti solo pochi anni prima. Allo scoppio della prima guerra mondiale l’impero ottomano cercò di temporeggiare e di resistere alle fortissime pressioni della Germania che ne sollecitava l’intervento al suo fianco. Bisogna ricordare che l’esercito turco da anni era sotto la diretta supervisione di invadenti consiglieri tedeschi, che lo avevano sì riformato ma che ora tendevano a gestirlo pienamente. Comunque il 29 ottobre del 1914, dopo un accordo segreto tra Enver, Talat e i tedeschi, la flotta turco-tedesca attaccò i porti russi del mar Nero. Il successivo 24 novembre il sultano-califfo Mehmet V proclamò la guerra santa. L’esito della guerra fu disastroso; l’armistizio di Mudros del 30 ottobre 1918 mise fine alla tragedia. I tre componenti il triumvirato fuggirono lasciandosi dietro un paese allo stremo e diverse centinaia di migliaia di morti. In seguito sia Enver che Talat e Cemal furono uccisi; il primo in uno scontro con i sovietici in Asia centrale, gli altri due da militanti armeni rispettivamente a Berlino e a Tbilisi (Georgia). Durante il conflitto si consumò il genocidio degli armeni. Ne morirono circa un milione nel tentativo unionista di islamizzare, non potendo ancora turchizzare, l’Anatolia. Con la scomparsa di una delle sue principali componenti storiche il quadro umano dell’Anatolia cambiò radicalmente. Per l’élite unionista lo sterminio di una comunità non rappresentava un crimine, ma era l’esito della guerra tra le varie specie biologiche (un darwinismo razziale e sociale). Durante il conflitto e in particolare nelle sanguinosissime battaglie (circa 500.000 morti tra turchi e forze dell’Intesa; tra questi ultimi, principalmente australiani e neozelandesi) che si combatterono nella penisola di Gallipoli per il controllo dei Dardanelli emerse la figura di un giovane ufficiale, Mustafà Kemal, che riuscì con grande perizia a far fallire il tentativo delle forze dell’Intesa. L’idea, elaborata da un giovane Churchill, era di arrivare direttamente al cuore dell’impero ottomano attraverso la “porta” di Gallipoli. Questa vittoria militare conferì a Kemal un prestigio e una fama che nessun altro ufficiale turco riuscì ad eguagliare. Fama e prestigio che unite alle sue indubbie qualità politico diplomatiche lo portarono a capo del movimento di resistenza che si andò a formare nella Turchia ottomana a seguito degli umilianti accordi di pace di Sevres (10 agosto 1920), che il sultano aveva ratificato. Sbarcato a Samsun il 19 maggio del 1919, lì inviato dal sultano per reprimere dissensi che si erano manifestati, capovolse completamente le aspettative della Sublime Porta e divenne il leader della rivolta anatolica, che da quel momento in poi divenne “guerra di indipendenza”. In breve creò un potere alternativo ad Istanbul che si andò rapidamente a legittimare come l’unica fonte della autorità politica in Anatolia. Il 20 gennaio 1921 viene votata una Costituzione provvisoria in attesa di quella definitiva che vedrà la luce tre anni dopo a vittoria ottenuta. Per sconfiggere la rivolta e per rendere operativi gli accordi di Sevres si mosse, incoraggiata dal primo ministro inglese Lloyd George, la Grecia che perseguiva il progetto della Megali Idea (la “Grande idea”intesa come grande Grecia). Il tentativo fallì e i turchi riuscirono a preservare la loro integrità territoriale che fu ratificata nei successivi accordi di pace di Losanna del 24 luglio 1923 che subentravano al precedente “accordo” di Sevres. Da questo punto in poi la storia turca subisce un’accelerazione: 1) il 9 agosto 1923 è fondato il partito repubblicano del popolo (CHP); 2) il 29 ottobre del 1923 è proclamata la Repubblica Turca (Turkiye Cumhuriyeti); 3) il 3 marzo 1924 è abolito il califfato (il primo novembre del 1922 era già stato abolito il sultanato) e la capitale è spostata da Istanbul ad Ankara; 4) il 20 aprile è adottata la prima Costituzione laica della Turchia. Fu adottato il codice civile svizzero e quello penale italiano; in ogni caso si prese dall’estero quello che poteva essere utile in tali ambiti. A questo punto si può ben dire che dopo la rivoluzione nazionale si era compiuta quella politico istituzionale. A questo punto bisognava radicare in “basso” nella società i cambiamenti avvenuti in “alto”; compito estremamente arduo! Si agì attraverso un forzato processo di turchizzazione che investì gli ambiti più disparati anche se rimase una costante l’esaltazione della scienza, dell’arte e il continuo conformarsi ad una non meglio specificata civiltà contemporanea. In sintesi: 1)con delle opportune modifiche per adeguarlo