La pedagogia e l’universo digitale (3)

di Franco Blezza – Università G. D’Annunzio Chieti

Marco Nereo Rotelli
Marco Nereo Rotelli

Circa l’educazione alle regole

Fra l’altro, non dimentichiamoci a proposito della ludicità che il comportamento secondo regole comuni e comunemente accettate costituisce una condizione necessaria e imprescindibile per l’accesso al computer. Anche l’allievo più ribelle alle regole all’ottemperanza alle quali è educato con altri mezzi accetta di buon grado le regole quando esse sono condizione necessaria per accedere al computer e ad Internet. Non si sottovaluti l’importanza di questo aspetto. Già l’impiego ludico del computer, in senso lato ma anche il senso stretto e riduttivo, è un importante aspetto dell’educazione alla necessità di agire secondo regole. Certo, una regola o un complesso di regole può essere oggetto di critica, di cambiamento, di riforma, e in genere ogni apparato di regole ha anche le modalità per la propria riforma; quello che deve essere un carattere essenziale di ogni educazione e di ogni atto culturalmente significativo, e di cui ancora oggi spesso ci dimentichiamo secondo cattivi insegnamenti e fraintendimenti di qualche decennio fa, è che comunque di un apparato di regole non si può fare a meno, che si tratti di cultura e di studio, che si tratti di socialità o relazionalità, che si tratti di qualunque modalità di esercizio della creatività umana. Al mito romantico e idealistico di “genio e sregolatezza” non crediamo, ed anzi ne comprendiamo il carattere retorico alla luce dello spirito borghese ottocentesco (ma propagatosi ben dentro il Novecento): oggi invece diamo delle regole una visione umanamente promozionale, e comunque le presentiamo come una necessità imprescindibile, che il computer e Internet digitalizzati possono adeguatamente esemplificare, testimoniare, riscontrare, facendole accettare anche ai più riottosi. Si può sempre sostituire una regola, ma con un’altra regola che presenti qualche carattere premiale nei confronti della prima; senza regole non c’è cultura, non c’è socialità, non c’è relazionalità, non c’è educazione.

Proprio oggi che ci lamentiamo, giustamente, individuando un problema reale, di questi nostri ragazzi che non rispettano le norme, che violano ogni convenzione e ogni consuetudine, ma anche dal fatto che in società c’è poca dimestichezza con il rispetto delle regole in quanto tali, se abbiamo una risorsa pregiata come l’abbiamo in questo contesto sarebbe il caso di farvi ricorso con convinzione e in modo provveduto, fin progettuale.

Non occorrerebbe nemmeno precisare, e lo facciamo solo en passant, che tutto quanto abbiamo detto circa la figura dello studente-utente riguarda anche l’insegnante e la persona di cultura che, pur venendo da tutt’altre tradizioni di studio e di apprendimento, può arricchire sé stesso e la propria professionalità attraverso questi strumenti. Anzi, si potrebbe perfino ipotizzare che proprio per la diversità delle tradizioni dalle quali egli proviene il beneficio che ne possa ricavare sia considerevolmente maggiore.

Vedendolo da un’altra prospettiva: il fatto che gli allievi di fronte ad una didattica digitalizzata rispettino rigorosamente le regole, dimostrino una capacità di attenzione per tempi enormemente più lunghi e sotto stress rispetto a quella mezz’ora che dogmaticamente e senza alcuna prova si è ritenuta essere la massima capacità di attenzione in classe da parte loro, il fatto che dimostrino davanti al computer una memoria visiva enormemente superiore a quella che viene richiesta nel contesto delle attività scolastiche, non ha conseguenze solo relativamente agli allievi. Anche chi è provveduto può è in un certo senso deve trarne le necessarie conseguenze per ripensare anche al suo insegnamento porto nella forma più tradizionale, diciamo “frontale” e con i soli media costituiti dalla sua parola e dal gesso alla lavagna. Non è un incoraggiamento a ritornare al passato, al contrario la programmazione curricolare degli ultimi decenni ha ampiamente testimoniato quanto possa essere più ricca ed interessante nonché più efficace e produttiva una didattica che faccia ricorso a materiali e media differenziati, quelli che un tempo si chiamavano “sussidi didattici audiovisivi” e che avevano con me loro antenati quelli che Giovanni Gentile nella riforma del 1923 chiamava “espedienti didattici”.

