Riflettendo suIl’esame di stato e il tema di storia abolito

di Mario di Giovanni

Il “governo del cambiamento” ha messo mano anche all’esame di stato 2019 conclusivo degli studi secondari. A molti è sorta spontanea una domanda: era proprio necessario che la riforma entrasse in vigore tra quattro mesi circa coinvolgendo gli studenti che sono stati nel triennio messi alla prova con modalità didattiche diverse da quelle su cui si cimenteranno a giugno prossimo? Non si potevano avviare le novità almeno dall’anno prossimo?

Comunque, veniamo al punto. Prima di soffermarmi sulla notizia che più ha fatto scalpore, l’abolizione cioè della traccia di storia, di cui alla Circolare MIUR n. 3050 del 4 ottobre 2018, accennerò alle innovazioni riguardanti tutto l’esame di stato, anche se per alcune di esse si attendono ancora chiarimenti. Ebbene, per quanto se ne sa a tutt’oggi, in primis resta ferma e invariata la composizione paritetica delle Commissioni, tre docenti interni e tre esterni più il Presidente.

La prima prova scritta, max. 20 punti, a parte la mancanza del tema di storia, è in sostanza invariata (analisi del testo; saggio breve; attualità, dove potrebbe affacciarsi la storia come nel saggio breve); la seconda innova la prassi consolidata e sarà una verifica mista (per es., latino/greco al classico; matematica/fisica allo scientifico; etc.) e al massimo si conseguono altri 20 punti; purtroppo nessuno studente né docente sa ancora come si articolerà questo mix, il MIUR comunicherà in questo mese di febbraio le prime simulazioni: questa prova, come la prima, restano, infatti, prove nazionali e saranno corrette tramite griglie valutative ministeriali preparate ad hoc. La terza prova è stata cancellata, come il previsto test INVALSI, mentre è stato ridimensionato il ‘peso’ orario dell’alternanza scuola/lavoro.

L’orale (20 punti al max.), verte su tutte le discipline di competenza dei Commissari e il colloquio si apre, abolita la ‘tesina’, con un argomento che il candidato si ritrova indicato nella busta da lui scelta tra quelle predisposte dalla Commissione. Gli altri 40 punti max. sono attribuiti alla sua carriera triennale, è il credito scolastico il cui punteggio ovviamente sarà rimodulato poiché finora era calcolato su un massimo di 25 punti.

Non è opportuno, in balia di pregiudizi, valutare a caldo questa riforma nel suo insieme, essa va prima ben chiarita e poi collaudata sul campo; mi sento però di dire che la soppressione della terza prova preparata da ogni Commissione in conformità ai programmi effettivamente svolti in quella classe, faccia perdere un’occasione importante per stimare con puntualità la preparazione dei maturandi; aggiungo viceversa che mi convince l’eliminazione della tesina ormai logora, sempre più spesso negli ultimi anni scopiazzata da internet. Comunque, ripeto, è bene attendere e valutare almeno dopo il collaudo di quest’estate.

Preferisco invece tornare con maggiore puntualità sul defunto tema di storia.

Mi è tornata alla mente la famosa ultima lettera dal carcere di Gramsci, indirizzata al figlio Delio nel 1937, breve e molto precisa:

“Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?”

Risuona ancora e ci interpella quell’interrogativo finale: “Ma è così?”

Traduco per i nostri tempi: gli storici e i docenti di storia fanno bene il loro mestiere che è far capire sempre più e sempre meglio che senza memoria storica le società, e in particolare la nostra, si candidano alla distruzione morale e culturale?

La domanda è legittima alla luce della citata decisione del MIUR: dal prossimo esame di stato ai maturandi non sarà più proposta la traccia di storia. Decisione assunta in totale solitudine, senza consultare gli storici, né tantomeno gli insegnanti e gli studenti, come ha stigmatizzato subito con un documento molto puntuto la “Giunta centrale per gli studi storici e delle Società degli storici”.

 Motivazione secca del Ministero: pochi studenti la scelgono. È vero, ma invece di chiedersi perché ciò accade, il MIUR dà l’impressione di considerare la storia alla stregua di un qualunque prodotto commerciale da sottoporre all’audience e se non va, se manca di appeal, allora viene ritirato dal banco vendite, o come uno spettacolo mediatico che viene cancellato dal palinsesto se lo share è basso.

La motivazione è dunque inaccettabile. Il Ministero invece potrebbe e dovrebbe investigare sulle cause che provocano questa defezione. Ci provo, innanzitutto va detto che sono diminuite le ore curricolari di storia, infatti il Ministero, non da oggi, ne ha depotenziato l’insegnamento riducendolo nei licei e nei professionali. E ne è venuta quindi una grossa difficoltà se non l’impossibilità di coprire i programmi definiti in sede nazionale già dalla riforma Berlinguer nel 1997 e ripensati anno per anno da ogni docente nel suo piano di lavoro.