alle esigenze della lingua turca fu adottato l’alfabeto romano; 2) si cercò il più possibile di purificare la lingua turca dai nomi di origine araba; 3) fu adottato il calendario gregoriano; 4) furono apportati drastici cambiamenti al vestiario e alla cura della persona sia maschile che femminile sì da uniformarli a quelli europei: il fez scomparve per far posto al panama e le donne furono incoraggiate a mostrare il volto e in ogni caso fu loro proibito di indossare abiti tradizionali negli uffici e nelle cerimonie statali; fu fatto divieto di portare la barba ai pubblici funzionari e perfino i baffi ai militari; 5) il giorno di riposo settimanale divenne la domenica; 6) cambiò la toponomastica ; 7) nel 1934 il diritto di voto alle politiche si estese alle donne; 8) furono introdotti i cognomi. Altro decisivo cambio di rotta si ebbe con il mondo dell’islam, anche se è opportuno ricordare che l’islam turco si rifà alla più tollerante delle quattro scuole giuridiche islamica: la Hanafita, dove il giudizio personale prevale sull’interpretazione passiva dei testi sacri. Atatürk abrogò i tribunali applicanti la sharia; sciolse le confraternite (caratterizzate dalla ricerca interiore del divino attraverso una pratica ed un’ascesi spirituale), meno gestibili per loro intrinseca natura, e promosse un islam facilmente controllabile dallo Stato. Non pensò mai di confinare la religione nella sfera privata (laicismo alla francese), negandole ogni espressione pubblica; infatti l’islam non si presta a questa riduzione. A tal fine, nel 1924, fu istituita “La Direzione degli Affari Religiosi dello Stato turco (DTB)” che rappresenta l’islam sunnita ufficiale. Controlla e finanzia il culto, in particolare nomina gli imam e gli insegnanti di religione, stabilisce i programmi scolastici, finanzia le moschee ecc. Si preoccupa dell’istruzione religiosa e morale degli emigrati turchi e della difesa degli ideali e dell’unità della nazione turca. Un ruolo del tutto particolare fu assegnato alle forze armate; teoricamente esse sarebbero dovute dipendere dal potere politico, ma in realtà è accaduto che esse abbiano sempre svolto un ruolo politico, sia con interventi diretti, sia quando con i loro segnali hanno ricordato i limiti entro i quali era consentita la dialettica politica, culturale e sociale del paese. Kemal si dedicò personalmente anche ad una revisione dai discutibilissimi esiti sia per quanto riguardava le origini della storia che della lingua turca. Tra l’altro, ad una esaltazione della storia turca pre-islamica, affiancava una interpretazione completamente negativa dell’islam e della storia dell’impero ottomano. Questi esiti, unitamente al costante rifiuto di modificare la sua posizione riguardo ai curdi, sono senz’altro due aspetti di cui non può andar fiero. Condensato della sua filosofia politica divennero le celebri “sei frecce”:1)nazionalismo; 2)repubblicanesimo; 3)populismo (sistema politico era basato su un popolo astratto, rappresentato dai suoi capi); 4)statalismo; 5)laicismo; 6)rivoluzionarismo. Queste” sei frecce” furono in seguito custituzionalizzate-sacralizzate dal parlamento; Kemal criticò questo atto con le seguenti parole:”Non consideriamo i nostri principi come dogmi contenuti in libri di presunta origine celeste. Noi traiamo ispirazione non dal cielo né da mondi mai visti, ma direttamente dalla vita”. Intanto la Turchia, seppur lentamente, si stabilizzò sempre più e si guadagnò la stima delle potenze straniere; ormai a nessuna grande potenza poteva più venire in mente di attaccare e occupare a piacimento lo Stato turco. Addirittura Venizelos, l’antico avversario di un tempo, arrivò a proporre che a Kemal fosse conferito il premio nobel per la pace. Moltissimi i discorsi tenuti da Kemal nel corso degli anni, ma sicuramente il Nutuk (“Discorso)” per eccellenza fu quello letto in sei giorni di fila e per sei ore al giorno nel 1927 al secondo congresso del partito. Il Discorso incentrato principalmente sulla guerra di liberazione e sui propri meriti in quanto salvatore della nazione, si conclude poi con il celebre appello alla gioventù turca che viene esortata ad essere sempre vigile e pronta a difendere l’indipendenza della patria. E’ un testo che sin dall’infanzia insieme a quello dell’inno nazionale e unitamente alla sua effige i turchi si trovano davanti, una specie di triade sacra. Il 24 novembre del 1934 l’assemblea nazionale attraverso una legge speciale decise di dare al suo fondatore il nome di Atatürk (grande progenitore). Il 10 novembre del 1938, a 58 anni, Mustafa Kemal Atatürk muore.

