Esasperatismo: Giuliani torna sull’ “atto”

di Clementina Gily
Adolfo Giuliani
Adolfo Giuliani

Costruire la comunità degli astanti: questo è il senso della social art, se così si può definire quella direzione dell’arte che vive l’istante pubblico delle performance, dei vernissage, delle Gallerie d’arte – ma non solo. Chi ama l’arte s’è sempre riunito in luoghi comuni, prima le mostre per acquirenti mecenati, poi i musei e le collezioni private… ma se non è una frase nuova che l’uomo è un animale sociale, c’è sempre chi lo dice come se lo scoprisse ora, perché spesso ce lo si dimentica; e perché bisogna fare attenzione a qualcosa che si sta perdendo: in realtà è un nuovo evento. La social art rivendica rammemora e raccomanda di costituire e rinforzare la comunità del Gusto.

L’estetica lo definì, oggi è all’ Indice.

Parlando di esasperatismo infatti, m’è sempre capitato di ragionare sulla strana vicenda delle occasioni d’arte odierne, in cui non si parla di opere ma di tutto il resto, ci si distrae quanto possibile. Il pubblico, il critico – astante, l’artista, sono parte-di-un-party, l’evento d’arte. Ed è così naturale il passaggio dal virtuale al reale e viceversa, che ciò non è scandalo; si vive nell’istante lo scambio di ruoli tra artista e critico, astante e compratore. Quest’ultimo il più raro e ricercato. Una mise, una celebrità: è il successo di un vernissage.

E quindi si va a pensare a quanto acutamente dettò nei suoi diari Andy Warhol (che come i re di Francia dettava i suoi memorabilia), meno nominati di tutto il resto; i “Diari di Andy Warhol” scritti da Pat Hackett sono leggibili come una chat line – una lettura mortale se si cerca un senso; come quei grandi maestri di cattedrali, che i più leggono in pezzi e citano di continuo – perché non capiscono che si capisce. Ma c’è un perché nel paradosso, perché alla memoria in realtà si affidano solo i pezzi che costituiscono immagine – ciò non giustifica certo il Reader’s Digest, ognuno deve cogliere da solo i brani importanti. Come appunto nei party, come nelle cattedrali, non c’è lettura continua dell’evento/avvento, sono luoghi di incontro e riflessione.

E tali sono i diari di Warhol, che come Joyce scrive il quotidiano, ma non si fa prendere dai giochi linguistici. L’autore è artista visuale che viene dalla pubblicità e dai media, dal mondo iniziato con la foto: perciò conta tanto la Polaroid. L’amica che lavora alla Factory scrive l’interminabile chat, di gossip, chiacchiere, osservazioni d’arte del party, e poi storia e sentimenti. Una genialità che anticipa il tempo tecnico della nascita degli usi contemporanei sei social network.

Nelle relazioni sociali più futili, si nasconde l’uomo quotidiano, l’uomo intero, con tutte le sue volgarità e le sue eccellenze. Dal gossip nasce la confidenza, e quindi l’amicizia – perché verso gli Altri si può avere relazione, stima, rispetto: ma l’amicizia è presenza. Continuità di notizie, normale alternarsi di abitudini, banalità e umori: e anche, poi, a volte, profondità, verità e bellezza. Avvolge tutto di empatia e diversità in un solo individuale sentimento.

L’esasperatismo ha creato una nuova parola dell’italiano – un risultato eccellente, un’immagine densa che tutti intendono. Ma ha creato il movimento, la vita di un gruppo sopravvissuto tre lustri felicemente: oggi celebra l’attuale sedicesimo. Un traguardo ineguagliato dalle celeberrime avanguardie storiche – perché il trait d’union non è l’artista, la direzione comune, sempre sormontate dall’inevitabile originalità e litigiosità; l’unione è una social art, una ribellione comune contro la morte dell’illustre e compianto Gusto – partito verso la naftalina, ma per eccesso rivoluzionario; è solo una delle tante vittime del 900.

