Oi Barbaroi

di Viviana Reda

Taluno fa ancora irruzione nel tempo, come un barbaro al tempo dei barbari, quando orde di visigoti rosicchianti armati di orologi e clessidre sfuggirono negli anfratti dell’ombra sfuggendo gli ultimi riflessi della luce.

Qui dove tutto tace e dove il nulla giace e ristagna, anche le gocce d’acqua che scendono nella fogna sembrano assecondare il lento stillicidio delle ombre.

Dal tempo lontano in cui i ratti conquistarono, con poco affanno degli dei superiori, il regno delle blatte, quest’anno, questo giorno, questo infinito, appare dominato da un silenzio aritmico. Volumi e volumi di storie e vite disperse scendono lenti verso il basso, navigando i rivoli putridi di questo regno oscuro. Nella profondità labirintica delle fogne, il vento –un vento umido e soffocante- confonde in sé esodi ed esordi, segnali e stagioni che tutti si rincorrono cercando ancora il tempo, il segreto ineffabile del tempo, nascosto perduto, assente.

Quiggiù, al di sotto del mondo, nel ventre cavo delle città, fuori da ogni vita e da ogni sorte, qui da qualche parte sembra riposi il centro vuoto d’ogni desiderio e passione, l’epicentro assente d’ogni male.

Si dice – e ciò è riferito da autorevoli fonti del mondo infero- che giaccia in questi cunicoli, riverso e vuoto come fu lasciato, il baule –o vaso secondo altre tradizioni- che appartenne a Pandora in cui ancora riposa l’eco stanca di ogni male disperso nel mondo. Sebbene la ricerca di questo oggetto sia divenuta quasi mitica da queste parti, da secoli ormai non ci si interroga più sul valore dimenticato del baule. Lo ignorano completamente i ratti, sempre impegnati alla conquista dei gatti, che in un baule polveroso e buio non trovano nulla di interessante.

Ci fu un periodo in cui venne un profeta da molto lontano che diceva di portare il segreto del mondo, diceva d’averlo visto in un sogno, nascosto nel fondo più profondo di un baule.

Ma si sa che razza scettica e riottosa sia quella dei ratti che decisero di riprendere le loro più serie occupazioni, dopo aver convenuto che nulla avrebbe potuto un qualsiasi baule, contenente o meno il segreto del mondo, contro un qualsiasi gatto, anche il più debole e sprovveduto. Così la storia del profeta-venuto-da-lontano resta solo nei ricordi o nelle leggende, sebbene anch’esse tra i ratti siano frammentate e vaghe di riferimenti.

Si dice che alcuni dotti su questa materia vadano da ricercarsi nel popolo dei ragni, tra le blatte o i gechi, ma gli uni per sporcizia, gli altri per pigrizia, sembrano aver dimenticato tutti il vaso e il suo segreto.

Il profeta-venuto-da-lontano sosteneva infatti che, diversamente dalla versione normalizzata e poi divenuta corrente che circola tra gli uomini, il segreto del vaso non si esauriva nelle mostruose creature alate che sparpagliarono nel mondo odio e dispiaceri, malsane passioni o cose del genere. Nulla di tutto ciò poteva vagamente sfiorare il mistero del baule che giaceva ancora, nei meandri dell’oscurità. Sembra che nel baule e nella sua origine si celi il senso della nascita e di ogni morte, lo svelamento delle ore e del loro passaggio, del tempo che, rincorso, rincorre ancora se stesso.

Da pochi frammenti cartacei corrosi e rosicchiati nei diversi punti, sembra potersi ipotizzare la presenza d’un racconto cifrato, quasi una mappa di simboli che sembrerebbe indicare il punto preciso, in cui risiede il segreto del vaso.

Le miniature contorte dipinte sui muri dei fognicoli anfratti sembrano alludere ad un oscuro scrivano, un dotto, forse un alchimista che in tempi lontani studiò a lungo il segreto celato nel vaso.

Sembra quasi che ognuno di questi frammenti voglia indicare non la tessera di un più grande mosaico, ma un elemento compiuto, perfetto, finito.

Tutti i segni, le linee e gli arabeschi in cui i frammenti si articolano sembrano riflessi, immagini che da uno specchio poliedrico si siano staccate, non per dare nuove visioni ma per moltiplicarne una sola: un mare infinito che si nasconde svelandosi in un’infinita moltitudine di piccoli flutti. E onde in effetti sembrano i segni, come fili d’una tela di ragno, segmenti d’un’oscura grata che nasconde il flusso immobile del tempo.

Facile è perdersi nei cunicoli profondi di questo labirinto oltre lo specchio del mare, facile confondersi nel deserto buio di queste tenebre fangose. Qualcuno, tra le blatte ricorda ancora quel profeta-venuto-da-lontano, qualcuno finge sia morto. Qualcun altro ipotizza che il baule sia stato ritrovato e poi di nuovo perso. Ma nel buio più profondo non è facile distinguere il tempo e le stagioni, i segni e i frammenti, e così, ombra tra le ombre, continuo a sognare il baule, nel buio di una grata, in cui nel fondo più profondo scorre il tempo, destino del mondo.

W Viviana Reda Oi Barbaroi