L’insegnamento che ricaviamo da tutto questo è anche un altro, e forse ancora più importante: che certe limitazioni temporali, di attenzione, di memoria, di disciplina entro le quali siamo stati portati a muoverci come insegnanti ed educatori da asserzioni in materia assolutamente dogmatiche, nel senso di mai messe alla prova e di ideologicamente ispirate ad un contenimento del ruolo del docente e della sua importanza per l’allievo, trovano proprio nella digitalizzazione una falsificazione completa, senza riserve né residui, che ciascuno dei nostri allievi o dei nostri educanti o dei nostri figli ci può portare, tale da portarci a ripensare alle nostre metodologie didattiche e alle relative scansioni qualitative e quantitative in termini sostanzialmente differenti è molto ma molto lontani dalle strettoie delle quali abbiamo dovuto soffrire per troppi decenni, ed è opportuno che ci liberiamo quanto prima.

In parole povere: io insegnante sono portato da tutto ciò a riprogrammare la mia didattica proprio rifiutando queste limitazioni, delle quali la più penalizzante ma anche la meno sostenibile e la più falsificata si compendia nella frase “tanto, più di mezz’ora non mi seguono!”. Poi, non è certo detto che la ristrettezza vada varcata con il computer: si può varcare con la Divina commedia o con i lirici greci, con la storia moderna e contemporanea o con una buona integrazione tra arti figurative, arti letterarie, arti musicali: insomma, con un insegnamento suscettibile di interesse nell’allievo tale che egli si auguri che una lezione così non finisca mai. Non si creda che sia impossibile: è possibile, possibilissima, quanto è indubbiamente difficile; ma il grosso delle difficoltà non sta nei limiti dell’insegnante e della sua cultura, sta delle abitudini e dei luoghi comuni consolidatisi negli ultimi decenni che, in ultima istanza, avevano il solo scopo di svalutare e screditare la cultura e la didattica, assieme alla scuola e alla figura degli insegnanti. 

Regole e contenuti d’insegnamento 

Anche sulle regole sarà meglio insistere per qualche riga. Non è vero che i nostri ragazzi sono contro le regole; la psicologia ci ha insegnato da lungo tempo che all’autonomia si perviene attraverso l’eteronomia, e che non esiste una scorciatoia dall’anomia all’anarchia. I nostri ragazzi, a differenza dei componenti di alcune generazioni fa, non rispettano le regole imposte “a prescindere”, non rispettano le regole che vengono loro poste con la sola motivazione che sono regole. Diventa allora pedagogicamente necessario il passaggio attraverso lo studio del perché vi siano certe regole, di come certe regole siano necessarie per la socialità, per la cultura, per la buona crescita e per lo sviluppo ottimale di tutte le potenzialità del soggetto, per la sua piena relazionalità, perché e per come senza certe regole non vi possa essere socialità né cultura, ma nemmeno sviluppo di proprie potenzialità e di proprio esercizio di creatività sotto qualsiasi forma. La grammatica, o il modo di impiegare i colori, non sono forme di autoritarismo, ma sono forme di liberazione nell’allievo delle capacità di esprimersi in una lingua ovvero attraverso un disegno. Perfino la calligrafia, senza tornare ad eccessi di altri tempi, ha una sua importanza notevole in questo senso, in quanto una scrittura illeggibile vanifica qualunque tentativo di comunicare per iscritto da parte dell’allievo, per cui una sana disciplina ad una scrittura il più possibile standardizzata non può che essere per lui una liberazione, una potenzialità attuata. Poi, lasciamo alla riflessione degli ascoltatori quanto possa aiutare la disciplina della scrittura a sviluppare altre forme di disciplina: qui può anche sembrare che stia parlando di tutt’altro rispetto alla digitalizzazione della didattica, dell’elaborazione elettronica dei dati culturali e della loro interconnessione in rete, invece stiamo parlando esattamente della stessa cosa, cioè dell’uomo così come egli si manifesta nelle sue creazioni e dell’impiego di tutti i media che egli escogita e cui fa ricorso per ragioni di comunicazione, di socialità, di cultura, di evoluzione personale ed assieme ad tutte le altre persone che costituiscono il genere umano.