Così nacque il Movimento, racconta Giuliani nel nuovo libro uscito da Pironti e presentato il 27 marzo 2016 nella prestigiosa sede di Palazzo Ruffo di Bagnara. S’incontrarono artisti amici, sfiduciati dalla mancanza del gusto in chi guida le istituzioni; si rende difficile la vita dell’arte, si profitta dell’incertezza del tempo del non-gusto per favorire gli amici e i paradossi. Costituirono un versante artistico di opposizione permanente – esasperatismo – che non poteva farsi politica e partiti senza negarsi. Ma nessuno ha perciò pensato, come si doveva, a riaprire, se è il caso, la problematica dibattutissima nel ‘700, risolta da Hume e soprattutto Kant – che a parere di chi scrive resta valida. È evidente che la loro soluzione non funziona più allo stesso modo, ogni epoca ridefinisce il bello: ma già allora la chiave non era solo l’armonia, il bello – perché in realtà il sublime lo delimita e il loro rapporto si articola dando risultati ancora oggi capaci di sostenere giudizi estetici e d’arte, conoscitivi cioè e valutativi: ma qua già siamo nella filosofia e quindi territorio vietato. Almeno in questo contesto.

Si parla male del Gusto, ma senza non c’è àncora per il giudizio. E dov’è il Gusto? Nella Gente, avrebbe detto Tina Pica echeggiando in breve il senso della risposta: in un pubblico interessato e senziente, ciacolante, persino fastidioso – che vuole giudicare ad ogni costo. Così nasce il giudizio universale, così nasce la lettera scarlatta, il senso comune è la guida che fa da norma al vivere nella sua polarità di sensatezza ed eccesso. Perciò l’arte sociale sa di dover prima di tutto essere e costituire un pubblico capace di critica e di critica di sé; il Movimento Esasperatista nella social art che muove alla riconquista del Gusto mostra il pregio dell’amicizia: perché la relazione Duale non si limita a chiacchiere ed eventi, chat, legami internazionali, web… cerca quell’assoluta libertà di adesione dell’artista che si concretizza nel dialogo/gusto/amicizia intorno a un quadro creato nel silenzio del fare, pensando a chi lo guarderà.

La social art che è l’Opera Prima di Adolfo Giuliani, oltre alle sue creazioni d’arte, il Movimento, bene si esprime nel simbolo, Il Bidone – un simbolo deve far pensare, si presenta come rifiuto, è un athanor, la magia da interpretare sminuzzando e rimescolando, raccomandava l’alchimia. Si fabbrica così l’oro, la creazione, il nuovo, nell’arte e in ogni sapere. Raccogliendo uomini di buona volontà intorno alla misura di un’Opera, si costruisce la comunità del Gusto, l’exemplum.

La considerazione dell’impossibile vittoria congiunta alla necessità di continuare a sperare e ad agire per la speranza, implicita nell’esasperatismo, rivela il messianismo, l’impossibile attesa. Scrisse Adolfo Giuliani la regola di mirare al fine nel pregio di un’attesa operosa, ieri il riferimento al simbolo comune, oggi la misura del quadro. Simboli non esoterici, ma misteriosi, per suscitare domande che siano limite al narcisismo; l’artefatto dice l’identità, legata ad altre nella presenza fa come in un quadro, dove gli elementi non chiedono sintesi ma crasi; alberi, colori e linee denotano scelte, è una presenza bene articolata e cosciente. L’esasperatismo esalta, tra le social art, come l’unità nasca da elementi diversi che si definiscano bene nell’autocoscienza del sé, libero da costrizioni. Capace di comunicare la propria ottica.

Il bidone sbeffeggia il mercato, critico che è artista, gallerista e pubblico… è insofferente del misconoscimento che la mancata competenza genera, facendo cadere non chi lo merita ma chi non si conforma – è il segno di una caduta urtante, ma necessaria al risorgere. Contro chi si mostra abile nelle relazioni utili, contrappone l’anticonformismo del bidone, la relazione amicale.