Il dopo Atatürk

Ad Atatürk succede Ismet (Inonu) come nuovo presidente della repubblica, con Saydam presidente del consiglio. Inonu fino al 1945 favorì la politica di turchizzazione con le ben note conflittualità verso le minoranze e il mondo islamico. Con grande opportunismo si schierò dalla parte degli alleati durante la seconda guerra mondiale, ma a guerra ormai conclusa; la Turchia fu inclusa nel piano Marshall. L’istituzione, ma soprattutto la gestione iniqua e xenofoba della famigerata imposta patrimoniale macchiò gravemente il suo operato e la storia della Turchia moderna. Nel 1944 il governo turco abbandonò il suo semi-isolazionismo precedente e entrò in alleanze con il blocco occidentale al fine di difendere il paese dai nuovi rischi che si profilavano all’orizzonte. Contestualmente si assiste al passaggio dal mono al pluripartitismo. Il 7 gennaio del 1946 nasce il partito Democratico (espressione del blocco conservatore-rurale-religioso-liberale che si era piegato ma non convertito al radicalismo progressista e autoritario del kemalismo) che alle elezioni del 21 luglio ottiene un lusinghiero successo, che diventerà vero e proprio trionfo con le successive elezioni del 14 maggio 1950. Un anno prima, nel 1949, il Partito Repubblicano fondato da Atatürk, in vista delle elezioni, aveva reintrodotto l’insegnamento della religione islamica nelle scuole primarie e aveva creato la Facoltà Teologica di Ankara. Ciò non fu sufficiente per ribaltare il previsto risultato delle urne, anche perché il Partito Democratico aveva nel suo programma elettorale un corposo ridimensionamento della laicità in favore delle religione, che attuò una volta al governo. Inonu accetta il verdetto delle elezioni e da semidittatore che era divenne capo dell’opposizione. Bayar e Menderes, due dei fondatori del nuovo partito, divennero rispettivamente presidente della repubblica e presidente del consiglio. Il Partito Democratico, in ottemperanza alle promesse elettorali, nel 1952 creò ulteriori scuole per imam-predicatori; reintrodusse la preghiera in lingua araba, riorganizzò il pellegrinaggio alla Mecca, ricostruì le moschee e iniziò la costruzione di Facoltà Teologiche islamiche (alla fine del millennio sono ormai 22, distribuite in tutto il paese). Nel 1953 fu completato il mausoleo di Atatürk ad Ankara. Viene allentata la pressione nazionalista sui curdi. La Turchia entra nella Nato e questo accresce il consenso verso la leadership, ma a questo punto Menderes inizia a disinteressarsi di coloro che si ritenevano i guardiani della rivoluzione (militari, ceti borghesi a reddito fisso, studenti, intellettuali). Alle elezioni anticipate del 1957, svoltesi a causa del peggioramento del quadro economico, il PD mantenne il potere ma con una leggera flessione del consenso. Questo spinse Menderes a reagire con misure illiberali. Contro il presidente del consiglio si mobilitò la protesta studentesca, profondamente affascinata dalla figura di Atatürk, che di fatto preparò il terreno al colpo di Stato del 27 maggio 1960, organizzato da giovani ufficiali di non altissimo grado. L’anno seguente Menderes e due ministri furono giustiziati. Sempre nel 1961 vide la luce una nuova Costituzione (strettamente legata ai principi kemalisti ma con notevoli libertà democratiche e garanzie della persona). Il generale Gursel fu eletto presidente della repubblica e Inonu primo ministro. Nel successivo decennio il kemalismo fu un vero e vitale movimento, un’ideologia diffusa e vissuta dialetticamente e con passione da vasti strati della popolazione, e non soprattutto l’azione dall’alto di un regime. Vide la luce una nuova formazione politica conservatore, erede del disciolto Partito Democratico: il Partito della Giustizia di Demirel, che il 10 ottobre del 1965 ottenne una schiacciante vittoria