Semmai, allora, dovremmo ringraziare quegli allievi che si rifiutano di rispettare le regole “a prescindere”, perché “così si fa”, perché “non far così non sta bene”, od altre frasi altrettanto destituite di ogni e qualsivoglia senso e significato. Sono per noi una ragione di correzione di un errore grave, il permanere nel quale avrebbe conseguenze catastrofiche degli allievi stessi. 

Circa la connettività 

Rimangono poche righe per trattare della connettività, altra proprietà caratteristica della didattica digitalizzata.

Anche qui vi sono delle anomalie, degli impieghi riduttivi e che sviliscono lo strumento. Vi sono anche dei rischi, il principale dei quali (secondo l’esperienza di chi vi parla) è la tentazione di sostituire ad un rapporto in presenza un rapporto virtuale a distanza: non, si badi bene, sviluppare a distanza quei rapporti che non possono essere in presenza, ma anche omettere di percorrere qualche chilometro in bicicletta o col mezzo pubblico per raggiungere la casa di un compagno quando sarebbe possibile e quando ce ne sarebbe il tempo sostituendo un atto simile con la virtualità di una comunicazione telematica. La conoscenza di questi ed altri veri e propri abusi dello strumento è necessaria, anche perché si sia pienamente consapevoli di quali possano essere gli usi positivi proficui dello strumento stesso, e di quanto essi possano effettivamente dare a noi e ai nostri educanti.

Sotto le nostre dita abbiamo il mondo in contatto: abbiamo possibilità di connessione reciproca praticamente illimitate. Tanto è ampia questa possibilità che non possiamo fare a meno di aiuti nella navigazione, per esempio dei motori di ricerca generalisti o specialistici, di punti di riferimento che fungono da “fari” nella “navigazione” in questo “mare magnum”. Qui bisogna capirsi, non si tratta di riproporre quel motto degli anni ’90 “no limits” che in sé è addirittura osceno nella sua disumanità: l’uomo è tale in quanto è limitato, questa è la saggezza dei Greci dell’epoca classica, per certi (differenti) versi anche della tradizione giudaico-cristiana, e ricordiamo che per i Greci la violazione dei propri limiti integrava quel vero e proprio gravissimo peccato nei confronti degli dei che si chiamava ybris, malamente tradotto come superbia, che attirava sul peccatore la collera e la condanna degli dei nonché una immancabile punizione.

Oggi diremmo meglio: noi uomini siamo stati capaci di realizzare la storia, la cultura, l’arte, la scienza, la tecnica, tra le ultime cose la digitalizzazione informatica e telematica, e la stessa educazione, non nonostante i nostri limiti, ma proprio perché abbiamo dei limiti, siamo imperfetti, ed insieme puntiamo a migliorarci di continuo, ci diamo la regola della perfettibilità. Ricordiamo che Rita levi Montalcini, appena meritato il premio Nobel, intitolò la sua gradevole e rigorosa autobiografia proprio Elogio dell’imperfezione, nella piena consapevolezza che il carattere imperfetto è tipico dell’uomo e in qualche modo caratterizzante questa particolarissima specie vivente, l’unica capace di storia e di evoluzione culturale.

Allora, io che ho sotto le mie dita possibilità illimitate di connessione, sono io stesso ad essere limitato e che debbono conservare consapevolezza di questo mio carattere, e come tale rivolgermi alla rete per cercare di migliorarmi, di emendare i miei errori, di correggere e colmare le mie lacune, di allargare i miei orizzonti. Non si creda che nella storia dell’arte, nella scienza, nella letteratura il movimento fisico dal luogo di studio nel globo, alla ricerca dell’interazione con ambienti diversi, sia stata una condizione di capacità di portare un contributo anche rilevante: personaggi di grande rilievo come Immanuel Kant o come l’abate Grigor Mendel, per portare due esempi, non si sono mossi rispettivamente da Königsberg e dal proprio convento, ma vivevano dentro la cultura mondiale. La globalizzazione di oggi a volte ci fa paura, a volte suscita reazioni velleitarie di rigetto: in realtà siamo globalizzati e dobbiamo imparare a vivere nella globalizzazione attuale cui non ci si può opporre e che non ha alternative reali, e la connettività digitalizzata costituisce probabilmente lo strumento ed insieme il supporto didattico più efficace per perseguire un risultato come questo. 