Bellezza è la parola dell’arte, anche se il 900 non ha saputo condensarla in scuole ed estetiche riconosciute – ce ne sono tante e troppe, in polemica con tutti per la conquista dei mercati. Il ‘bello’ in realtà oggi è spesso brutto e difforme, è il graffio elementare e l’astuzia materica… la social art afferma il ‘bello’ nella mutua comprensione. Il gusto è scegliere, cose, film, vestiti, relazioni sociali, ambienti… quando a scegliere è l’amicizia sincera, il riconoscimento diventa compiacimento, quel piacere dell’arte teorizzato da Kant. Il bidone ha mille sfumature che i tanti artisti hanno disegnato a loro modo nei 16 anni di attività.

 

Ma questo libro di Pironti li celebra con la novità di concentrarsi su Giuliani, esplicitando quanto appena detto. Da un lato colleziona manifesti, introduzioni, foto, spunti di critica sociale, interventi pubblici; nella quarta di copertina la definizione dell’esasperatismo della Treccani. Da tutto ciò, una scelta attenta, viene l’immagine in parole del Movimento; che è la speranza di un mondo che sappia dominare il male, definito nell’inquinamento e nella guerra che ormai accompagna il terzo millennio. Ed è appunto questa memoria a riportare la memoria personale, in questo uomo integrale che è alla base di tutti i discorsi: e Giuliani ritorna a quell’altra guerra, in cui lui stesso fu adolescente e vittima degli eventi. Sgorga naturalmente da ciò la narrazione e la poesia –dice Giuliani, io vivo l’esasperatismo come l’esasperatismo vive in me – vita personale e quotidiana è identità completa e complessa. Il racconto dei bombardamenti di Napoli, una pagina troppo dimenticata della storia cittadina, che fece ancora una volta Napoli vittima, di Alleati e di Tedeschi, di tutti stranieri che sono come sempre i padroni della città. Napoli amò i Borboni perché sperava molto da loro, vedendoli finalmente conterranei.

Munasteri‘e Santa Chiara ricorda quei giorni in cui gli scugnizzi correvano di corsa nel sottosuolo, u rifugio naturale contro gli oppressori, l’acquedotto greco che oggi si offre ai turisti come “Napoli sotterranea”. Aspettavano che passasse la buriana, protetti una volta di più dal solo San Gennaro, il patrono che dal ‘500 non è né del Re né del Papa, ma solo dei napoletani; che forse dovrebbero stare più attenti a chi firma i patti col Santo, visti i costanti risultati di invasione e furto. Ma chi sa sperare sa che San Gennaro prima o poi riparerà ai torti, se ci sono stati e se ci sono: è l’attesa, è il messianismo, per chiamarla col vero nome, è la salvezza nostra. La speranza Totò diceva essere il grande vero e costante guadagno di chi gioca al Lotto: tranne Domenica, giorno peraltro della Messa e della Festa, già da lunedì il giocatore torna a sperare. Basta questa luce modesta per accompagnare con un sorriso le prove della settimana e compiere ancora una volta il miracolo: sopravvivere. Perché anche questa è capacità eroica, suicidarsi non è bello nemmeno quando indica spirito di sacrificio: non è umano, non è rispetto di Dio, il corpo è un dono.

Fosse anche solo per il sole, per il napoletano la vita vale la pena di essere vissuta. Una frase così banale non può dirsi bene che in poesia: difatti, di poesie trabocca la metà del libro: celebrando la speranza ch’è nel bidone, che si vuole nascondere per understatement, ma che è la vera forza del Movimento. È nell’elogio allo scugnizzo, in quel fanciullo che Adolfo Giuliani afferma di sentirsi tuttora, il senso del domani che verrà.

Lo scugnizzo ha, come tutti quelli che perdono l’infanzia, il complesso di Pollicino, che forse nessuno ha teorizzato: sa di non poter contare su nessuno. Ed anche questa è una ricchezza, quella stessa del bidone, che raccoglie in sé il silenzio dell’hortus conclusus per immaginare che fare, con quale astuzia si può salvare – inutile piangere e pretendere. Sa che non c’è pietà: ma il cuore sa essere astuto solo perché spera, sa che in qualche luogo – elsewhere perhaps – si trova amore. E forse anche così la possibilità di smettere di essere giardiniere: e diventare viaggiatore e narrare le sue storie a chi vorrà ascoltare.

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