Quindi ne consegue che per mancanza di tempo, nel primo anno del triennio non si riesce a completare il percorso storico dalla peste nera del Trecento alle rivoluzioni inglesi del 600; nel secondo anno è arduo chiudere avendo studiato in successione il 700 e l’800; si dovrebbero, infine, affrontare gli eventi del 900 fino a lambire almeno il secolo XXI, ma questo succede di rado perché si sono accumulati arretrati dai due anni precedenti che è impossibile gestire se non a discapito del ‘secolo breve’.

Questo è dunque il primo intoppo per gli studenti: la traccia di storia alla ‘maturità’, formulata dal Ministero, verte proprio sul 900 e spesso sulla seconda metà del secolo, sicché la gran parte degli studenti l’accantona, perché ha fatto fronte poco e male a quelle tematiche specifiche pur studiando per l’esame con impegno la disciplina.

Allora, il MIUR aumenti le ore di storia dalle elementari a salire, poi incentivi i docenti a migliorare la loro didattica. E invece, eliminando il tema di storia, in generale si dà il colpo di grazia violentissimo alla colonna vertebrale della nostra identità, della nostra coscienza civica, in particolare si inducono di fatto i giovani e i loro insegnanti a marginalizzarne lo studio lungo l’anno scolastico perché tanto non c’è riscontro finale: senza dire con dolore che viene compromessa l’acquisizione del metodo scientifico, del senso critico, del pensiero autonomo capace di argomentare e confrontarsi su solide basi. Inoltre, si devitalizzano tutte le altre discipline orfane della loro indispensabile base, del loro denominatore comune, non a caso parliamo di storia dell’arte, storia della letteratura, etc. Privo del fondamentale ancoraggio storico, tutto il sapere s’impoverisce.

Ma c’è una seconda causa da considerare: la mancanza di professionalità specifica dei docenti. In realtà, pur essendo diffusa l’esigenza di frequentare corsi di aggiornamento sulla didattica del Novecento, essi lamentano l’impossibilità pratica di seguirli perché oberati da vincolanti ‘progetti’ e ‘progettini’ che disperdono energie e risorse all’interno di una scuola troppo spesso diventata un progettificio con intenzioni e finalità a volte opache.

Occorre rimediare, il MIUR deve condividere l’idea che la formazione specifica di cui sopra è necessaria data la complessità del secolo XX e dei clamorosi ed esclusivi avvenimenti in esso verificatisi, dalle due guerre mondiali alla guerra fredda, dai genocidi alla bomba atomica, dalle dittature ai muri, dalle crisi economiche alle emigrazioni, etc. Occorrono cioè competenze non generiche ma mirate di diritto, economia, sociologia, etc., di cui più di un docente è privo e quindi o si aggiorna o favorisce oggettivamente suo malgrado il disinteresse degli studenti.

Infine occorre lanciare un grido d’allarme. La generazione che oggi si muove tra i banchi di scuola è piegata e appiattita sul presente degli smartphone, un eterno ingannevole presente, disancorato dal passato che ignora e a cui non mostra di conseguenza interesse, inoltre incapace di immaginare e costruire il futuro.

Cui prodest? Non certamente ai nostri giovani che ignari corrono su strade scivolose verso il nulla. Giova però a pochi privilegiati che, frequentando scuole di alto profilo, si attrezzano a gestire il potere, sempre più elitario che ha il controllo su tutto e tutti, l’attualissimo ‘grande fratello’ di cui in silenzio e solitudine ciascuno esegue gli ordini.

La storia, invece, potrebbe farci sentire ed essere più liberi e quindi spingerci a impadronirci di noi stessi, della nostra vita presente, passata e futura, capaci di elaborare un progetto che ci spinga oltre tutti i muri. La storia è una disciplina politica che serve a coltivare il dialogo tra diversi che, consapevoli del passato, cercano di volta in volta la soluzione migliore per il futuro. È questo è ‘pericoloso’ per il potere che vuole le nuove generazioni silenti e obbedienti, svuotate e senza grilli per la testa.

E allora, con questa premessa, ti viene un dubbio terribile: anche oggi forse chi gestisce il potere ha pianificato questo incitrullimento di massa e noi lo attuiamo felici rivendicando il diritto alla connessione, e non quello alla sconnessione, come i passeggeri del Titanic che ignari ballano allegri mentre stanno andando a sbattere.

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