Due righe sull’interattività nel suo specifico 

Dell’interattività si detto a più riprese. L’interattività è una proprietà ulteriore della digitalizzazione ma strettamente connessa alla connettività. Tra l’altro, essa comporta la necessità di rigore, di precisione, e ha in sé caratteri forti di autocorrezione.

Pedagogicamente parlando, là dove difficilmente si accettassero le parole dell’insegnante come segnalazione di un errore e necessità di sua correzione, la didattica digitalizzata interattiva è connessa potrebbe costituire un prezioso esempio di quanto invece il correggere gli errori sia da un lato una necessità ma dall’altro un rafforzamento dell’errante, e non certo qualche cosa che l’errante debba rifiutare come vergognoso o come offensivo.

Non dovrebbe essere necessario ribadire l’importanza di distinguere l’errore dall’errante, ma l’esperienza di chi vi parla suggerisce fortemente di farlo anche in questa sede.
Si cresce, si matura, ci si sviluppa anche commettendo errori e imparando a correggersi da tali errori: è un insegnamento antico, ma che ritroviamo tale e quale nella didattica connessa e digitalizzata, nella quale ancora una volta riconosciamo l’uomo che c’è dentro e alla base, quell’uomo senza del quale tutto ciò si ridurrebbe a poco più che un banale trastullo. Anzi, la connettività facilmente smaschera capacità retoriche vuote sia da parte di propagandisti politici o sociali sia da parte di pubblicitari commerciali, in quanto consentendo revisioni e riprese, suddivisioni, “moviole” anche virtuali e trascrizioni, e con tanti altri strumenti, svela il carattere falso od ingannevole di tanti discorsi che in presenza hanno una formidabile efficacia. I discorsi di Adolf Hitler in questo senso sono stati oggetto di studi molto interessanti, ma non sarebbero certo gli unici che sarebbe necessario fare, anche se probabilmente sono giustamente i primi che vanno fatti.
 

La formazione a distanza e gli atenei telematici 

Non possiamo chiudere questa pur sintetica e schematica disamina senza menzionare il fatto che da alcuni anni esistono esperienze importanti di formazione a distanza propriamente ai massimi livelli sia dalle università tradizionali, sia da quegli atenei telematici che sono potuti sorgere in Italia solo in questi ultimi anni con l’approvazione di una legge apposita: esperienze in tal senso erano in corso da decenni in paesi che da questo punto di vista erano più avanzati di noi come ad esempio il Regno Unito oppure gli Stati Uniti d’America.

In questi atenei vi è un impiego necessario organico e sistematico di strumenti telematici e informatici da parte di coloro che sono nella materiale impossibilità ad essere presenti nelle sedi accademiche e a frequentare, limiti economici, problemi familiari o di lavoro perché abitano troppo lontano, o per altri motivi di grande validità. Ovviamente questo impone a noi docenti uno studio apposito perché gli strumenti disponibili consentano una didattica e formazione a distanza quanto più possibile piena, cominciando con l’evitare accuratamente di considerare “didattica a distanza” la semplice fornitura di materiali scritti: il vostro relatore ha ben presente la sequenza di discussioni animate ed anche di liti furibonde sostenute con dei colleghi che non avevano una adeguata padronanza della materia e non presentavano neppure necessaria apertura, i quali ritenevano che la formazione a distanza, in sigla F.a.D., potesse ridursi con il fornire via Internet la dispensina scritta, al massimo con un po’ di bibliografia come corredo. A pensarla così, potremmo considerare didattica a distanza o formazione a distanza anche le lettere di Cicerone o di Platone oppure le epistole di San Paolo.

Occorrono altri strumenti adeguatamente progettati e studiati, nonché sperimentati ed evoluti di continuo, è comunque non riducibili a modo testo. La didattica a distanza non può che essere basata su qualcosa di diverso dal testo, che è la cosa meno importante: la didattica a distanza deve sostituire le lezioni, non i testi, e poi indicare i testi, o le dispense, o gli uni e le altre.