alle elezioni. Comunque durante questi anni videro la luce altre ideologie e progetti sociali; tra l’altro si formarono una destra e una sinistra radicali e nacque anche un nuovo movimento curdo. Nel 1969 fu fondata da Necmeddin Erbakan una nuova formazione politica islamica: il Partito d’ordine nazionale. All’inizio degli anni settanta la Turchia si trovò a vivere una crisi sia politica che economica che trovò la sua soluzione, come al solito, nell’intervento dei militari che l’11 marzo del 1971 presero il potere costringendo Demirel alle dimissioni. Nel 1972 Ecevit prese il potere all’interno del CHP, e da quel momento il partito iniziò a caratterizzarsi come di sinistra. L’obiettivo di Ecevit era di dar vita ad un partito socialdemocratico sull’esempio dei partiti che i milioni di immigrati turchi trovavano in Germania e negli altri paesi europei dove andavano a lavorare. Nel 1973 finì il regime militare e furono indette le elezioni politiche per l’ottobre di quello stesso anno. Con Ecevit il CHP si sentì abbastanza forte da sfidare il partito di Demirel, anche se alle elezioni si presentò anche Erbakan con il nuovo partito islamico da lui fondato: Partito della salvezza nazionale. Ecevit vinse le elezioni e formò una coalizione di governo con Erbakan, escludendo Demirel. Durante questo governo scoppiò la crisi cipriota (22 luglio-16 agosto 1974), causata dal colpo di stato sponsorizzata dalla giunta dei colonnelli al potere in Grecia. La Turchia, col pretesto di proteggere la minoranza turca, invase Cipro occupandola per il 40%. Il 15 novembre 1983 viene proclamata la Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta solo da Ankara. A tutt’oggi la crisi risulta irrisolta ed è uno dei nodi fondamentali da sciogliere per l’ingresso della Turchia nell’unione europea, anche perché l’UE ritiene solo il governo di Nicosia come il legittimo dell’isola e rappresentante di tutto il paese. Dal 1975 al 1980 la Turchia repubblicana visse uno dei suoi peggiori periodi con instabilità politiche ed economiche che sfociarono in ondate di violenza (nel 1980 si registrarono circa 15-20 omicidi politici al giorno). Ancora una volta intervennero i militari con il colpo di Stato del 12 settembre 1980. Nel 1982 fu redatta una nuova Costituzione, senza dubbio peggiore delle precedenti, e come al solito ispirata al kemalismo, ma nei suoi aspetti di cupa e oppressiva ideologia di stato. Ad una non superata sacralizzazione della figura di Atatürk, i golpisti affiancarono una promozione senza precedenti della religione islamica, al fine di contrastare in primis il blocco sovietico. L’anno seguente, il 1983, vide lo svolgimento delle prime elezioni politiche dopo il colpo di Stato del 1980. Si affermò a sorpresa un nuovo partito di estrazione liberale, l’ANAP (Partito della madrepatria) di Turgut Ozal che riuscì a sconfiggere il partito dei militari e una formazione di sinistra. Ozal si considerava il difensore dl nazionalismo turco e di uno stato forte, capace di imporre l’ordine e la disciplina. Incarnava inoltre l’immagine di una società al tempo stesso profondamente religiosa ed occidentalizzata. In seguito Ozal divenne presidente della repubblica. Come presidente propose di risolvere il problema curdo attraverso metodi democratici e di integrazione; era inoltre intenzionato a riconoscere se non il genocidio, almeno il crimine contro l’umanità compiuto dal potere unionista nel 1915. La sua morte avvenuta nell’aprile del 1993 impedì a queste aperture di trovare compimento. Durante gli anni novanta si ebbero molte crisi politiche dovute alla proliferazione delle formazioni politiche, che erano espressioni delle divisioni presenti nella società e delle conseguenti difficoltà che incontrava ogni tentativo di integrazione.

GF Villano Storia della turchia repubblicana (1)