L’equivalente delle lezioni alle quali l’allievo non può partecipare non può nemmeno essere costituito dalla registrazione di lezioni fatte in presenza, A parte il fatto che una simile registrazione presenta grossi problemi quando si tratti di impiegare strumenti audiovisivi, ad esempio schemi PowerPoint o anche solo scrivendo alla lavagna; le lezioni del consorzio Nettuno che sono visibili in due canali satellitare ed anche qualche volta durante la notte (o lo erano) per alcune ore non a caso sono lezioni non in presenza, ma che il docente struttura appositamente con un passaggio tra la sua immagine e schemi, fotografie, brevi scritti e quant’altro a seconda della materia, la cui durata non corrisponde alla durata della lezione universitaria ma è contenuta in mezz’ora o in 20 minuti. Di questo il vostro relatore ha già maturato una notevole esperienza, ma non via satellite bensì nelle emittenti regionali abruzzesi con le quali l’università di Chieti era convenzionata, cosa che presentava l’indubbio vantaggio di attirare l’attenzione per le trasmissioni accademiche anche i cittadini non studenti che guardano quelle emittenti regionali, con il risultato di essere chiamati per la strada o al bar perché riconosciuti dopo un’interessante trasmissione del giorno prima. Questo va bene, ma comunque non basta.

Prima di tutto, bisogna offrire delle lezioni appositamente confezionate nelle quali a video vi sia ciò che l’insegnante ritiene opportuno per l’argomento della lezione, cioè schemi, citazioni, immagini, filmati, schemi e quant’altro; mentre all’audio scorre la voce del docente. Tali lezioni vanno contenute in un quarto d’ora, 20 minuti o poco di più ed essere quindi sostanziose.
Ma bisogna anche fornire, assieme a queste opportunità che chiamiamo “asincrone” in quanto fruite dall’allievo-utente del tempo che lui vuole che è diverso ovviamente da quello nel quale il docente mette in rete le sue lezioni, anche delle attività “sincrone” cioè delle concrete possibilità di interagire sempre con strumenti telematici direttamente con il docente.
La posta elettronica è preziosa, ma ovviamente non basta è comunque è anch’essa asincrona. Possono essere “sincrone”, invece, le chat e le teleconferenze, per lo meno se il numero di studenti non è troppo elevato. Abbiamo compiuto esperimenti molto interessanti a Chieti nei riguardi di tutti questi strumenti,

Vorremmo chiudere proprio con l’ultimo strumento citato cioè la teleconferenza. Il primo esperimento che facemmo fu operato in orario d’ufficio, per scelta della presidenza e dell’organizzazione e per comodità di gestione: si aveva in linea una sola allieva, la quale fra l’altro non aveva praticamente nulla di sostanziale da chiedere, con la quale chiudemmo la conversazione dopo una decina di minuti o poco più. Obiettammo allora con un’ovvietà, che trattandosi di studenti lavoratori o comunque di studenti che hanno altri impegni negli orari nei quali si dovrebbe frequentare, uno strumento del genere può avere efficacia piena se lo studente si trova l’insegnante a disposizione in tutt’altri orari, anche accademicamente insoliti; e qui ci scontrammo con la burocrazia, con l’organizzazione, che replicarono che non potevano mettere a disposizione di nessuno materiali informatici allo scopo fuori degli orari d’ufficio.

A quel punto, ci risolvemmo ad agire per conto proprio, come i materiali personali da casa propria. Proponemmo agli studenti delle teleconferenze i sabati pomeriggio, i sabati sera e le domeniche mattina: il risultato fu la lista piena e le code che continuamente si riformavano di studenti che attendevano per intervenire.

In sintesi 

Ci vuole coerenza e rispetto delle regole, non costruire delle regole sul proprio comodo. Le regole vanno intese propriamente come condizione di socialità: tra i tanti preziosissimi apporti che ci provengono dalla digitalizzazione, dell’elaborazione dei dati e della connessione in rete mondiale, questo è il più importante, quello che in un certo senso li sintetizza e li rende fecondi tutti insieme.

Si può discutere sulla strumentalità, ma l’attenzione va tenuta fissa ed alta sull’uomo che ha realizzato tanto e che di tanto sa servirsi. È una sfida che non possiamo allontanare da noi stessi, anche perché essa ci offre strumenti difficilmente rinunciabili per l’evoluzione dell’insegnamento e dell’educazione. Soprattutto oggi.

GF Blezza La pedagogia e l’universo digitale (3)